REGGIO CALABRIA «La polizia di Stato ha al proprio interno gli anticorpi capaci di neutralizzare gli elementi infedeli e le mele marce. L’arresto di Vecchio e la più lampante testimonianza di questo». È quanto affermato dal questore di Reggio Calabria Bruno Megale nel corso della conferenza stampa sull’operazione “Pedigree 2” contro la cosca Serraino e nella quale il poliziotto ed ex assessore comunale Seby Vecchio è stato raggiunto dal provvedimento di fermo emesso dalla Dda reggina (QUI LA NOTIZIA).
«I contatti con la cosca Serraino – ha aggiunto il procuratore Giovanni Bombardieri – sono proseguiti nel tempo, sia durante la latitanza del boss Maurizio Cortese sia più di recente. Nei confronti dell’ex assessore abbiamo raccolto dichiarazioni di ben otto collaboratori di giustizia riscontrate dall’attività tecnica e di intercettazione eseguita dalla squadra mobile e dei carabinieri. Oggi abbiamo potuto ricostruire tutte le vicende che lo riguardano. Bisogna dare atto alla polizia di Stato di avere avuto la fermezza di andare avanti con questa indagine che ancora una volta dimostra la convergenza con altre autorità giudiziarie come quella di Trento».
Nei confronti di Seby Vecchio, che è anche assistente capo della polizia di stato, il procuratore Bombardieri e i sostituti della Dda Stefano Musolino, Sara Amerio e Walter Ignazitto hanno emesso un provvedimento di fermo. Con lui sono finiti in carcere Antonio Serraino detto “Nino”, Francesco Russo detto “Ciccio lo Scalzo”, Antonino Fallanca e Paolo Russo alias “Zamburro”.
Secondo i magistrati, Seby Vecchio, accusato anche di intestazione fittizia, era il “politico di riferimento della cosca”. Nel capo di imputazione c’è scritto il clan gli assicurava “consistenti pacchetti di voti in occasione delle elezioni” e lui “sfruttava il ruolo di consigliere e assessore comunale per garantire favori ai membri della cosca di appartenenza e agli esponenti di altre articolazioni della ‘ndrangheta reggina”.
Il politico e poliziotto arrestato, inoltre, avrebbe assicurato protezione ai sodali e procurato notizie riservate sulle indagini in corso. Inoltre, avrebbe agevolato la latitanza dei capi della cosca che intendevano sottrarsi alla cattura e supportato gli interessi economici del sodalizio e dei suoi capi, agevolando l’apertura di attività commerciali ed instaurando rapporti societari di fatto (tramite il ricorso a fittizie intestazioni) per consentire l’avviamento di nuove attività imprenditoriali e scongiurare il rischio di sequestri.
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