di Pablo Petrasso
REGGIO CALABRIA «Considera che noi stiamo spostando cose dove i servizi segreti, cioè, stiamo sconquassando il mondo e l’equilibrio mondiale». Roberto Recordare, per gli investigatori «un soggetto riservato della ‘ndrangheta», parla come un capo di Stato. E come un capo di Stato si muove: Tagikistan, Dubai, Afghanistan, Tunisia, Malesia, Turchia, Germania. È un imprenditore nel settore dell’informatica, proprietario di fatto di una squadra di pallavolo. Vive a Palmi, viaggia per il mondo e «si occupa del riciclaggio di imponenti somme di denaro che ha depositato presso vari istituti bancari».
Un’informativa confluita nell’inchiesta Eyphemos della Dda di Reggio Calabria allarga l’orizzonte delle indagini sulla potente ‘ndrangheta dell’Aspromonte: quella che gli investigatori ipotizzano è una gigantesca operazione di riciclaggio internazionale. Ipotesi, ovviamente, da sottoporre a tutti i riscontri del caso. E che coinvolgerebbe pezzi di criminalità siciliana, calabrese e campana. Da maneggiare ci sarebbe un tesoro accumulato dalle mafie (e non solo) nel corso degli anni. Una quantità di denaro gigantesca: Recordare, in una conversazione «con dei soggetti stranieri» riferisce «testualmente – sono parole degli investigatori – che “gestiva 500 miliardi in fondi”, oltre a 36 miliardi che erano già pronti “cash” e che lui voleva trasferire come prima tranche».
Cifre enormi, stando alle intercettazioni contenute nell’informativa, depositate su “conti speciali”, privi di numero Iban, e «rientranti nel patrimonio degli istituti bancari, ma soprattutto riportati i dati di intestatari fittizi, ma riscuotibili al portatore che, appunto, era lui, detentore delle chiavi di accesso ai conti».
«Conti speciali con chiavi elettroniche», li chiama l’imprenditore di Palmi. Il conto madre, «per quanto emerso, si trova presso la Banca nazionale di Danimarca».
Proviamo a seguire, allora il filo dei racconti che arrivano agli inquirenti dalla viva voce di Recordare. Che rievoca «di una perquisizione subita presso l’aeroporto di Roma Fiumicino», quando «si stava imbarcando alla volta di Dubai e Kabul». In quella circostanza, l’imprenditore «si disfava, senza farsi accorgere, di documenti e certificati bancari (Bond), a suo dire, del valore complessivo di 100 miliardi di euro che non avrebbe potuto giustificare».
«Più o meno erano, che so, cento miliardi, qualcosa del genere (…). Ho preso quella busta e l’ho buttata nella spazzatura, in un cestino di quelli», rivela. L’idea era quella di recuperare il materiale subito dopo il controllo: «Ho detto “va, dopo che mi lasciano torno e la prendo”. Se la prendevano diventava… perché avevo il bond da trentasei miliardi».
L’ipotesi è inquietante almeno quanto la cifra: «Si ritiene che si trattasse, in qualche modo, di capitali riciclati nel tempo, presumibilmente provento di traffici illeciti quali il traffico di armi e stupefacenti, senza escludere i proventi di estorsioni, usura e altre condotte delittuose» da far circolare «senza che transitassero in Europa e, soprattutto, in Italia».
Recordare sa che il “gioco” è enorme. «Abbiamo dovuto interessare il governo della Malesia e la Banca Centrale», spiega al telefono. E sa che ci sono dei rischi: «Scaricare quei conti… sarà un bordello a livello internazionale (…). Ci sono tre servizi segreti che ti stanno addosso». Questo, però, non ferma la sua ricerca: per completare le complesse operazioni finanziarie «occorreva un tecnico specializzato abilitato a operare nel dodicesimo livello». Recordare dice «che nel mondo erano pochissimi ad avere questa abilitazione, uno dei quali lo aveva trovato, disponibile, ed era a Francoforte», un «tecnico di Deutsche Bank» che avrebbe effettuato lo scarico del denaro in una banca malese per poi girarlo in un conto dell’Orion Bank, istituto bancario con sede in Tagikistan.
