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Da Reggio alle cave di porfido in Trentino. Colpo al clan Serraino – NOMI E VIDEO

Doppia operazione “Pedigree 2” e “Perfido” condotta dalla Squadra Mobile e i Carabinieri del Ros di Trento e Reggio Calabria. Emesse in tutto 24 misure cautelari

Pubblicato il: 15/10/2020 – 12:35
Da Reggio alle cave di porfido in Trentino. Colpo al clan Serraino – NOMI E VIDEO

REGGIO CALABRIA Alle prime ore della mattinata odierna, a conclusione di complesse e articolate indagini, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia della Procura della Repubblica di Reggio Calabria diretta dal Procuratore Giovanni Bombardieri, nell’ambito dell’operazione “Pedigree 2”, la Squadra Mobile e i Carabinieri del ROS di Trento e Reggio Calabria hanno dato esecuzione ad un decreto di fermo nei confronti di cinque persone, indiziate del delitto di associazione mafiosa, in quanto considerati appartenenti alla cosca di ‘ndrangheta dei Serraino (QUI LA NOTIZIA). 
Contestualmente è stata data esecuzione, dai Carabinieri del Ros di Trento, ad un’ordinanza applicativa di misure cautelari emessa dal gip del Tribunale di Trento, su richiesta della locale Procura della Repubblica, nell’ambito del procedimento “Perfido”, a carico di 19 soggetti indagati, a vario titolo, per i delitti di associazione mafiosa, considerati membri della locale di ‘ndrangheta di Lona Lases, proiezione della cosca Serraino nella provincia di Trento, scambio elettorale politico-mafioso, porto e detenzione illegale di armi da fuoco e riduzione o mantenimento in schiavitù.
PEDIGREE 2 L’inchiesta, coordinata dai sostituti procuratori della Repubblica di Reggio Calabria, Stefano Musolino, Walter Ignazitto e Sara Amerio, ha portato al fermo di indiziato di delitto e sequestro preventivo d’urgenza emesso, sussistendo il pericolo di fuga, nei confronti dei seguenti soggetti, ritenuti tutti responsabili di associazione mafiosa. L’indagine “Pedigree 2” riassume, quindi, gli ulteriori esiti di articolate investigazioni, condotte con l’ausilio di molteplici presidi tecnici di intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche e con l’apporto dichiarativo di numerosi collaboratori di Giustizia reggini, anche recenti e, di fatto, costituisce il seguito dell’operazione “Pedigree”, nell’ambito della quale la Squadra Mobile di Reggio Calabria, il 9 luglio scorso, ha tratto in arresto capi e gregari della cosca Serraino.
Il blitz, inoltre, è integrato dalle risultanze di un’indagine della Dda di Trento, condotta dai Carabinieri del Ros del luogo a carico di un’articolazione della stessa cosca, operante in Trentino Alto Adige e in costante contatto con gli esponenti più autorevoli della “casa madre” reggina. Convergenze di rilievo investigativo hanno portato al coordinamento promosso dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria e Trento sotto l’egida della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo.
I NOMI Le persone fermate questa mattina nel corso dell’operazione “Pedigree 2” sono cinque:
Antonio Serraino, detto “Nino”, nato a Cardeto [RC] il 19.2.1980, residente a Reggio Calabria, attuale reggente dell’omonima cosca di ‘Ndrangheta, figlio del defunto Domenico Serraino [cl. ’45, detto “Mico”] e nipote del defunto Serraino Francesco classe 1929 alias “il boss della montagna”.
Francesco Russo, detto Ciccio “lo Scalzo” o “’u Scazzu”, nato il 24.08.1973 a Cardeto [RC], residente a Reggio Calabria;
Antonino Fallanca, nato a Cardeto [RC] il 13.8.1954, residente a Reggio Calabria [RC];
Paolo Russo, detto “Zamburro”, nato a Cardeto [RC] il 2.10.1961 ed ivi residente;
Sebastiano Vecchio, detto “Seby”, nato a Reggio Calabria l’8.2.1973, ivi residente, Assistente Capo Coordinatore della Polizia di Stato, in forza presso il Compartimento Polizia Ferroviaria di Venezia e attualmente sospeso dal servizio in forza di un provvedimento disciplinare.
LE INDAGINI Le indagini hanno dunque consentito di accertare che il ruolo apicale in seno alla consorteria mafiosa è attualmente ricoperto da Antonio Serraino, detto “Nino”, figlio del defunto Domenico “Mico”, classe ‘45, fratello di Alessandro Serraino, classe ‘75 detto “Lisciandro”. Il suo ruolo di vertice all’interno dell’omonima cosca è stato tratteggiato anche dai collaboratori di Giustizia che lo indicano quale esponente di spicco dell’associazione mafiosa con un profilo più riservato rispetto a quello del fratello Alessandro, ma ugualmente strategico, particolarmente rivolto alla cura degli aspetti cruciali legati alle infiltrazioni nell’economia ed ai rapporti con la politica e le istituzioni, sebbene abbia finito per assumere, nel corso degli ultimi anni, dopo l’arresto del fratello Alessandro e del cognato Fabio Giardiniere, un ruolo maggiormente operativo prendendo in mano le redini della ‘ndrina soprattutto nella gestione delle estorsioni e nella suddivisione dei proventi illeciti del sodalizio.


