CATANZARO La due giorni della Commissione parlamentare nel Vibonese non è stata un semplice prologo dell’attività svolta a Catanzaro. Quel territorio, martoriata da decenni da una criminalità forse sottovalutata ma potentissima, ha bisogno di nuove attenzioni e di una profonda analisi delle dinamiche criminali che lo attraversano. Wanda Ferro, membro della Commissione e deputata eletta nel collegio di Vibo per Fratelli d’Italia, partito di cui è anche coordinatrice regionale, ne ha discusso con il Corriere della Calabria.
L’inchiesta Rinascita Scott ha illuminato i rapporti tra cosche, impresa e politica nella provincia di Vibo Valentia. Rispetto alla pervasività della ‘ndrangheta esiste un’emergenza specifica per questo territorio?
«La criminalità organizzata vibonese è pervasiva, radicata, presente in maniera capillare sul territorio, e dimostra una grande forza di intimidazione e la capacità di inquinare il tessuto economico in ogni settore. Numerose inchieste della magistratura hanno messo in evidenza i legami tra uomini delle cosche e politici, amministratori pubblici, professionisti e imprenditori che non esitano a mettersi a disposizione degli interessi dei clan, ed è proprio questo genere di connivenza che ha consentito alla ‘ndrangheta di infiltrarsi in ogni settore dell’economia. Il contributo di professionisti collusi consente alle cosche di utilizzare meccanismi sempre più sofisticati per il riciclaggio dei capitali e l’intestazione fittizia dei beni. In un territorio a forte vocazione turistica ci sono forti interessi nel controllo della filiera della ricettività e della ristorazione. Molti imprenditori sono costretti a chiedere protezione, vengono imposte le forniture e l’assunzione di personale. Gli affari della ‘ndrangheta spaziano, come è noto, in tutti i settori, dal narcotraffico al ciclo dei rifiuti, dalle estorsioni all’usura e al riciclaggio internazionale, dal movimento terra al taglio boschivo, dal controllo dei servizi funerari all’accaparramento di terreni rurali attraverso l’estorsione: qualche giorno fa in conferenza stampa il procuratore Gratteri ha evidenziato il valore simbolico dell’attentato con un’autobomba nel quale è rimasto ucciso a Limbadi il giovane biologo Matteo Vinci, la cui famiglia si era rifiutata di cedere un pezzo di terra ai Mancuso».
Sono emersi durante la visita a Vibo dati preoccupanti sull’infiltrazione dei clan negli enti locali?
«Sì, i dati sono preoccupanti, basti considerare lo scioglimento per infiltrazioni mafiose di 6 comuni della provincia negli ultimi quattro anni. In aeree geografiche come quella Vibonese i soldi pubblici sono la principale attrattiva per la criminalità organizzata. C’è una massiccia aggressione delle cosche alla Pubblica amministrazione, attraverso diverse forme di infiltrazione e condizionamento. In alcune relazioni si evidenzia l’esistenza di una vera e propria interfaccia stabile con le istituzioni. Dalle inchieste emerge l’interesse delle cosche in ogni settore dell’apparato pubblico – addirittura sul servizio di tumulazione dei cadaveri dei migranti – e in particolare in quello della sanità, dall’accaparramento degli appalti alle assunzioni degli affiliati all’interno delle strutture sanitarie, fino all’interessamento per le prenotazioni di visite mediche e analisi cliniche. Per questo è importante che a guidare la Procura ordinaria di Vibo sia un magistrato con una importante esperienza nella Dda come il procuratore Falvo, che nel corso delle audizioni ha fornito ampi elementi conoscitivi alla Commissione».
Le inchieste dei magistrati antimafia calabresi illuminano da anni intrecci tra ‘ndrangheta e politica per la ricerca del consenso. E la Calabria si appresta a vivere una nuova campagna elettorale per le Regionali. C’è una ricetta per “scansare” i clan?
«Condizionare la vita politica è essenziale per gli affari dei clan, che per questo puntano a controllare il consenso. Bisogna intervenire a più livelli. Il primo, come ripeto spesso, è quello di rendere libero il consenso, liberando i cittadini dal bisogno. Dare la dignità del lavoro, assicurare servizi efficienti, la protezione dei più deboli, il diritto alla salute, garantire la giustizia sociale, rende i cittadini liberi di scegliere, e non sottomessi al favore del politico o al sostegno del malavitoso.
