La sanità calabrese rappresenta, oramai da decenni, il peggio di quanto si possa immaginare in termini di disservizio del sistema pubblico e di assenza delle tutele fondamentali. La Calabria della non salute ha recentemente guadagnato gli allori della cronaca, in senso ovviamente in negativo, con un andirivieni di commissari ad acta (ex art. 120, comma 2, Cost.) cui la stessa è sottoposta da undici anni. Un periodo lunghissimo di gestione sostitutiva dei governi che si sono succeduti, iniziato dopo un biennio (2007/2009) di commissariamento di protezione civile, ivi istituito a causa delle condizioni di indecenza assistenziale che provocò due morti innocenti per malasanità, i giovanissimi Federica Monteleone e Fabio Scutellà.
Nonostante, i calabresi allo spasimo
In questo ultimo periodo si è parlato, troppo, di commissari ad acta più o meno licenziati, nominati, rifiutati e dimessi sino ad arrivare all’attuale, il prefetto Guido Longo, con una brillante carriera nella polizia di Stato. Nessun accenno però, fatto salvo l’inventario dei problemi da fare de visu a cura dell’organo surrogatorio di quelli istituzionali regionali (presidente, giunta e consiglio), su cosa possa e debba fare lo stesso per superare l’attuale stato di crisi di esigibilità dei Lea e dei conti del Ssr nonché per fronteggiare l’avanzata del Covid-19, con il supporto di Gino Strada fortunatamente sbarcato in Calabria ad hoc.
Ciò che c’è
A monte, per una buona riuscita della novella esperienza commissariale, occorrerà pertanto comprendere le competenze spettanti al commissario ad acta, da distinguersi da quelle gestorie del Dipartimento regionale alla salute che, si badi, non è sostituito da alcuno. In quanto tale è titolare esclusivo della potestas di assumere tutti gli atti e i provvedimenti tecnico-amministrativi attuativi delle linee di indirizzo che dovranno elaborarsi a firma del sostituto del Governo.
Ciò che ci si augura
Quanto a ciò che dovrà (e vorrà) fare il commissario ad acta a tutt’oggi persiste il mistero. Quello che, invero, ha caratterizzato tutte le quattro stagioni commissariali precedenti.
Certamente avrà il dovere di elaborare gli strumenti preparatori al proprio reale impegno. La ricognizione del fabbisogno epidemiologico e quello dello stato dei conti, sia economici che patrimoniali, rappresentano le pietre miliari per iniziare il proprio cammino. Allo stesso modo dovrà predisporre, con il necessario contributo dei sindaci, quali massime autorità sanitarie locali, la mappa dei rischi epidemici, da attualizzare via via, tanto da renderla strumento indispensabile per ottimizzare il programma operativo anti Covid, di sua stretta competenza istituzionale.
Scandito il da farsi, è da sottolineare che, esaurita la prima fase generativa della conoscenza dei fabbisogni salutari e dei problemi che affliggono il deficit patrimoniale della sanità regionale, occorrerà mettere mano:
– nel brevissimo, al conto economico del Ssr, intervenendo con un’attenta spending review e una radiazione delle illegittimità che lo affliggono da decenni;
– nel breve, alla elaborazione di una riforma strutturale funzionale a ridisegnare il servizio sanitario regionale, non disdegnando l’istituzione di una apposita agenzia della salute regionale;
– nel (mini) medio, tirare fuori le magagne finalizzate ad esercitare le previste azioni di responsabilità e di ripetizioni degli indebiti, che si presumono plurimilionari;
– il più presto possibile rendere esigibile “in patria” ai calabresi quanto spetta loro a mente della Costituzione, costretti sino ad ora “recuperare” con una migrazione sanitaria che costa oltre 300 milioni di euro all’anno.
Ciò che occorre fare
La previsione dell’agenzia regionale della salute sarebbe una novità da imporre nell’immediato – come ebbi modo di proporre oltre dieci anni fa in ambito nazionale (Astrid n. 10/2010, ma anche su questa rivista e su Sanità24) – funzionale a modificare gli attuali assetti ideologico-organizzativi del sistema sanitario nella sua interezza. Ciò nell’ottica di privilegiare e, dunque, di salvaguardare la gestione pubblica del sistema e, nel contempo, di realizzare una PA caratteristica più leggera e più efficiente.
Su questa logica, si dovrà «agenzificare» il Servizio sanitario nazionale, pensando a soluzioni del tipo l’istituzione dell’Agenzia nazionale della salute, da disciplinare con provvedimento legislativo specifico. Una ipotesi fondata su un nuovo modello gestorio utile a concretizzare una netta distinzione tra politica e amministrazione sostanziale del sistema, propedeutica ad eliminare ogni duplicazione organizzativa e funzionale, nonché strumentalmente diretta al miglioramento della gestione e del controllo dell’economia specifica complessiva, nel rispetto dell’esercizio dell’autonomia regionale. Un modo, questo, per isolare dall’attuale contesto ordinamentale i costi relativi e meglio evidenziare la responsabilità dei dirigenti ivi complessivamente impegnati sui risultati prodotti. Uno step indispensabile per ritrovarci, nel post Covid, un SSN più attento alla prevenzione e, quindi, al territorio che si renderà garante di una erogazione del livello di assistenza ospedaliera caratterizzata, diffusa per gradi di necessità, dalla eccellenza prestazionale. Il tutto in una sana sfida tra il sistema pubblico e quello privato, regolat o alla migliore insegna della concorrenza amministrata.
*docente Unical
articolo pubblicato su QuotidianoSanità
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