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«Stretto di Messina, non serve una grande opera, ma un’opera grande»

di Domenico Gattuso*

Pubblicato il: 04/11/2020 – 15:45
«Stretto di Messina, non serve una grande opera, ma un’opera grande»

Periodicamente, come un remake cinematografico, si ripropone sulla scena politica italiana l’idea dell’attraversamento stabile sullo Stretto di Messina. Molti studi e progetti sono stati elaborati, soprattutto negli ultimi 3 decenni, fiumi di inchiostro versati, discussioni inconcludenti evaporate, ma c’è ancora chi rilancia con clamore. Basta una dichiarazione autorevole sui media e il fuoco si riaccende. Dopo Craxi (1985) e Berlusconi (2001 e 2008), in epoca più recente Renzi (2016), questa estate è toccato a Conte. Se nel caso di Renzi si trattava di una mossa propagandistica, con la promessa di 100 mila posti di lavoro, nel caso di Conte la battuta estiva pro-tunnel è parsa finalizzata a distogliere l’attenzione della comunità da problematiche più rilevanti.
Che la grande opera concentrata sullo Stretto fosse inutile, rischiosa e onerosa lo dimostravano molti studi di esperti di settore, ma anche la mancanza di interesse da parte di grandi gruppi bancari. In effetti non si è mai profilato un impegno di investitori privati in Project Financing, per cui l’opera avrebbe dovuto gravare interamente sulle finanze pubbliche. Fu Monti, certo non un governo di sinistra, a porre fine alla partita nel 2012 affermando che l’opera non trovava giustificazione né in termini economico-finanziari né in termini ambientali; egli decise di chiudere anche con la Società Stretto di Messina e con le progettazioni che avevano divorato 320 milioni di Euro di fondi pubblici.
Probabilmente determinante, sulla decisione del pragmatico Monti, è stata la presa d’atto che l’opera fosse inutile in quanto i traffici (sovra)stimati dai progettisti risultavano di entità modesta (si era valutato un grado di impegno della carreggiata nelle ore di punta inferiore al 15-20%) e che fosse rischiosa dal punto di vista del capitale da investire in rapporto ai benefici attesi: il costo ultimo stimato nel 2012 era di 9 Miliardi di Euro. Non erano d’altronde trascurabili i dubbi e i limiti delle proposte tecniche relativi a sismicità della zona, presenza di importanti faglie, incognite dovute alle dimensioni straordinarie, impatti ambientali rilevanti, timori palesati da strutturisti di fama internazionale.
A quanto pare le esperienze del passato non bastano a cancellare il miraggio di un’opera affascinante per tanti sognatori e di una opportunità speculativa per qualcuno più furbo.
Le soluzioni progettuali avanzate nel tempo si possono ricondurre essenzialmente a tre: subalvea, alvea ed aerea. La prima consiste di un tunnel scavato nella crosta terrestre sottomarina dello Stretto; la seconda in un tubo sottomarino ancorato al fondo mediante tiranti adatti a bilanciare la spinta di Archimede; la terza in un ponte vero e proprio, ma con la singolarità di un’unica campata di oltre 3 km, non potendo realizzare piloni intermedi. In tutti e tre i casi, pur affascinanti dal punto di vista dell’innovazione e dell’ingegneria delle mega strutture, sono emersi problemi seri. Negli anni Ottanta le valutazioni hanno portato a scartare le prime due a vantaggio della soluzione ponte; la partita del ponte tuttavia è stata chiusa dal Governo Monti.
In piena estate è riaffiorata l’idea di un tunnel subalveo con un progetto proposto come innovativo. La soluzione era stata scartata sin dall’inizio come la meno praticabile. Senza entrare nei dettagli, i maggiori limiti del progetto elaborato da importanti società di ingegneria negli anni Ottanta risiedevano nelle incertezze relative alla geomorfologia dei suoli, alla sismicità dei luoghi e alla presenza di faglie importanti nella crosta terrestre in corrispondenza dello Stretto, all’ imponenza delle gallerie di adduzione al tunnel subalveo: per poter scendere a – 260 metri di profondità, in rapporto alle pendenze ammissibili per le infrastrutture, i punti di imbocco in Calabria e Sicilia dovrebbero essere molto distanziati, al punto che si era stimata la necessità di 50 km di tunnel ferroviario e 40 km di gallerie stradali, con un tempo di realizzazione di 17 anni, senza contare la necessità di smaltire imponenti volumi di materiali di scavo.
