di Alessia Truzzolillo
CATANZARO «Vi prego! Abbiate pietà! Io voglio collaborare. Voglio continuare a collaborare vi prego! Vi prego procuratore! Non intendevo accusare nessuno. Non mi sono riconosciuto in quelle cose come lei stesso ha detto. Procuratore. La prego! Non intendo accusare nessuno, ho fatto un percorso di verità, procuratore, la prego! Dottore Borrelli». Il 17 aprile 2020 a Salerno è una giornata d’interrogatorio difficile che ha il suo culmine nel pianto e nelle suppliche del giudice sospeso della Corte d’Assise d’Appello, Marco Petrini, indagato (oggi imputato, ndr) per una serie di reati di corruzione in atti giudiziari che lo vedono protagonista quale magistrato avvicinabile e corruttibile da una serie svariata di personaggi dei quali alcuni, oggi, si trovano imputati con lui e altri sono ancora sotto la lente delle indagini. Il procuratore capo di Salerno, Giuseppe Borrelli, quel 17 aprile interrompe bruscamente l’interrogatorio. È palesemente insoddisfatto di una serie di risposte, alcune vaghe, altre poco convincenti, ricevute durante l’interrogatorio. Petrini collabora con la giustizia ma è una collaborazione che sembra dirigersi verso una brutta deriva. Alle suppliche in lacrime del giudice – che in quel frangente si trova ai domiciliari in un convento in Campania – il procuratore risponde senza troppi giri di parole: «Dottor Petrini, guardi, io non ho altre domande da farle. Sinceramente non credo di averne in avvenire. Quindi personalmente non posso continuare un interrogatorio se non ho, diciamo, argomenti da esplorare, diciamo… francamente, voglio dire, continuare l’interrogatorio significa intrattenermi con lei, diciamo, per… così, insomma in un qualsiasi conversare». Troppi i punti che rimangono in ombra, non ultimo la negazione di quanto affermato nei precedenti interrogatori, in particolare il 25 febbraio, nel corso dei quali il giudice, che era presidente di collegio, tirava dentro alcune vicende corruttive i togati Cosentino e Commodaro, componenti dello stesso collegio. Petrini prima nega categoricamente di averli coinvolti e poi afferma che nel corso di quegli interrogatori era particolarmente provato per l’esperienza del carcere e poi per un periodo di solitudine che aveva vissuto nel convento nel quale scontava i domiciliari. Ma procediamo con ordine.
«CHE FACCIA FECE MANNA?» A scatenare la chiusura finale del procuratore Borrelli nei confronti del giudice Petrini è stato il caso del processo a Francesco Patitucci, elemento di spicco della cosca Lanzino-Ruà, condannato a 30 anni in primo grado con l’accusa di essere il mandante nell’omicidio di Luca Bruni, e assolto in appello con sentenza di un collegio presieduto da Petrini e in cui Cosentino era relatore. Petrini afferma di avere ricevuto 5000 euro per quella sentenza da parte dell’avvocato Marcello Manna. Non era la prima volta che accadeva. In precedenza aveva ricevuto 2500 euro per intervenire sul caso di un altro assistito dell’avvocato, e sindaco di Rende, Manna: Antonio Ioele, «era il titolare di una concessionaria di autovetture di Cosenza, che le importava dalla Germania ed era stato mi sembra condannato in primo grado e anche in appello per bancarotta, riciclaggio una cosa del genere», racconta Petrini. Il giudice afferma che in quella prima occasione fu lui a proporre la corruzione all’avvocato che era andato nel suo ufficio a parlargli del caso Ioele «che era un procedimento particolarmente importante a cui teneva, e io ho detto che poteva andare anche nel senso che lui auspicava se mi avesse favorito economicamente». E davanti a quella proposta «che faccia fece Manna?», chiede Borrelli. «La faccia non me la ricordo, però mi disse di sì che andava bene». Manna, racconta Petrini, propose di dare al giudice 2500 euro e il giudice accettò. «Ma lei non si stupì di questa, come dire, di questa disponibilità del Manna?», chiede il procuratore Borrelli. Petrini: «No, veramente non c’ho fatto… dottore Borrelli» Borrelli: «Cioè lei… insomma dottor Petrini parliamoci francamente lei praticamente sapeva che Manna l’aveva fatto in altre circostanze oppure no?» Petrini: «No, ho corso il rischio diciamo, ecco». «Fatto è – sintetizza il verbale – che, di fronte a tale mia proposta, Manna disse che avrebbe potuto darmi 2500 euro senza necessità e non ebbe necessità di consultarsi prima con il suo assistito». Petrini racconta di avere ricevuto le 2500 dopo la sentenza. Su questa vicenda di recente l’avvocato Manna è intervenuto rappresentando la propria versione dei fatti.
