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La rete di relazioni del maresciallo legato ai clan della Sila

Un memoria della Dda di Catanzaro racconta i “movimenti” di Carmine Greco sul territorio. La vicinanza con gli Spadafora. Le “ritorsioni” contro il tenente che li denunciò. La “pulizia” sui terreni…

Pubblicato il: 13/11/2020 – 10:58
La rete di relazioni del maresciallo legato ai clan della Sila

di Alessia Truzzolillo
CATANZARO
Un legame a «doppio filo» quello che univa gli imprenditori boschivi di San Giovanni in Fiore, Spadafora, e il comandante della stazione forestale di Cava di Melis (nel Comune di Longobucco) Carmine Greco. Colui che doveva controllare che le attività sul taglio boschivo venissero svolte nel rispetto della legge e per preservare il patrimonio naturale avrebbe, invece, favorito lo scempio di ettari di bosco da parte di ditte impastate, secondo l’accusa, con gli ambienti mafiosi cirotani. Tra queste le ditte Tucci, Zampelli e Spadafora, finite nella rete dell’indagine antimafia “Stige”.
Un rapporto descritto dettagliatamente in una memoria di oltre 300 pagine che i sostituti procuratori della Dda di Catanzaro, Paolo Sirleo e Domenico Guarascio, hanno depositato al termine della requisitoria nel processo che vede Greco imputato per associazione mafiosa, favoreggiamento, rivelazione di segreto istruttorio e omissione d’atti d’ufficio davanti al Tribunale collegiale di Crotone, presieduto da Marco Bilotta. Un racconto, quello dei magistrati, che va oltre la descrizione del classico patto scellerato tra un uomo delle istituzioni e la cosca di turno. Perché il filo che gira attorno a Greco e agli imprenditori allaccia anche rapporti di forza con altri pezzi dello Stato. Ma procediamo con ordine.
LO SCEMPIO DEI BOSCHI Un caso emblematico è quello del taglio boschivo avvenuto nel Comune di Celico, località Colamauci, nella primavera del 2016. In quel periodo i camion della ditta Spadafora andavano e venivano carichi di legname. Ma più d’uno aveva notato che il taglio sconfinava in terreno demaniale, accanto al letto del fiume Moccone. Non solo. Il traffico di quei camion era intenso, forse un po’ troppo, e apriva varchi tracciando piste abusive nei boschi. Le segnalazioni cominciano, così, a farsi pressanti sia al numero verde 1515 che alle orecchie del tenete colonnello Gaetano Gorpia, dirigente dell’ufficio Biodiversità dei carabinieri forestali. Il territorio è di competenza della Stazione di Cava di Melis. Il colonnello, allora, invia sul posto suoi collaboratori della stazione di Spezzano della Sila e di Camigliatello i quali si limitano a informarsi con i forestali di Cava di Melis e riportano risposte tranquillizzanti.
Gorpia non si fa persuaso. Le fonti che lo tengono aggiornato sono affidabili e lui decide di approfondire. Manda sul posto altro personale che quasta volta va in località Colamauci e trova i mezzi della ditta Spadafora. Dopo poco arrivano i carabinieri Sprovieri e Zicaro, della stazione di Cava di Melis e ben presto si presenta anche il comandante di Stazione, Carmine Greco, che si spinge fino ad assumere sommarie informazioni dal personale inviato da Gorpia il quale non solo è un suo superiore gerarchico, ma ha poteri di polizia giudiziaria che si estendono sull’intero territorio nazionale. Addirittura il maresciallo Greco, come testimoniato dal carabiniere Nota, avrebbe avuto un battibecco col colonnello Gorpia «il quale fu apostrofato con epiteti poco riguardosi da parte del Greco».
Gorpia non molla e si reca personalmente sul posto dove verifica il taglio delle piante, trova ceppaie (tronchi d’albero tagliati) interrate e ceppaie sradicate. Il colonnello segnala ogni cosa alla Procura di Cosenza e, per quanto riguarda il comportamento del maresciallo Greco, per presunti omessi controlli, trasmette una segnalazione alla Procura di Castrovillari.
CHI SEGNALA VIENE SEGNALATO La relazione che Gorpia invia alla Procura di Castrovillari, allora guidata da Eugenio Facciolla, diviene oggetto di una segnalazione riservata che Facciolla invia al comandante del corpo, ovvero al superiore di Gorpia. «… appare francamente discutibile – scrivono i magistrati della Dda – che, a fronte di una segnalazione che il Gorpia aveva fatto al magistrato (quella del aprile 2016), nella quale venivano lumeggiate condotte sospette da parte del maresciallo Greco, in relazione a presunti omessi controlli, la stessa sia stata oggetto di segnalazione riservata, al comandante del corpo, per presunte interferenze poste in essere dal Gorpia medesimo nella attività investigativa». Insomma, da segnalatore di illeciti il colonnello diventa “segnalato” perché avrebbe interferito con attività investigative del maresciallo Greco.
Altri due episodi vengono posti in relazione cronologia tra loro dalla Dda di Catanzaro