Le perplessità permangono ancora oggi e sarebbe necessaria una valutazione tecnica delle “innovazioni miracolistiche” di progetto introdotte rispetto al passato. Purtroppo ad oggi gli elaborati di progetto non sono pubblici e quindi occorre cautela. Limitandosi a quanto pubblicato dai giornali, si legge che il tunnel (ferroviario) dello Stretto dovrebbe attestarsi a 300 m di profondità sotto il livello del mare, che esso dovrebbe raccordarsi ad una “galleria Gioia Tauro-Villa San Giovanni” (40 km di lunghezza non sono pochi), che dovrebbe risalire in Sicilia con un’altra galleria di 17 km (evidentemente fuori città), e sarebbero previste due stazioni a Messina (probabilmente molto profonde ed accessibili con ascensori da grattacielo). L’opera dovrebbe essere realizzata in appena 5 anni; e in una seconda fase si potrebbe realizzare anche il tunnel per veicoli stradali. Ne derivano parecchie perplessità ingegneristiche, ma una in particolare di tipo sociale: le città di Reggio e Messina sarebbero tagliate fuori, marginalizzate, incapaci di trarre benefici in termini di integrazione metropolitana. Da rimarcare che in ogni caso, tunnel o ponte, il transito sullo Stretto non sarebbe gratuito, ma soggetto ad un pedaggio almeno pari a quello attuale in nave (40-50 Euro per un’autovettura, 70-150 Euro per un camion in rapporto alle dimensioni, da 460 a 750 Euro per mezzo infiammabile).
Quel che appare strano nella vicenda è che tra le soluzioni di progetto alternative non si includa mai la soluzione a mio avviso più efficace, più affidabile, meno impattante sull’ambiente, meno costosa per la collettività e realizzabile in tempi assai più contenuti. Mi riferisco alla soluzione di un flotta navale strutturata, ben dimensionata, con approdi portuali adeguati alla bisogna. Nel seguito ne propongo una descrizione sommaria, partendo da alcuni assunti di base.
Un traghetto a doppio portellone di ultima generazione costa sui 50-60 Milioni di Euro, un catamarano capace di accogliere 250 passeggeri vale 8-10 Milioni. In un traghetto dotato di binari può trovare posto un intero treno regionale senza necessità di scomposizione. Per i treni lunghi i tempi operativi di scomposizione su una sponda e ricomposizione sull’altra sponda potrebbero essere dimezzati. A considerare una flotta nuova di zecca di 20 traghetti e 10 catamarani, si dovrebbe affrontare un investimento di 1,2 Miliardi di Euro. Il costo in realtà potrebbe essere più contenuto, laddove si consideri che parte del naviglio oggi in esercizio è di proprietà dello Stato (FS). Una flotta di tal genere si presterebbe sia all’aumento delle frequenze di viaggio, sia alla creazione di nuove rotte (come la Gioia Tauro – Milazzo), sia alla intensificazione dell’offerta in periodi di punta evitando il disagio delle code in determinati giorni dell’anno. Occorre naturalmente un rinnovo periodico della flotta che porterebbe a raddoppiare il costo capitale, ma a distanza di decenni (la vita utile di una buona nave è dell’ordine di 30-40 anni). Quanto alla gestione, la soluzione più opportuna dovrebbe essere quella di un controllo di Stato, con tariffe sociali, atteso che si tratta di garantire la continuità territoriale nazionale. Per rendersi conto del significato di tale principio, sarebbe interessante valutare le risposte dei milanesi, dei romani o dei cittadini di qualunque altra area metropolitana, se si proponesse loro di pagare una tariffa di 40 Euro per attraversare la loro città da Est ad Ovest in autovettura. Sullo Stretto si potrebbe assumere tariffe sociali dell’ordine di 2 Euro a persona (tipo biglietto della metro), di 4 Euro per un’autovettura, di 15 Euro in media per camion, attesa la necessità di dover superare una frattura territoriale (discontinuità) che già di per sé penalizza la comunità metropolitana come il canale naturale fra Ionio e Tirreno. Per inciso, le tariffe unitarie attuali sono di gran lunga le più elevate d’Europa (fino a 4-5 volte), con una situazione singolare di monopolio di fatto un mano ad operatori privati, essendo il ruolo dell’operatore di Stato (FS) non competitivo. I riflessi sociali ed economici negativi sono evidenti sull’utenza, in particolare per gli abitanti dell’area metropolitana dello Stretto.