GLI ALTRI RUOLI Al vertice della cosca, dunque, secondo gli investigatori c’era Nino Serraino, circondato comunque da altre figure di rilievo. Come Francesco Russo, classe ’73, detto “Ciccio lo scalzo”, indicato dai collaboratori di Giustizia come storico componente della cosca con il ruolo direttivo. Dopo la sua recente scarcerazione, nel 2017, aveva mantenuto un ruolo apicale, interloquendo direttamente con il capo della ndrina Nino. C’era poi Antonino Fallanca, amministratore unico della “Fallanca Colori s.r.l.”, ditta che si occupa di produzione e commercializzazione all’ingrosso ed al minuto di vernici, colori, ferramenta, bricolage, di prodotti per l’edilizia e legname – al quale hanno fatto riferimento i collaboratori di Giustizia, che lo indicano come affiliato di elevato lignaggio criminale della cosca Serraino, la cui crescita imprenditoriale è stata alimentata dai suoi rapporti privilegiati con le ndrine Serraino e Rosmini. Secondo le indagini, l’imprenditore avrebbe sfruttato il suo ruolo di esponente di vertice di una delle più temibili cosche di ‘ndrangheta, per indurre gli imprenditori locali ad avvalersi dei servizi resi dalla propria impresa.
A carico di Sebastiano Vecchio, detto “Seby”, assistente Capo Coordinatore della Polizia di Stato in forza al Compartimento Polizia Ferroviaria di Venezia, attualmente sospeso dal servizio per motivi disciplinari, nonché, per diversi anni, consigliere comunale ed assessore a Reggio Calabria dove ha rivestito anche la carica di Presidente del Consiglio Comunale, la Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria ha disposto il fermo di indiziato di delitto per associazione mafiosa sulla base di plurime chiamate in correità, riscontrate peraltro dagli esiti di alcune intercettazioni effettuate nell’ambito del procedimento Pedigree – dalle quali è stato delineato a suo carico un gravissimo quadro indiziario. Diversi collaboratori di giustizia hanno descritto Sebastiano Vecchio come soggetto legato, a doppio filo, alla cosca Serraino e ciò a dispetto dei ruoli istituzionali rivestiti. Vecchio, poliziotto a lungo dedicatosi all’attività politica, in tale doppia veste non ha esitato ad interloquire con il clan e con altri esponenti della criminalità organizzata reggina, ricavando benefici elettorali ed assicurando ai suoi sodali una ventennale “messa a disposizione” per venire incontro alle loro più svariate esigenze.Subito dopo la sua elezione e la successiva designazione quale Assessore alla Pubblica Istruzione, erano sorte, però, impreviste tensioni con gli esponenti del sodalizio mafioso, degenerate persino nel danneggiamento incendiario di due autovetture di Sebastiano Vecchio.
IL CONTROLLO SU TRENTO Sotto il profilo delle attività criminali, è emerso come gli esponenti della Locale di ‘ndrangheta a Lona Lases, provincia di Trento,  abbiano assunto il controllo di fatto del settore dell’estrazione e della lavorazione del porfido, maggiore risorsa economica del luogo, attraverso un processo di progressiva infiltrazione del pertinente tessuto imprenditoriale, avviato da Giuseppe Battaglia. In tale ambito imprenditoriale, oltre a sistematiche attività di vessazione ed intimidazione sulle maestranze, è emerso come siano state avviate operazioni speculative attraverso la commercializzazione dei semilavorati in nero e la falsificazione dei bilanci di esercizio delle imprese a loro riferibili. Inoltre, è stato riscontrato come sia stata pianificata la progressiva infiltrazione della politica locale attraverso l’inserimento dei sodali negli organi di governo comunale di Lona Lases all’evidente fine di condizionarne l’attività politica e amministrativa. In tale contesto, oltre ad aver intessuto una fitta rete di contatti con diversi ambiti della società civile (imprenditoria, istituzioni, politica), è stato anche offerto il sostegno elettorale ad alcuni candidati in vari appuntamenti elettorali per il rinnovo di vari enti locali.
Altresì, è stata accertata l’operatività di una seconda consorteria mafiosa attiva a Roma i cui membri, sotto la direzione di Domenico Morello organico alla locale di Lona Lases, erano preposti alla gestione di diverse imprese operanti in Trentino e nel Lazio che, nei programmi degli indagati, sarebbero state funzionali all’esecuzione di articolate attività di riciclaggio, trasferimento fraudolento di valori, di fatturazioni per operazioni inesistenti e per permeare gli ambienti istituzionali. Da ultimo, il Ros unitamente alla Guardia di Finanza di Trento è stato delegato all’esecuzione di un decreto di sequestro di beni mobili e immobili, nonché rapporti bancari per un controvalore di 1.500.000 €, riconducibili ai soggetti destinatari del provvedimento cautelare emesso dal Tribunale di Trento.
I SEQUESTRI Contestualmente, è stato eseguito il sequestro preventivo disposto dalla Direzione Distrettuale Antimafia a carico della società “Fallanca Colori s.r.l.”, con sede a Reggio Calabria, e relativo patrimonio aziendale comprensivo di beni immobili, mobili registrati e disponibilità finanziarie, intestata ai familiari di Antonino Fallanca, amministratore unico della società. La Direzione Distrettuale Antimafia reggina ha ritenuto necessario procedere al sequestro preventivo di tale attività imprenditoriale, in quanto risultata in rapporto di conclamata strumentalità con il reato di associazione mafiosa contestato a Antonino Fallanca.

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