L’INTERCETTAZIONE IN CARCERE Qualche giorno dopo l’arresto, a luglio 2018, Greco viene intercettato nel carcere di Cosenza, il 16 luglio 2018, a colloquio con la propria moglie. Una frase emerge sulle altre: «Ma Facciola si sta muovendo? Sono preoccupato», chiede l’ex comandante di Cava di Melis. Qualche giorno prima, il 13 luglio 2018, Facciolla aveva inviato una nota riservata al procuratore generale di Catanzaro che conteneva una segnalazione di tipo disciplinare fatta dal procuratore di Castrovillari nei confronti dei magistrati della Dda all’indomani dell’arresto di Greco. «Va premesso – scrivono i pm Sirleo e Guarascio – che detta nota, a rigore, non meriterebbe alcuna menzione e alcun commento, rispetto ai fatti di causa. Purtuttavia, un cenno deve essere fatto, esclusivamente perché la nota de qua è stata messa a disposizione del Tribunale dalla difesa». Sic stantibus rebus, a parere dell’accusa Eugenio Facciolla (chiamato a testimoniare il 9 settembre scorso) ha fornito una testimonianza «di poco spessore e parimenti priva di alcuna valenza probante», anche perché lo stesso ex procuratore di Castrovillari – trasferito dal Csm a Potenza con funzione di giudice civile perché sottoposto a procedimento disciplinare – è stato rinviato a giudizio, con l’accusa di falso e corruzione, dinnanzi al Tribunale di Salerno (competente per i reati che riguardano i magistrati del distretto di Catanzaro) insieme, tra gli altri, al maresciallo Greco. Tra le accuse contestate vi è il reato di falso materiale ed ideologico per avere predisposto una annotazione di polizia giudiziaria concordata con il maresciallo Carmine Greco, nonché la consequenziale condotta gravemente scorretta di interferenza tenuta nei confronti dei magistrati della Dda di Catanzaro titolari dell’indagine “Stige”.
LA “PULIZIA” SUL TERRENO DI COLLICE La segnalazione che ad aprile 2018 il colonnello Gorpia aveva inviato alla Procura di Cosenza verrà archiviata dal gip il 13 febbraio 2017. Il pm di Cosenza, in sostanza, si era trovato davanti a due relazioni contrastanti: la prima – su controlli effettuati da Carmine Greco – secondo la quale la ditta Spadafora non aveva travalicato i limiti di una autorizzazione concessa, e la seconda, redatta da Gorpia, nella quale vi sarebbe stato un massiccio taglio boschivo. Secondo la stessa Procura di Cosenza «non era possibile stabilire se effettivamente vi fosse o meno penale responsabilità da parte della ditta».
Ma l’agire degli Spadafora e l’anomala vicinanza tra il maresciallo Greco e le imprese degli Spadafora, stando alla memoria depositata dalla Dda, sarebbero emersi in seguito alle indagini condotte nel 2019 dal comandante Fantozzi, colui che sostituirà Greco dopo il suo arresto.
Siamo a Celico, località Scalzati, su una proprietà della famiglia Rende gestita dall’imprenditore agricolo barone Adolfo Collice che ne era affittuario. Le indagini di Fantozzi raccontano che nel 2016 il maresciallo Greco si presenta alla porta di Collice. Dice – come testimonia lo stesso barone – che c’è una richiesta formulata da personale dell’Enel che aveva riscontrato pericoli per un impianto insistente in quel terreno a causa di un accumulo di materiale legnoso. Greco allora sollecita un intervento di pulizia del bosco e insiste affermando che in caso di inerzia sarebbe intervenuto d’ufficio. L’Enel, però, non aveva sollecitato nessun intervento come rivelano le indagini di Fantozzi e la testimonianza di Rosario Torio, responsabile delle infrastrutture Enel Green Power del territorio di Celico. Ma questo Collice non lo sa e non lo appura e quindi chiede ad una impresa di sua fiducia di effettuare il lavoro richiesto da Greco. Ma l’impresa rifiuta dicendo che i costi sarebbero stati molto alti. C’è un particolare: questa ditta è stata riconosciuta persona offesa nel processo Stige che vede imputati gli Spadafora, a causa di un appalto commissionato dal comune di Colosimi per il taglio e la vendita di legname. Il titolare della ditta, come raccontato ai carabinieri, in quel periodo, ha avuto un incontro con Pasquale Spadafora il quale, «alludendo alla sua partecipazione all’appalto, lo minacciava pesantemente, esortandolo a recedere dall’appalto medesimo, finendo con il mettergli le mani addosso e prospettando di ucciderlo». Queste le premesse.
A questo punto Collice afferma di avere chiamato gli Spadafora. Prima, dice, su suggerimento di un vicino, poi, non senza imbarazzo, incalzato dalle domande del procuratore Sirleo, ammette «che il maresciallo Greco gli avrebbe indicato la impresa Spadafora tra quelle che stavano lavorando in zona».
LO SCEMPIO IN NUMERI Il risultato del lavoro degli Spadafora viene quantificato dalle indagini di Fantozzi: se nel 2010-2012 era stato effettuato un taglio di 34 alberi per ettaro, dopo la “pulizia” degli Spadafora «risultavano molti più tagli, al punto che il quantitativo di alberi rimossi era ben superiore rispetto a quanto ci si aspettava di trovare (nelle zone più interessate da tagli, le piante rimosse erano nell’ordine di 1.200 circa, posto che, dopo il diradamento ilio tempore effettuato, dovevano trovarsi circa 1.811 per ettaro, mentre in realtà ne risultavano solo 630)».
Inoltre c’era la presenza di tronchi d’albero tagliati privi del previsto segno identificativo apposto dal martello forestale, dato, questo, sintomatico della effettuazione di tagli abusivi.
GRECO SI DIFENDE Nel corso della propria testimonianza Greco non nomina l’Enel. Parla di forti intemperie che avevano fatto danni, spezzando molte piante, che il barone lo chiamò a Camigliatello chiedendogli un consiglio e di non essersi interessato della ditta che avrebbe dovuto fare la pulizia. La sua versione non coincide, su parecchi punti, con quella fornita da Collice e dalle indagini effettuate da Fantozzi. I magistrati non hanno dubbi: «In realtà il dato probatorio collima perfettamente con il legame a doppio filo che interessava il rapporto tra gli Spadafora e il maresciallo Greco». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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