Le cifre – miliardi di euro – paiono fuori dal mondo: basti pensare che l’ultima manovra del governo per stanziare misure economiche anti Covid vale 38 miliardi. Nelle carte trasmesse alla Dda di Reggio Calabria, gli investigatori si incaricano di spiegare a chi appartengano per «quota parte» i denari che Recordare spostava in giro per il globo. Ed elencano imprenditori catanesi in passato coinvolti in un’operazione antimafia, «e di conseguenza le persone che questi rappresentavano», citano la famiglia di ‘ndrangheta Parrello-Gagliostro-Romola e il clan Alvaro di Sinopoli e, in ultimo, «la famiglia di camorra degli “Iarunese” di Casal di Principe».
Un vero e proprio cartello al quale vengono associate le figure di dodici «faccendieri»: sei sono italiani, gli altri – alcuni non erano ancora stati identificati nel febbraio 2018, quando l’informativa viene recapitata ai magistrati – stranieri. All’estero, infatti, si svolge buona parte dell’attività di Recordare. Che, «durante il periodo di indagine ha effettuato diversi viaggi, in vari Paesi del mondo al fine di contattare faccendieri e funzionari bancari corrotti per portare a termine il trasferimento di una ingente somma di denaro e renderla fruibile per i vari soggetti sopra indicati». È in Turchia che l’imprenditore nel settore dell’informatica illustra ai suoi interlocutori «i motivi per cui le somme di denaro non dovevano rientrare in Europa. Era lo stesso Roberto Recordare a spiegare che, per motivi fiscali, il denaro non doveva passare per l’Europa. Aggiungeva che si trattava di somme non “giustificate”, ossia la cui provenienza non era stata tracciata, motivo per cui le operazioni finanziarie poste in essere sarebbero state subito sottoposte ad un controllo da parte delle Autorità preposte».
Da un’altra conversazione, salta fuori che uno dei presunti faccendieri aveva tentato di effettuare, due mesi prima, un’operazione su una somma di denaro facente parte dei conti speciali di Roberto Recordare da Cipro verso Londra utilizzando le chiavi di tale Dimitri, ovvero le chiavi intestate a tale Dimitri Verchtl, nato a Ivànovski (Russia) e deceduto ad Oslo in data 29.12.1987». I morti, però, non possono muovere denaro. E gli inquirenti sanno già che Verchtl è, realtà, una delle tre identità di Recordare. La “trinità” dei passaporti, infatti, ne prevede anche uno afgano, «chiaramente falso, intestato a tale Ahmad Khan, cittadino del Nuristan». Recordare, Verchtl e Khan sono la stessa persona.
Ma la bulimia dell’imprenditore di Palmi per i passaporti non si esaurisce a quelli (falsi) recuperati in giro per il mondo. Il trojan innestato nel suo telefono rivela contatti per acquisire un altro documento. Recordare ne discute con due persone non identificate. Questi gli consigliano «la Repubblica Domenicana, la quale attualmente non prevede rogatorie internazionali e non prevede scambio di informazioni». C’è anche un’altra opzione, «un passaporto diplomatico, in Costa D’Avorio, con il quale potrebbe muoversi in maniera serena in tutto il mondo». Costerebbe 100mila euro; nel giro di due mesi – quelli necessari per ottenerlo – l’imprenditore calabresi diventerebbe «un diplomatico di quello Stato». C’è da stare attenti, però. Un lavoro del genere non dovrebbe essere pensato per «un narcotrafficante» oppure per sparire, perché «vorrebbe dire bruciare il loro contatto in Costa D’Avorio». Ci sarebbe anche la soluzione «del passaporto bancario, ma servirebbe aprire un conto con un deposito di 250mila euro in maniera tale da poter ottenere il certificato di residenza permanente più il passaporto associato, che si otterrebbe in 25 giorni circa».
Recordare spiega che il passaporto non gli serve per fuggire. La prospettiva di far perdere le proprie tracce, però, non è del tutto fuori dall’orizzonte dell’imprenditore. È il 23 ottobre 2017: Recordare dialoga con alcuni dei suoi contatti. «Io, una volta che facciamo questa operazione… io devo trovare come cazzo sparire per un po’ di tempo», ride. Venti giorni prima, nella sua Audi Q5, confida alla sua segretaria «che tra tre anni sarebbe sparito dalla circolazione andando a vivere in Nicaragua. Nel Sud America o Centro America… America del Nord». Scherza: «Posso fare un periodo con gli Inuit e un certo periodo in Costa Rica». Con tre passaporti a disposizione non si sa mai. (p.petrasso@corrierecal.it)
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