di Alessia Truzzolillo
LAMEZIA TERME «Si decise che la prima persona della famiglia dei Torcasio che doveva morire era Giovanni. Per mille motivi, che vanno dal suo temperamento, Giovanni è una persona che sapevano tutti che se doveva andare a fare un omicidio non di certo andava a rubare la macchina, a mettersi il passamontagna, ma andava e faceva l’omicidio; delle sue conoscenze, perché comunque Giovanni aveva contatti con i Giorgi, aveva contatti con i Pizzata, aveva… cioè aveva molti amici a San Luca e quindi si decise che la prima persona che doveva morire era Giovanni Torcasio…». A raccontare è Gennaro Pulice, uomo tutto fare per la consorteria Iannazzo-Cannizzaro-Daponte, oggi collaboratore di giustizia.
Il modo di fare fuori il rivale la cosca lo ha trovato il 29 settembre 2000.
Un agguato in pieno giorno e in pieno centro, a Lamezia Terme, all’ingresso di quello che è il quartiere-fortino della cosca Torcasio.
Sono passati 20 anni dal duplice omicidio di Giovanni Torcasio e Cristian Matarasso. Alle 10:15 del mattino stavano percorrendo via dei Bizantini, arteria principale del quartiere Capizzaglie, a bordo di una Fiat Punto quando sono stati affiancati da Pietro Iannazzo e Antonio Davoli a bordo di una moto rubata, una Yamaha R1 guidata da Iannazzo. Con due pistole calibro 9×21 i killer hanno aperto il fuoco contro l’auto che ha terminato la propria corsa cercando un’improbabile salvezza pochi metri più avanti visto che il conducente, Matarasso, era molto sul colpo, raggiunto da un proiettile letale. Giovanni Torcasio morirà durante la corsa in ospedale.
A organizzare l’agguato – tenendo da parte un’auto in caso qualcosa fosse andato storto – è stato Gennaro Pulice, mentre ad armare le mani degli assassini, secondo la Dda di Catanzaro, sarebbero stati i capi della consorteria Iannazzo-Cannizzaro-Daponte, Domenico Antonio Cannizzaro, detto Mimmo, e Vincenzino Iannazzo. Perché il sangue chiama sangue e una faida apparecchia sempre un’assenza per la famiglia rivale. E all’inizio del nuovo millennio la guerra tra Iannazzo-Cannizzaro-Daponte e l’allora cosca confederata Torcasio-Cerra-Giampà era feroce. Da vendicare c’erano padri e fratelli la cui assenza doveva essere lenita con l’assenza di padri e fratelli delle famiglie rivali. Così il 29 settembre 2000, un inseguimento in moto aveva vendicato la morte di Francesco Iannazzo, fratello di Vincenzino Iannazzo e padre di Pietro lannazzo, e Giuseppe Cannizzaro, padre di Domenico Antonio Cannizzaro.
Il 16 giugno 2015, dopo l’arresto nell’ambito dell’operazione “Andromeda”, Gennaro Pulice si pente. Lui, che a Lamezia era il killer dei Cannizzaro e fuori faceva l’uomo d’affari, parla. Descrive Giovanni Torcasio come «un criminale pazzo».
I COLLABORATORI Per i Giampà era «un traditore e un doppiogiochista», dice il collaboratore Giuseppe Giampà, figlio del boss Francesco “U Professore”. Giuseppe Giampà specifica ancora che Giovanni Torcasio subito dopo la sua scarcerazione, si stava organizzando con lo scopo di assassinare Vincenzino Iannazzo, reggente dell’omonima cosca, e che tale intenzione era stata da questi chiesta direttamente al cugino Francesco Iannazzo detto “U Cafarone”. Lo stesso Giovanni Governa, nel suo breve periodo di collaborazione racconta che aveva ricevuto le confidenze da parte di Giovanni Torcasio che, appena scarcerato nell’estate del 2000, gli comunicava che una delle prime azioni da compiere era l’eliminazione proprio di Vincenzino Iannazzo.
