di Michele Presta
REGGIO CALABRIA Resta in carcere Melania Angelica Serban ma con la sola accusa di rapina. Il gip del tribunale di Reggio Calabria, Valerio Trovato, ha ritenuto di non dover convalidare il fermo relativamente all’accusa per omicidio del 79enne Damiano Oriolo in quanto non ha riscontrato i gravi indizi di colpevolezza in ordine all’uccisione dell’uomo che si ritiene sia avvenuta il 6 aprile del 2017, data in cui è stato visto l’ultima volta da due testimoni a bordo della propria macchina sulla Strada Statale 107.
Nei confronti della donna di origini rumene difesa dall’avvocato Luca Barillà, il gip ha anche derubricato l’accusa di rapina aggravata perché commessa da più persone. Non supera il vaglio del gip di Reggio Calabria (che si è dichiarato incompetente per territorialità trasmettendo tutto al tribunale di Cosenza) l’inchiesta portata avanti dalla squadra mobile di Cosenza sotto la direzione della procura cosentina.
Nel corso dell’udienza di convalida l’indagata ha dichiarato di non aver mai conosciuto Damiano Oriolo. Circostanza che gli investigatori hanno confutato da alcune dichiarazioni oltre che dalle rilevazioni effettuate sul cellulare di ultima generazione sottratto alla vittima ed in possesso alla donna rumena. Nel fermo, sostengono gli inquirenti, la donna ha dato due versioni diverse circa il ritrovamento del dispositivo mobile mentre al gip ha raccontato di non aver mai posseduto un cellulare né tantomeno di avere mai attivato una sim. Quest’ultima circostanza ha permesso agli investigatori di collegare l’indagata a un fatto omicidiario avvenuto con le stesse modalità e consumato su di una spiaggia di Pizzo Calabro.
Per quel processo è stato condannato in via definitiva a 30 anni di reclusione Daniel Varga ex compagno dell’indagata e fratello della donna con cui Serban (che ha negato tutto) avrebbe attivato la sim poi utilizzata sul cellulare della vittima. Anche relativamente ad altre fattispecie finite nel fascicolo d‘inchiesta la donna rispedisce al mittente le accuse. Sostiene che si trovava in Romania il 6 aprile del 2017 e soprattutto che non ha mai chiesto all’avvocato la falsificazione di alcun documento che ne comprovasse la permanenza. Sulle dichiarazioni della donna, il gip annota comunque che: «risulta inverosimile la versione offerta dall’indagata che non ha fornito alcuna spiegazione logica ai dati compendiati nel fascicolo, continuando a ribadire di non conoscere l’uomo e di essere stata in Romania il giorno del delitto. Appare evidente il previo accordo tra la vittima, il quale era solito accompagnarsi con donne dell’Est Europa, e l’odierna indagata che ha allettato l’uomo con la proposta di un rapporto sessuale in un luogo isolato nel quale viene condotto e dove la Serban dopo averlo narcotizzato, lo deruba impadronendosi del telefono cellulare e dei beni di valore dallo stesso detenuti, ponendo la vittima in uno stato di incapacità di intendere e di volere».
Il gip è convinto della colpevolezza della donna relativamente alla rapina, ma lo stesso non riesce a definire in base all’accusa di omicidio. «Oriolo, stordito e narcotizzato, dopo la rapina è stato lasciato solo nella zona di montagna ove si era appartato con l’indagata e nel tentativo di tornare a casa è finito nella scarpata dove poi il veicolo è stato ritrovato – scrive il gip –. Sceso dall’autovettura si sarà incamminato a piedi verso la pubblica via prima che il suo corpo, presumibilmente, sia stato preda delle bestie selvatiche. La prospettazione accusatoria, ritiene che l’indagato abbia ucciso Oriolo per poi occultarne il cadavere ovvero gettarlo in mare con l’aiuto di ignoti complici o che avendo lasciato la vittima in condizioni di incapacità in una zona impervia e piena di insidie, in aperta montagna e al freddo si è prefigurata ed ha accettato il rischio della morte di questi, impossibilitato a rientrare verso casa».
Per il giudice «alcuna delle due ipotesi appare plausibile e in assenza di nesso di causalità tra l’azione posta in essere dalla dona al fine di rapinare l’Oriolo e l’evento morte dello stesso, mancando il contributo materiale alla verificazione dell’evento, non potendo ritenere allo stato degli atti l’azione realizzata quale condizione necessaria alla produzione del risultato dannoso. Nulla osta che nel caso di specie l’evento morte possa iscriversi in un decorso casuale autonomo sufficiente a determinarlo». (m.presta@corrierecal.it)
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