Poi c’è l’esigenza di ritrovare il senso dell’etica, la dignità, la responsabilità, non solo nella politica ma in ogni settore della vita sociale. La lotta alla cultura mafiosa richiede l’impegno di tutti, degli imprenditori sani e onesti, delle forze sociali, degli intellettuali, di chi fa informazione, della scuola, della Chiesa. Per quanto riguarda la politica, in un contesto sociale in cui una parte del consenso è condizionata dal bisogno, o dall’interesse particolare, o peggio da interessi criminali, è fondamentale il ruolo dei partiti nella selezione della classe dirigente. La conoscenza del territorio è fondamentale, anche perché gli strumenti di controllo nella definizione delle candidature si sono dimostrati inefficaci, e attestare di avere la fedina penale pulita non dà sufficienti garanzie. Per questo ho proposto di pensare ad un database unico nazionale in cui poter verificare se un aspirante candidato sia sottoposto ad indagine, se non si tratta, come è ovvio, di fasi ancora coperte da segreto investigativo. A questo deve aggiungersi una maggiore attenzione dei responsabili territoriali dei partiti, dei candidati a sindaco o a presidente, che si presume abbiano una maggiore conoscenza delle dinamiche del territorio. Infine una maggiore fermezza: Fratelli d’Italia, ad esempio, non fa da scudo a chi è coinvolto in vicende giudiziarie, ma anzi si costituisce parte civile nei processi».
Per il presidente della Commissione parlamentare antimafia Morra la Calabria deve tornare a essere un’emergenza nazionale. Il procuratore di Catanzaro Gratteri, invece, considera l’approccio emergenziale perdente. Il tema è molto vasto ma se dovesse pensare a un numero ristretto di azioni da avviare il prima possibile quali sceglierebbe?
«Nel corso delle audizioni dei vertici degli uffici giudiziari abbiamo raccolto dei veri e propri cahiers de doléances sugli organici e sulle strutture. Penso alla nuova aula bunker o alla necessità di completare i lavori di realizzazione del nuovo tribunale di Vibo Valentia, in costruzione da 24 anni. Penso alle richieste di realizzare efficaci sistemi di videosorveglianza che potrebbero dare un contributo straordinario alle attività investigative. Il governo deve assumersi la responsabilità di intervenire con rapidità ed efficienza, magari affidando strumenti operativi e risorse ad un commissario».
Dalla postazione della Commissione parlamentare, tra visite ispettive e audizioni, che impressione ha sull’incidenza dei fenomeni mafiosi sulla cosa pubblica? E quali sono i rischi legati allo sfruttamento dell’emergenza Covid da parte delle mafie?
«Gli interventi a sostegno dell’economia messa in crisi dall’emergenza Covid non possono sfuggire agli appetiti delle cosche mafiose. La ‘ndrangheta investe da anni in quello che è il settore principe della pandemia, quello sanitario, ed è stata rapida a intuire le nuove opportunità di business e ad inserirsi nel mercato, alla proprie condizioni e senza vincoli burocratici. Ci sono gli interessi nella produzione di mascherine e dispositivi di protezione individuale, ma anche lo smaltimento dei rifiuti speciali. Ma c’è anche la capacità delle cosche, che dispongono di ingente e immediata liquidità, di dare sostegno alle famiglie bisognose, un welfare criminale che punta ad alimentare il consenso sociale, e di sostenere con i prestiti le imprese in difficoltà, con l’obiettivo di assumerne il controllo. Per questo è importante che l’intervento dello Stato a sostegno dell’economia e delle famiglie sia concreto e tempestivo. La criminalità punta a prendersi tutto, a infiltrarsi a ogni livello nell’economia, un allarme, questo, lanciato ormai da mesi. Infine non posso non ricordare la scandalosa vicenda della scarcerazione dei boss con il pretesto del rischio Covid, rispetto alla quale noi di Fratelli d’Italia abbiamo denunciato ritenendola una sorta di resa del governo dopo le rivolte fomentate all’interno degli istituti di pena, e che probabilmente ha dato l’opportunità alle cosche di rinsaldare gli assetti criminali sul territorio». (ppp)
x
x