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Le biomasse un affare per i clan. «Ogni mese prendiamo 300mila euro»

Il cippato portato alle centrali “tagliato” con copertoni e plastica. Funzionari e dipendenti sono sotto il controllo dei clan. I “trucchi” sulle quantità trasportate e i soldi riciclati all’estero…

Pubblicato il: 21/11/2020 – 9:31
Le biomasse un affare per i clan. «Ogni mese prendiamo 300mila euro»

di Alessia Truzzolillo
CATANZARO L’affare della green economy è una delle tante attività che permettere alle cosche del crotonese di reinvestire il denaro proveniente da attività illecite. Un affare del quale le ‘ndrine mirano ad avere il monopolio. Un mercato redditizio che permette di far guadagnare alle cosche 300mila euro al mese. Il calcolo lo fa, già nel 2012, lo stesso boss Nicolino Grande Aracri: «Ogni nave, pure che ne facciamo due al mese, prendiamo trecentomila euro al mese!». Alle ‘ndrine non importa che il cippato portato alla centrale a biomasse sia pieno di sabbia e residui non consentiti come copertoni e plastica, perché funzionari e dipendenti sono sotto il loro controllo. 
Il collaboratore di giustizia Giuseppe Liperoti l’affare del cippato lo conosce bene. A febbraio 2019 ne parla con i magistrati della Dda di Catanzaro e i suoi racconti sono finiti, oggi, all’interno dell’indagine “Farmabusiness” che giovedì ha portato a 19 misure cautelari tra vertici e intranei alla cosca Grande Aracri di Cutro impegnata nel mandare in porto l’affare della vendita all’ingrosso di medicinali. Ma non solo.
CIAMPÀ-GRANDE ARACRI «Topolino controlla, per come è evidente da quanto vi sto riferendo, anche i trasporti del cippato». “Topolino” è Mario Donato Ferrazzo, capo della locale di Mesoraca. Liperoti è didascalico: «Ogni aspetto della produzione del cippato vede il coinvolgimento delle cosche ed è Mesoraca a dirigerne i momenti essenziali». «Considerate che noi cutresi partecipavamo all’affare del cippato con le aziende di Giuseppe Ciampà e quella di mio cognato Salvatore Grande Aracri», racconta Liperoti. 
Nel 2013, infatti, Giuseppe Ciampà viene intercettato a chiamare Domenico Grande Aracri a raggiungerli presso l’abitazione di Nicolino Grande Aracri, nella quale veniva intercettato un incontro tra lo stesso boss e altri allo stesso vicini (tra i quali l’avvocato Rocco Corda) e imprenditori provenienti dalla Russia. L’oggetto dell’incontro verteva proprio sulla possibilità di innestarsi nel commercio del “cippato” attraverso la nascita e fusione di due società, una in Italia e l’altra in Russia, in grado di curare l’import-export via mare del biocombustibile, di determinarne i prezzi di acquisto e di vendita, di sfruttare il sistema illecito delle false fatturazioni per conseguire ancora più ingenti profitti, di eludere investigazioni tributarie e di polizia giudiziaria, nonché di adottare stratagemmi idonei a trasferire capitali illeciti all’estero riciclandoli e farli così rientrare in Italia.
I FUNZIONARI LEGATI AI MESORACHESI Prima di entrare a far parte dell’affare, però, i Grande Aracri fecero una riunione con i mesorachesi alla quale parteciparono anche Liperoti e Giovanni Abramo (esponente della cosca). Si discusse quanto dirottare in danaro alle cosche e chi inserire come trasportatore. «Quanto ai trasportatori, per come vi ho spiegato, si decise infatti di optare per la scelta i trasportatori apparentemente distanti dalle cosche, tra questi proprio la figura di Carmine Serravalle», dice Liperoti. 
La scelta venne fatta, per non attirare l’attenzione delle forze dell’ordine, su suggerimento di due funzionari, uno addetto ai servizi di scarico portuali e un responsabile degli acquisti del cippato per conto della biomasse, ora in pensione. Quest’ultimo si accordava direttamente con i mesorachesi – racconta Liperoti – «sia per la scelta dei trasportatori sia per quanto questi dovevano pagare come pizzo alla cosca di Mesoraca». I funzionari stavano bene attenti nell’accettare l’iscrizione di nomi noti per poter accedere alla lista di chi poteva praticare lo scarico delle navi «proprio per evitare l’attenzione delle forze dell’ordine». Per questa ragione si decise di optare per la figura di Carmine Serravalle, racconta il collaboratore.
IL CIPPATO “TAGLIATO” «Sono anche a conoscenza di come la cosca di Mesoraca permetta il trasporto di cippato non vergine nel senso che quello che viene portato in biomassa, specialmente quella di Cutro, non è legno vergine, ma è mischiato con sabbia, palme, foglie di olivo, ossia residui vegetali non consentiti», prosegue Liperoti che queste cose le sa perché «fra le aziende che conferiscono in biomassa vi era quella di mio cognato Salvatore Grande Aracri».
I QUANTITATIVI TRUCCATI «Le biomasse del crotonese stipulano contratti con gli autotrasportatori, che raccolgono il cippato o via terra o via mare, per determinati quantitativi». Ma spesso il quantitativo viene superato abusivamente. Il trucco? «si utilizzino imprese che scaricano per un quantitativo minore da quello che è realmente conferito». E tra questa imprese Liperoti nomina subito gli Spadafora di San Giovanni in Fiore, impresa dedita la taglio boschivo i cui componenti sono imputati per associazione mafiosa con la cosca di Ciro Farao-Marincola, espressione sul territorio dei Grande Aracri.
Altre imprese riconosciute dal collaboratore sono la ditta Manini, ala ditta Morelli e quella di Carmine Serravalle.
I CONTROLLI Ma se il cippato arriva alle biomasse “corretto” con sostanze non ammesse, come fa a superare i controlli? «Intanto considerate che come dipendenti biomasse di sono diversi appartenenti alle famiglie delle cosche crotonesi. Ancora, se qualche dipendente, obiettava, circa la qualità dal materiale, alla fine a permettere l’ingresso del cippato alterato era pur sempre il responsabile degli acquisti». Il cippato di Cutro era talmente pieno di schifezze che spesso all’impianto ero costretti a cambiare le turbine «per l’invadente presenza di sabbia ed altro materiale, terra, copertoni, plastica». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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