«LI VOLEVA DISTRUGGERE» Ma colui che voleva veramente annientare i Iannazzo era Mimmo Cannizzaro. Lo racconta l’uomo che più di tutti gli copriva le spalle, Gennaro Pulice: «Mimmo Cannizzaro ha cominciato ad organizzarsi per affrontare una guerra – dice Pulice – voleva comunque attaccarli in modo eclatante. Aveva comunque… la perdita del padre lo aveva portato comunque a ragionare in modo strano, cioè li voleva distruggere, gli voleva toccare le mogli, i figli. Cioè voleva annientarli. Lui però voleva, prima di iniziare una guerra, cercare di capire il più possibile, e soprattutto di conoscere il più possibile il nemico da attaccare». E qui entra in gioco Giovanni Cannizzaro che si era fidanzato con una sorella della vittima, Giovanni Torcasio, e «ha incominciato ad entrare in quella casa». Cannizzaro vedeva tutto, sentiva tutto, capiva tutto… Era comunque il cognato… C’erano degli obiettivi da eliminare che erano solo ed esclusivamente i fratelli Torcasio, quindi Giovanni, Antonio, Nino, Mica, Pasquale…».
Le vedute tra Iannazzo e Cannizzaro su questa vendetta divergono. «Gli Iannazzo – racconta Pulice – volevano comunque un’azione rapida, veloce, eliminare i capi cosca, perché sapevano che eliminando i capi cosca tutto il resto andava a perdersi, mentre invece… quindi più un’idea legata al business, tra virgolette, cioè comunque vendicarsi, sì, ma anche poi avere il terreno libero per tutti i lavori che dovevano nascere, compreso il centro commerciale. Invece l’idea dei Cannizzaro non era legata al business, perché non gliene fregava niente, ma era solamente legata proprio alla sete di vendetta per distruggere tutta la famiglia Torcasio».
Le dichiarazioni dei pentiti, Pulice in modo particolare, hanno portato la Procura di Catanzaro ad affermare che «sussistono specifiche ed inderogabili esigenze attinenti alle indagini relative ai fatti per i quali si procede, in relazione a situazioni di concreto ed attuale pericolo per l’acquisizione e la genuinità della prova in particolare sono attualmente in corso indagini volte a individuare altri soggetti coinvolti nei fatti per cui si procede, attività che potrebbero essere irrimediabilmente pregiudicate dalla eventuale rimessione in libertà di chi è detenuto (si consideri altresì che Iannazzo Vincenzino è stato di recente posto agli arresti domiciliari presso la sua abitazione in Sambiase)». Secondo il gip «sussiste il concreto pericolo che gli indagati possano commettere altri gravi delitti della stessa specie di quello per cui si procede. […] Incontestato è il ruolo attuale svolto dagli indagati per cui è richiesto applicarsi la misura cautelare, in seno alla consorteria degli Iannazzo e Cannizzaro-Daponte, ruolo che non cessa – ma anzi si rafforza per certi versi – a causa della patita detenzione (circostanza esterna e di fatto determinata nel tempo). Si consideri, infatti, che l’«esperienza carceraria» viene messa in conto dai partecipi alle consorterie di ‘ndrangheta e che il suo positivo superamento è sintomatico della tempra criminale posseduta».
Ieri gli uomini della Squadra Mobile di Catanzaro hanno dato esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Antonio Davoli, classe ’66, Pietro Iannazzo, classe ’75, Vincenzino Iannazzo, classe ’54 e Domenico Cannizzaro, classe ’66, in quanto ritenuti gravemente indiziati del concorso, a vario titolo, nel duplice omicidio di Giovanni Torcasio, classe ’64 e Cristian Matarasso, classe ’78, vittime di un agguato mafioso consumatosi a Lamezia Terme il 29 settembre 2000. Gennaro Pulice, collaboratore di giustizia, è indagato ma non cautelato. (a.truzzolillo@corrierecal.it)
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