RENDE «Scelgo Rende perché il mio è un ritorno al Sud, perché il museo di arte contemporanea “Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona” è uno scrigno prezioso. E poi perché, oltre all’amicizia che mi lega proprio a Roberto Bilotti, che della struttura è curatore scientifico, e alla stima nei confronti del sindaco Marcello Manna e dell’assessore alla cultura Marta Petrusewicz, vorrei tanto che si creasse una vera e propria sinergia tra il museo e l’ateneo di Arcavacata, con giovani liberi di studiare opere d’arte contemporanea senza essere costretti ad andare altrove, ma anche, spero, di recarsi al castello e trovarlo vivo, vivente, compiuto». Francesca Romana de’ Angelis, l’italianista, scrittrice e sceneggiatrice dalle origini calabresi, non ha dubbi. Dopo il “no” alle tante richieste che le sono pervenute da numerosi musei di Roma, destina, insieme alla sorella Nicoletta, venti opere degli artisti più significativi del Novecento italiano al museo sito nel castello del centro storico rendese. Lo fa, in particolare, attraverso un’ulteriore donazione. Ulteriore perché, a seguito della morte del padre Nicola Maria, avvenuta nel 2016, la studiosa decide immediatamente di elargire circa sessanta pezzi qualificati del patrimonio paterno al museo. «Quest’ultima è la terza donazione che io e mia sorella realizziamo nei confronti del polo culturale di Rende – precisa Francesca Romana de’ Angelis – Le nuove opere, sempre appartenenti alla collezione di nostro padre, sono state già collocate nelle sale del museo, tanto che ad oggi vi si contano più di ottanta tele, quadri e sculture. La nostra idea, tuttavia, è di arrivare a donarne, di opere, cento in totale: sicuramente non ci fermeremo».
LA COLLEZIONE Ad arricchire, mediante la nuova donazione, la collezione permanente Nicola Maria de’ Angelis del museo “Roberto Bilotti Ruggi d’Aragona” sono, dunque, opere di alto pregio. «Si tratta delle creazioni – spiega Francesca Romana de’ Angelis – di Piero Dorazio, di Antonietta Raphaël, donna di punta della Scuola Romana, di Ettore Mazzini e, ancora, di Gino Severini, Mimmo Rotella, Simona Weller e tanti altri. Ci sono pure un abito d’arte di Andy Warhol e due di Giosetta Fioroni».
Il meglio, insomma, dell’arte italiana (e non solo), espressa con diversi linguaggi ed affermatasi a livello internazionale grazie alla relativa forza espressiva. «Nella collezione già presenti, invece – puntualizza de’ Angelis -, le tele, tra gli altri, di Fausto Pirandello, Cesare Tacchi, Orfeo Tamburi, Giulio Turcato, Domenico Purificato, Mario Mafai, Mino Maccari, Marino Mazzaccurati, Nino Franchina, Pericle Fazzini e di Tano Festa. C’è anche “Uomo con basco” di Renato Guttuso, “Ritratto di Moravia” di Mario Ceroli insieme alle sue famose sedie e a una sua terracotta smaltata del 1962». Adesso, quando sarà consentito in base all’emergenza sanitaria, si attende d’organizzare una mostra, un’inaugurazione, così come avvenuto in precedenza. «Qualcuno – rivela l’italianista – mi ha chiesto se fosse il caso di donare le opere in tempo di coronavirus, dal momento che dietro a ogni donazione c’è un enorme lavoro, che va dalla valutazione fino all’imballaggio. Ma io, con questo atto, volevo dare un segnale di speranza, anche la bellezza può salvare. Fermo restando – continua – che, coi musei chiusi, si potrebbero comunque accettare nuove sfide e frapporre tra sé e la tela un computer: incrementiamo tour virtuali o lezioni a distanza degli studiosi su quel particolare angolo di un museo o di un’opera. Poi quando tutto finirà, ritorneremo in quelle sale e sarà come ritornare a casa, a riprenderci i nostri quadri, i nostri colori, le nostre emozioni».
UN AVVOCATO TRA GLI ARTISTI Basta sfogliare il catalogo (De Luca Editori d’Arte, 2018) sulla collezione Nicola Maria de’ Angelis, per toccare con mano il valore delle opere appartenute al padre di Francesca Romana, avvocato penalista, studioso di diritto penale processuale, uomo di grande cultura, sempre al fianco di pittori e scrittori e amante della Magna Grecia, di Sibari verso cui tornava, da Roma, ogni estate. «Mio padre – dice Francesca Romana de’ Angelis – per tutta la vita ha sostenuto giovani talenti nell’allestimento delle prime mostre e poi si è sempre occupato di educazione, scuola, creatività, sostenendo Villa Nazareth, fondazione romana per studenti meritevoli. Così, io e mia sorella abbiamo seguito le sue orme e con la donazione in questione vogliamo portare avanti questa idea di solidarietà e condivisione a cui lui ha improntato tutta la vita.
Inoltre – aggiunge -, credo che un certo sincretismo tra pubblico e privato sia la scelta vincente per il mondo della cultura». Francesca Romana de’ Angelis spiega, precisa, passa in rassegna aneddoti e ricordi che la legano alla collezione d’arte del padre e al padre stesso. Alcuni si ritrovano nel catalogo citato, come le telefonate a casa de’ Angelis di Sandro Penna («Chiamava sempre di notte […] «Che fa tuo padre?» esordiva senza dire il suo nome e senza salutarmi. «Dorme» gli rispondevo […] Una notte mi disse prendi carta e penna. «Com’è bella la luna di dicembre/che guarda calma tramontare l’anno». Dopo aver riagganciato il telefono tornai nella mia stanza e aprii una delle due finestre. In alto c’era la luna e splendeva della stessa luce di quei due versi che Penna mi aveva appena dettato). Altri, al contrario, è direttamente l’italianista a raccontarli al telefono: «Nel mio prossimo libro, “Luce” (Studium), ricordo quando mio padre mi portò a casa di Giorgio Morandi. Quando vidi i quadri del pittore appesi alle pareti notai i raggi luminosi che facevano nascere i colori. In quel momento, scoprii la luce. E spero che tanti altri come me possano provare sempre quest’emozione guardando un’opera d’arte: davanti alle tele si srotolano sogni». (en. ri.)
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