«LEI LO FAREBBE UNO SCHERZO A PATITUCCI?» Per quanto riguarda il processo a Patuticci, la proposta venne avanza in questa occasione, racconta Petrini, da Manna il quale offrì 5000 euro in cambio di una sentenza favorevole. «Dunque l’avvocato Manna mi diede quei soldi quel 30 maggio prima della decisione», racconta il magistrato. Il procuratore Borrelli si meraviglia per quei soldi elargiti, e accettati, prima della sentenza nei confronti un soggetto del calibro di Patitucci. «Lei lo farebbe uno scherzo a Patitucci?», chiede Borrelli a Petrini. Petrini: «Sapevo chi era certo». Borrelli: «Eh! Appunto. Allora, praticamente lei i soldi in questo caso li ha prima. Il relatore è Cosentino. Come vanno le cose?». Insomma, nel caso dell’omicidio di Luca Bruni c’era una giuria popolare, il relatore era Cosentino, come si faceva a portare la sentenza verso l’assoluzione? Petrini racconta che era stato rinnovato il dibattimento e che due collaboratori, «Foggetti, La Manna… mi sembra. Che abbiamo risentito appunto in grado di Appello e che, a mio modo di vedere, ma anche a modo di vedere del dottore Cosentino, insomma, alla luce dei parametri che regolano la materia, fecero una sorta di progressione dichiarativa rispetto alle originarie dichiarazioni già acquisite agli atti». Oltre alla testimonianza dei due pentiti giudicata più debole rispetto alle volte precedenti, c’è anche un altro elemento, racconta Petrini: «Inoltre per lo stesso fatto omicidiario erano già stati condannati definitivamente, nell’ambito di altro processo denominato Rando-Zingari (Rango-Zingari, ndr) altro mandante ed altri esecutori». Elementi che avrebbero condizionato il giudizio di giudici e giuria popolare. «È ovvio che anche la dazione di denaro mi ha condizionato certo», ammette Petrini. Ma, si chiede Borrelli, «come poteva l’avvocato Manna essere convinto che Cosentino non avesse, diciamo come dire una posizione contraria all’assoluzione di Patitucci?». Petrini: «Ma no… questo non lo so dire, non lo so. Cioè, voglio dire, lui sapeva che il relatore era Cosentino, penso avrà confidato sul mio intervento, ecco. Penso […] Io non ho mai rassicurato che il Cosentino avrebbe fatto come dicevo io». Borrelli: «Senta nell’interrogatorio del 25.02.2020 lei dichiarò che il Cosentino era parte dell’accordo corruttivo». Petrini: «No, no». Borrelli: «Come no, lo ha detto, no». È a partire da queste smentite che il rapporto di collaborazione si incrina. «Intendo collaborare Procuratore, intendo collaborare. Dottore Borrelli», invoca tra le lacrime Marco Petrini. Ma procuratore Giuseppe Borrelli, non lascia molti spiragli: «E va be’, collabori! Scriva una memoria». Petrini avverte la gravità della propria condizione: «Adesso che mi succede? Che mi succede ora procuratore? Eh?». Accadrà che il 29 aprile successivo il giudice Marco Petrini, per la seconda volta, verrà condotto in carcere, questa volta con l’accusa di inquinamento probatorio. Secondo la Procura di Salerno, il giudice sarebbe stato indotto dalla moglie, Maria Stefania Gambardella, anche lei indagata, a ritrattare o modificare le accuse mosse negli interrogatori dello scorso febbraio. Otterrà i domiciliari, in un convento a Decollatura, un mese dopo su disposizione del Tribunale del Riesame. (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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