di Alessia Truzzolillo
CROTONE Un terreno di 12 ettari nel Comune di San Giovanni in Fiore viene messo in vendita al prezzo di 500mila euro. Sul terreno ci sono alberi – “materiale legnoso” lo chiamano gli inquirenti – che possono essere tagliati e venduti. Un imprenditore agricolo e allevatore di Cirò, Michele Colucci, vuole comprarlo ma ha bisogno di un finanziatore perché non dispone di tutto il capitale. Così cerca qualcuno che metta metà dei soldi (250mila euro) «in cambio della possibilità di tagliare e vendere il materiale legnoso insistente sul terreno». Ha inizio da qui la storia che vede interfacciarsi le cosche della provincia di Crotone con quelle di Vibo. Al centro degli interessi dei clan c’è l’affare del taglio boschivo, un interesse monopolizzato dalla ‘ndrangheta dal Pollino allo Stretto. L’imprenditore in questore si rivolge a Domenico Paterino e Francesco Carvelli per trovare un finanziatore. Carvelli è fratello di Aldo, detto “sparalesto”, condannato alla pena dell’ergastolo il primo giugno 2006, con sentenza definitiva della Corte di Cassazione per i reati di associazione mafiosa e omicidio. Carvelli e Paterino a giugno 2017 si rivolgono a Nicola Antonio Monteleone e gli propongono di fare da finanziatore. Monteleone è stato tratto in arresto, a luglio scorso, nel corso dell’operazione della Dda di Catanzaro “Imponimento” contro la cosca Anello-Fruci di Filadelfia. L’accusa nei suoi confronti è di associazione mafiosa perché considerato imprenditore di riferimento dell’organizzazione capace di garantire al sodalizio di inserirsi e monopolizzare il lucroso affare del taglio boschivo. Uno stralcio del fermo “Imponimento” è stato depositato da sostituto procuratore della Dda di Catanzaro Domenico Guarascio nel processo “Stige” dove sono imputati, quali intranei alla cosca Farao-Marincola, gli imprenditori Spadafora.
SPADAFORA Ma se nel territorio tra Filadelfia e Lamezia, Monteleone gestiva l’affare dei boschi, il lato nord della regione risulta essere nelle mani delle cosche crotonesi, comprensorio Silano incluso. Infatti viene fuori che per quei 12 ettari di terreno si era proposto l’imprenditore Pasquale Spadafora, titolare, insieme al padre e ai fratelli dell’omonima ditta indicata dalla Dda di Catanzaro com impresa in odore di ‘ndrangheta e contigua alla cosca Farao-Marincola di Cirò. Sono gli Spadafora, secondo l’accusa, a monopolizzare il taglio boschivo in Sila, forti di un apparato di protezione che in parte deriva dal sostegno della cosca cirotana e in parte dall’appoggio di pezzi delle istituzioni come il maresciallo Carmine Greco, comandante della Stazione di Cava di Melis (anche lui imputato, in uno stralcio di Stige, con l’accusa di associazione mafiosa).
Spadafora, imputato nel processo con rito ordinario “Stige”, risulta dalle indagini di “Imponimento” essere stato proposto quale finanziatore da membri della cosca Comberiati di Petilia Policastro.
PER EVITARE CONTRASTI TRA FAMIGLIE L’affare rischiava di portare il cattivo tempo tra due famiglie di ‘ndrangheta, i Comberiati e i Carvelli, per questa ragione sull’affare intervengono «appartenenti al locale di ‘ndrangheta di Cirò al fine di svolgere il compito di arbitri e supervisori».
Nell’affare entra Rocco Anello, capo cosca di Filadelfia, che tranquillizza Monteleone dicendogli che i cirotani erano persone molto affidabili che mantenevano gli equilibri delle varie famiglie di ‘ndrangheta a partire da Catanzaro. Intercettato Monteleone racconta che c’era stata una riunione e si erano seduti intorno a un tavolo anche Pasquale Spadafora e i referenti criminali delle cosche cirotane. Non solo. Il 20 giugno 2017, nella Porsche di Monteleone il boss Rocco Anello afferma di dover inviare un’imbasciata a un uomo di Cirò, cognato di Cataldo. Secondo gli investigatori si tratta del cognato di Cataldo Marincola, ai vertici della cosca Farao-Marincola.
A quanto pare – traspare da un’altra intercettazione – Luigi Comberiati (indicato da Monteleone come una figura di rilievo criminale) aveva dovuto scusarsi con gli altri esponenti di rilievo in questo contesto criminale per essersi fatto coinvolgere da Pasquale Spadafora. «… era con Spadafora no? Però… infatti poi è andato dai cristiani e gli ha chiesto scusa… “fate ciò che dovete fare”». Alla fine l’affare se lo accaparra Nicola Antonio Monteleone, grazie all’intercessione della cosche di Cirò che mettono un paletto agli Spadafora. Naturalmente è pacifico che ci sono proventi da destinare alle cosche di ‘ndrangheta. «Qualche santo deve essere pagato», dice Monteleone a Franco Carvelli, il quale gli conferma: «Che tu lo devi capire com’è il discorso. L’autotreno lo dobbiamo dividere. eeee te lo devi dividere tu e loro ….e pure io insomma ci guadagno pure io». L’affare del taglio boschivo non si può gestire come nulla fosse. Gli interessi sono molteplici, si consumano summit, per poter partecipare è necessario essere “sponsorizzati”. (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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