LAMEZIA TERME La sanità calabrese è uno spettacolo di macerie «vittima dell’insano commissariamento ad acta affidato dai pentastellati, negli ultimi due anni, a un generale di corpo d’armata che, sebbene insignito della Croce al merito per le missioni a Sarajevo e in Bosnia Herzegovina, non è riuscito (come i suoi predecessori) non solo a (ri)sanare i conti in rosso, ma neanche a produrre, nei mesi di relativa tregua, uno straccio di piano per fronteggiare la temuta seconda ondata del virus e neppure a dirimere le continue liti tra gli incontinenti commissari delle Asp e delle Aziende ospedaliere». Lo scriveva il 2 novembre il direttore del Corriere della Calabria Paola Militano (qui l’editoriale completo). Il generale Saverio Cotticelli aveva già, purtroppo, dimostrato di non poter gestire l’emergenza Covid e le altre emergenze sanitarie. Era tutto in bella vista, dal tracciamento dei contatti saltato a una sovrapposizione di competenze che aveva paralizzato tutto. Perché la Calabria ha un commissario al Piano di rientro dimissionario (ormai ex, dopo la figuraccia rimediata nella trasmissione Titolo V Conte ha annunciato di volerlo sostituire), un direttore generale “precipitato” nella Calabria delle emergenze dalle stanze ovattate di Agenas (Francesco Bevere), un soggetto attuatore per l’emergenza Covid (Antonio Belcastro). «Sono così tanti livelli decisionali, spesso in contrasto fra loro, che è difficile finanche tracciare una mappa. E a questi si aggiungono il commissario nazionale Domenico Arcuri (che ha trattenuto le deleghe sulla Calabria perché non sapeva a chi assegnarle) e il presidente facente funzioni Nino Spirlì, espressione di un partito che ha tenuto sul virus una posizione quasi negazionista fino al termine dell’estate (lo scrivevamo qui in un servizio di Pablo Petrasso)».
STESSA SCENA AL TAVOLO ADDUCE In una drammatica riunione del Tavolo Adduce (l’abbiamo riassunta qui in un articolo di Antonio Cantisani), la scena andata in onda ieri sera a Titolo V si era già vista, ma senza la potenza rivelatrice delle telecamere. I funzionari dei ministeri dell’Economia e della Salute hanno trasformato gli ultimi due incontri con la struttura commissariale in una sorta di interrogatorio. Il primo contrasto è sorto proprio sulle competenze per la gestione dell’emergenza Coronavirus. Davanti alla contestazione del mancato invio, dalla Calabria, del programma operativo anti Covid, Cotticelli ha scaricato le responsabilità sulla Regione. Ma avrebbe trovato una ferma opposizione da parte dei ministeri affiancanti che avrebbero, in sostanza, accusato il generale e la sua vice di non aver portato a termine un compito che, per competenza sarebbe spettato a loro. Da quel momento sarebbero iniziate otto ore in cui i tecnici dei ministeri della Salute e dell’Economia hanno sottolineato ritardi e inadempienze, esprimendo un giudizio sostanzialmente negativo. Di cifre ufficiali, al momento, non ce ne sono, ma il disavanzo sarebbe sopra i 200 milioni di euro, coperto solo in parte dall’inasprimento delle addizionali Irap e Irpef.
UN ALTRO MESE BUTTATO Il 10 ottobre, Cotticelli ha annunciato, di nuovo davanti alle telecamere, le proprie dimissioni all’indomani della difficile riunione del Tavolo Adduce. Quasi un mese dopo (viene da dire purtroppo, dopo la tragica intervista andata in onda ieri sera), il generale è ancora al proprio posto. Chiede a «Maria» le carte per rispondere alle domande dell’inviato, dimostra di saperne meno dell’usciere sui posti attivati in Terapia intensiva. Il commissario, secondo quanto si apprende, avrebbe deciso di restare per rispondere nero su bianco alle contestazioni del Tavolo. Per orgoglio, dunque. Ma, a quanto pare, nell’ultimo mese non ha neppure sbrigato la propria corrispondenza: la lettera che declama in trasmissione è del 27 ottobre e apprende da essa (dopo la strigliata a voce avvenuta un mese prima in videoconferenza) che la responsabilità del Piano anti Covid è sua. Basta usare la logica per dedurre che l’ultimo mese – sul piano dell’organizzazione strutturale per fronteggiare la pandemia – è stato buttato. Nessun Piano, nessuna gara per le nuove Terapie intensive: tutto per avere la possibilità di difendersi davanti a un “cazziatone” ministeriale. Alla Calabria, però, il commissario pare aver pensato poco.
LE TERAPIE INTENSIVE Per trovare qualcuno che sappia di cosa parla, bisogna rivolgersi a un medico. Il Corriere della Calabria lo ha fatto negli scorsi mesi e nelle scorse settimane, più volte. Domenico Minniti, presidente degli anestesisti-rianimatori calabresi, è reduce da un censimento recente delle postazioni: «Saranno 115-116, mentre 146 sono quelli che la Calabria avrebbe dovuto avere». C’è un altro problema: «Mancano gli uomini: anestesisti-rianimatori e infermieri di area critica. Io sarei dell’avviso che chiudersi in trincea potrebbe essere una soluzione», dice riferendosi all’istituzione della “zona rossa”.
LA CONFUSIONE A CORIGLIANO ROSSANO La situazione è grave nell’ospedale di Corigliano Rossano. Lo spunto per la visita alla struttura nasce da una serie di servizi del Corriere realizzati da Luca Latella. Davanti al presidio ci sono due tende della protezione civile, ma sono vuote. All’interno due operatori del 118 in arrivo con un paziente da Amendolara: «Non sappiamo se siamo in area Covid, non Covid, non siamo di qua – dicono –. Prima è passato un Oss, tutto imbacuccato. Stiamo rischiando noi e la paziente». La testimonianza anonima di un’operatrice spiega che «il reparto Covid non è separato dagli altri. Il personale che si occupa di pazienti Covid gira e va negli altri reparti, l’ho visto con i miei occhi. Non tutti sono stati sottoposti ai tamponi, ci sentiamo mandati al macello». E in tutto ciò la ristrutturazione del Pronto soccorso (non soltanto a Corigliano Rossano) non è stata a oggi neanche finanziata.
UN ALTRO COMMISSARIAMENTO Nel frattempo la regione è diventata “zona rossa” e, davanti a una situazione così drammatica, il governo ha deciso di bocciare la gestione dei propri rappresentanti (cioè l’impalcatura sanitaria che dovrebbe reggere l’urto della pandemia) per poi disporre altri tre anni di commissariamento. Negli ultimi dieci non si sono visti grandi passi avanti (se non a tratti) né sul debito – che resta mostruoso – né sui servizi sanitari. Speriamo bene è l’unica espressione che si possa usare.
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