Nell’assetto di progetto proposto, non finalizzato al profitto ma all’equità sociale, i costi di gestione non sarebbero forse interamente coperti dai ricavi tariffari, ma ciò non stupirebbe nessuno considerato che nella stragrande maggioranza dei servizi di trasporto pubblico nazionali ed europei raramente esso supera il 50%. I vantaggi della soluzione proposta sono evidenti: operatività immediata, rischi di disastro ridotti al minimo, impatto ambientale pressocché nullo, flessibilità di esercizio in rapporto alla domanda di trasporto, occupazione continua per gli addetti all’esercizio e alla manutenzione delle navi e degli approdi, integrazione reale dell’area metropolitana dello Stretto, crescita sostanziale dei traffici e dell’economia delle due Regioni confinanti.
L’inclusione dello Stretto nella lista UNESCO dei beni patrimonio dell’umanità, è rivendicata da diversi anni da associazioni ed istituzioni locali, in rapporto al fato che esso è uno dei luoghi più affascinanti del mondo in termini paesaggistici, oltrechè storico-culturali (in tutto il mondo è noto il mito di Scilla e Caridi). D’altra parte non c’è viaggiatore in transito che rinunci a salire sul ponte delle navi per godere di panorami mozzafiato e vivere il piacere di quella che si manifesta come una mini-crociera senza eguali al mondo. Perché rinunciarci, perché privarci di tanta toccante poesia?
Sarebbe opportuno di questi tempi, evitare annunci di progetti miracolistici e dichiarazioni frettolose da parte di personalità politiche, utili solo ad alimentare un tormentone mediatico e a distogliere l’attenzione da ben altre numerose criticità sociali. In effetti viene da pensare che le regioni del Mezzogiorno, Calabria e Sicilia in particolare, avrebbero bisogno di un progetto di grande respiro che contempli un insieme articolato di interventi spazialmente distribuiti. Per limitarsi al comparto dei trasporti, sono numerose le misure utili attese da anni quali: il completamento a norma dell’autostrada Salerno – Reggio Calabria (mancano 70 km), l’adeguamento del sistema autostradale siciliano che versa in condizioni critiche (con decine di km a carreggiata ridotta), il completamento delle infrastrutture ferroviarie e il miglioramento dei servizi per rendere appetibile il treno e alleggerire il traffico stradale. Oggi risulta impossibile andare in treno dalla Sicilia alla Puglia (numero minimo di connessioni, treni carenti, orari assurdi, servizi mediocri, tempi di viaggio dell’ordine di 15 ore fra Palermo e Bari); fra Roma e Bologna corrono 200 treni al giorno, di cui 170 frecce, con velocità dell’ordine di 170 km/h. Fra Reggio Calabria e Roma i treni di qualità sono pochissimi e si viaggia ad una velocità media di 75 km/h. I treni regionali poi sono da incubo e le politiche di settore hanno condotto i servizi al disastro generalizzato. Sarebbero poi necessari interventi importanti sui nodi portuali (decine di porti senza attrezzature e servizi di rilievo), sugli aeroporti, sulla logistica, sulla reti stradali secondarie ed interne, sulla manutenzione e sulla sicurezza stradale e ferroviaria. Si assiste a paradossi come l’agonia di un aeroporto strategico come quello dell’area metropolitana dello Stretto, per la mancata applicazione delle misure relative al regime di continuità territoriale. Non riusciamo a fare l’ordinario, e giochiamo con le chimere.
La partita del Recovery Fund europeo vale 209 Miliardi di Euro per l’Italia. Considerato che esso dovrebbe essere destinato in maniera prevalente alle regioni in ritardo di sviluppo, non sarebbe sbagliato attribuire il 60% delle risorse al Mezzogiorno; in rapporto al parametro demografico, alla macro-regione Calabria-Sicilia dovrebbero andare 62 Miliardi di Euro. Unitamente al riequilibrio dovuto nella distribuzione delle risorse ordinarie, da decenni ingiustamente sbilanciato a favore delle regioni del Nord, la partita non è da sottovalutare e potrebbe assumere portata storica. E’ possibile ed è tempo di procedere all’opera più grande degli ultimi 2 secoli, fatta di interventi utili e diffusi, per superare il gap socio-economico che penalizza il Mezzogiorno d’Italia, e che potrebbe indurre un impulso alla crescita generalizzata dell’intera nazione.
*Professore Ordinario di Ingegneria dei Sistemi di Trasporto presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria

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