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Da Nord a Sud per il Covid, storie di southworkers calabresi

La fuga dalle città di Nicola (assieme alla moglie Silvia) e Roberto. «L’estate a Soverato tra il mare e la collina. Poi la consapevolezza che non saremmo tornati indietro»

Pubblicato il: 06/10/2020 – 16:20
Da Nord a Sud per il Covid, storie di southworkers calabresi

ROMA “Benvenuti al Sud”. ll remake del film francese “Bienvenue chez les Ch’tis” potrebbe diventare lo slogan del controesodo, ancora agli albori, messo in moto dallo smartworking. Con la pandemia e il conseguente ricorso massiccio al lavoro agile, diversi italiani hanno deciso di lasciare le metropoli per centri più piccoli, dove vivere più a contatto con il verde o semplicemente tornare nelle città natali del Mezzogiorno. A raccogliere, dal mese di giugno, tante testimonianze è la community South Working che conta su Facebook già oltre duemila iscritti. Silvia Salmeri, 34 anni, che dal centro di Bologna si sta per trasferire insieme alla sua famiglia in una cittadina sul mare in provincia di Catanzaro. «Il nostro bimbo è nato in pieno lockdown e ci siamo trovati chiusi in 40 metri quadrati. È stata la spinta finale per trasferirci in un luogo dove potremo avere una migliore qualità della vita a costi minori”, racconta all’Ansa. Lei lavora nel turismo e continuerà a farlo in modalità smart: «Sono nata e cresciuta a Bologna, so cosa lascio, ma in questo momento storico è la scelta migliore».
Il lato calabrese della coppia è il marito Nicola. Che racconta a Lonely Planet Italia la scelta di tornare al Sud. Nato e cresciuto in Calabria, sul versante jonico che si affaccia dal lungomare di Soverato, si è trasferito in Irlanda, a Cork City, per mettere a frutto i suoi studi nel settore turistico. Prima del ritorno in Calabria da southworker, Nicola ha scelto di trasferirsi in Italia, a Bologna. Tra i portici della città ha trovato l’amore e, insieme alla compagna Silvia, ha avuto un figlio in pieno lockdown. «Ho portato mio figlio in Calabria che aveva un mese – racconta ancora a Lonely Planet –, non appena i decreti hanno reso possibile gli spostamenti tra regioni. Abbiamo trascorso l’estate tra il mare e la collina, e siamo arrivati alla consapevolezza che non saremmo tornati indietro». Tutti e tre oggi vivono in una casa vista mare, incrociando le attività da freelance-videomaker lui, titolare di un tour operator online lei – con la possibilità di rientri a Bologna che è rimasta importante per il loro lavoro. Della Calabria, dice Nicola, oggi ha riscoperto una bellezza che aveva dimenticato, che non vedeva più da tempo. «Quando ci sei dentro, quando ci vivi, sono cose che dai per scontate. Perché i luoghi non cambiano, siamo noi a cambiare, e cambia il filtro attraverso il quale osserviamo la realtà che ci circonda. Per fortuna».
Roberto Ceravolo, 34 anni, manager in una nota compagnia di telecomunicazioni, invece, in Calabria ci si è già trasferito da qualche mese. Milanese di adozione, ha sfruttato lo smartworking per tornare a casa: «L’azienda ha agevolato il lavoro agile e molti di noi ora lavorano dal Sud».
IL PROGETTO Ma le esperienze sono le più diverse, secondo l’Ansa: c’è chi opta per spostamenti temporanei, chi ha “allungato” le vacanze continuando a lavorare dal luogo di villeggiatura e chi pianifica una fuga permanente. Fatto sta che qualcosa si muove e potrebbe nascerne un nuovo modo di abitare l’Italia. In questo contesto, l’obiettivo del progetto South Working e dell’omonima associazione no profit è «studiare il fenomeno dello smart working localizzato in una sede diversa da quella del datore di lavoro, in particolare del Sud d’Italia e d’Europa, con i suoi pro e contro; aiutare lavoratori che vogliano intraprendere questa modalità di lavoro; formulare delle proposte di policy». Fondata a marzo, dopo l’irrompere della pandemia, l’associazione è stata promossa da giovani che lavorano «dove desiderano vivere» aderendo al «movimento internazionale “Work From Anywhere”». Secondo l’Istat nel 2019 – prima del Covid – lavoravano da casa non più di 1,3 milioni di persone. La pandemia ha cambiato le carte in tavola. Le stime dell’Istituto ora indicano una platea di potenziali smart worker che da 7 milioni può arrivare fino a 8,2.

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