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«Sono ufficialmente pazza, quella pazzia che serviva alla Calabria»

di Lenin Montesanto*

Pubblicato il: 16/10/2020 – 13:20
«Sono ufficialmente pazza, quella pazzia che serviva alla Calabria»

La straordinaria emozione che da ieri sta attraversando tutta l’Italia e che, dichiarazione dopo dichiarazione, sta confermando in modo diffuso e popolare, come mai era accaduto prima, la notorietà, la qualità ed il valore nazionale di un presidente della Regione Calabria, restituisce anzi tutto ai calabresi l’identità vera di una pasionaria laica per pochi mesi al governo di questa terra bella e maledetta; ma allo stesso tempo seppellisce senza alcun miracolo di resurrezione i tentativi miserrimi di chi in vita avrebbe voluto lederne fino all’ultimo l’immagine e la dignità.
La selezione naturale di aggettivi preferiti per descrivere Jole Santelli, che continuano a susseguirsi nel ricordo personale, nell’affetto autentico, nel cordoglio e nella stima istituzionale così come negli auspici sinceri e spontanei di tantissimi semplici cittadini sui social, dai vertici dello Stato al Presidente Berlusconi, dalle sue colleghe e dai suoi amici di partito e di tante battaglie in Parlamento al regista Gabriele Muccino ed al giornalista Gianni Minoli, non soltanto è vera e coerente con la natura del Personaggio privato e pubblico ma azzera ogni rischio di retorica da circostanza.
Coraggiosa. Determinata. Libera. Forte. Audace. Protagonista. Appassionata, orgogliosa, fiera e combattente della e per la sua terra.
Era così ed era tutte queste cose assieme, certo. Ma era anche e soprattutto altro.
In questa terra, lo ripeto bella e maledetta, Jole Santelli era anzi tutto una pazza.
Sì, una pazza, non ho remore a dirlo ed a ripeterlo.
Sia perché pazza è stata la parola più ricorrente nei tanti messaggi, diretti ed istintivi, intercorsi con lei e nei diversi confronti su come ribaltare radicalmente lo storytelling e la percezione interna ed esterna della Calabria, puntando con durezza e tenerezza all’identità, magica e magnetica, di questa terra.
E sia perché è stata la stessa Presidente Santelli ad autorizzarmi ad usare quell’aggettivo per descriverla in modo più efficace.
Fu dopo la recente presentazione pubblica della nuova visione e stagione della Film Commission regionale (tra le intuizioni più forti in questi pochi mesi alla guida della Regione), conversando insieme a Gianni Minoli all’ultimo piano della Cittadella, in una giornata così tempestosa che sembrava far decollare l’astronave in cui eravamo alloggiati.
Definendomi pazzo tanto quanto lei mi chiese di condividere con uno dei maestri della tv e del giornalismo italiano il progetto di un manifesto dei marcatori identitari distintivi della Calabria, che le avevo esposto qualche mese prima, di cui lei si era subito innamorata interpretandolo da protagonista e con suggerimenti preziosi e che, insieme ad altre analoghe lucide follie di cui parlavamo da tempo, mi aveva chiesto di aiutarla a realizzare.
In conferenza stampa Minoli si era pubblicamente definito più pazzo della Santelli nell’accettare da lei non tanto l’incarico in se’ di presidente della Film Commission regionale ma la responsabilità di tradurre l’ambizioso sogno della Presidente per la sua Calabria.
Quando, qualche minuto dopo, eravamo insieme noi tre faccia a faccia, sussurrai all’orecchio di Jole se potevo definirla pubblicamente pazza dopo lo sdoganamento di quell’attributo da parte dell’autore di Mixer e di La Storia siamo noi. E lei mi disse: procedi pure, ora sono ufficialmente pazza! E così feci, pubblicando un post su quell’incontro e su quella giornata storica per la Calabria.
Jole era folle, sì.
Nella e per la Regione Calabria, sia come terra che come istituzione, come comunità e come classe politica e dirigente, in pochissimo tempo la Presidente Santelli ha rappresentato quella che Gaston Bachelard definisce una rottura epistemologica, un improvviso cambio semantico per concetti e perfino parole che fino ad un momento ed un’epoca prima significano tutt’altro; una rottura di schemi ereditati e mai messi in discussione, una rottura di cliché e tabù consolidati; una rottura di prassi nelle stesse relazioni istituzioni e, permettetemelo, anche una grande rottura di scatole per molti.
In questo senso Jole Santelli era davvero una pazza.
Lo era per l’apparato politico e per la stessa area politica di provenienza e di generale appartenenza. Così come era pazza per quel che resta dell’architettura dei partiti, incluso il suo. Era pazza per molti dei suoi grandi e piccoli elettori alle ultime regionali, alcuni dei quali forse avrebbero preferito una Presidente meno libera, meno laica, meno indipendente e meno autonoma.
Ed era sicuramente pazza per il mostro della burocrazia regionale.
Perché, come possono testimoniare tutti i suoi più stretti amici e collaboratori, soprattutto quei pochissimi di cui si fidava e si è fidata ciecamente fino all’ultimo giorno, Jole Santelli rompeva gli equilibri e dava fastidio, sempre col sorriso.
Ecco, questa precisa pazzia, la divina follia creativa e visionaria spiegata da Platone, quel pensiero che procede per immagini e non per concetti e che fu anche la magia di Giordano Bruno (e per Jole Santelli era proprio la magia della Calabria uno dei più potenti marcatori identitari da raccontare), resta forse il suo messaggio di metodo più profondo e vivace per continuare a scioccare ed a normalizzare questa terra, anche continuando a preferire, così come faceva lei, la tarantella al jazz; e questa lucida follia è anche l’eredità più affascinante ed urgente che, all’improvviso, ci lascia la prima presidente donna della Calabria.
*giornalista

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