RENDE Si chiude con venti condanne il primo grado di giudizio del processo “Centodieci e lode” nato dall’inchiesta condotta dalla Procura di Cosenza, che aveva contestato la legittimità di 72 lauree. Gli imputati erano in tutto 60, ma l’onda d’urto di questa operazione, ormai dieci anni fa, aveva investito l’intera Università della Calabria.
Alla base un presunto sistema di falsi esami nell’ateneo calabrese che dopo un’interminabile processione di testimoni tra studenti, docenti e tutor ha portato il giudice del Tribunale di Cosenza, Urania Granata – che ha assunto la causa dopo il trasferimento da Catanzaro – a condannare 20 persone tra gli imputati accogliendo in parte le richieste dell’accusa rappresentata in giudizio dal pm Antonio Tridico. I reati contestati sono stati a vario titolo falsità materiale e ideologica e introduzione abusiva nel sistema informatico dell’Ateneo. Non per tutti le accuse hanno retto e sono stati 40 gli imputati assolti. Tra questi Maria Giorgia Vitale, «assolta perché il fatto non sussiste» della quale ospitiamo una lettera che ha voluto condividere all’indomani della sentenza.
Assoluzione perché il fatto non sussiste. Sentire queste parole dopo circa 9 anni è stato strano. Inizialmente non ci ho creduto, ma al telefono il mio avvocato me l’ha riconfermato, con gioia.
Lunedì 30 Novembre 2020 sono stata assolta dal Tribunale Penale di Cosenza con la più ampia formula assolutoria prevista nel nostro ordinamento: perché il fatto non sussiste, ossia perché non ho commesso alcun reato.
Mi sto riferendo al procedimento penale denominato “110 e Lode”, iniziato nel 2011 e arrivato a dibattimento nel 2014, che ha visto coinvolti studenti, professori, funzionari amministrativi e tutor dell’Unical, Università della Calabria. Io ed oltre la metà degli imputati siamo stati accusati ingiustamente e giudicati per i reati di cui agli artt. 48 (errore determinato dall’altrui inganno), 476 (falso materiale) e 479 (falso ideologico) c.p.
Sembra una serie tv il cui pilot – la notifica da parte della polizia giudiziaria sembrasse non dover andare oltre la prima stagione. Sarebbe stata più una mini serie di 4 puntate. E invece è stata una serie tv lunga 9 stagioni.
Questa storia non posso che paragonarla ad una serie tv, perché la realtà dei fatti è che io e altre persone innocenti abbiamo vissuto una situazione assurda e difficile da digerire.
Incontro in Questura per l’identificazione formale, l’indagine, l’interrogatorio e poi le udienze al Tribunale e il coinvolgimento mediatico. Se non sembra una serie tv questa, ditemelo voi…
Chiunque abbia vissuto l’Università sa cosa vuol dire: nottate insonni, ansia divoratrice, adrenalina e frustrazione durante gli esami affrontati. Un percorso durato 5 anni – 3 anni di triennale e 2 di specialistica – un traguardo duramente guadagnato. E alla fine? La beffa.
Avevamo circa 24-25 anni, in mano l’attestato del conseguimento degli studi, nell’altra il futuro professionale da costruire.
Cinque anni sono stati vanificati. Eravamo ricoperti di vergogna e timore di essere identificati per questo durante i colloqui di lavoro e i concorsi a cui abbiamo partecipato.
Dalle umiliazioni alle accuse, siamo stati colpiti violentemente e in modo reiterato durante questo lungo arco di tempo durato 9 anni.
Chiunque leggesse un articolo relativo all’operazione “110 e Lode” si è preso la libertà di puntare il dito contro di noi innocenti.
Siamo stati definiti e incolpati in tutti i modi.
Da “I furbetti dell’Unical” a “ora si capisce perché hai ottenuto 110 e Lode” fino a “Vanno condannati”.
Sguardi giudicanti, messaggi ricevuti sui social network come “sei proprio tu quella dell’elenco?”, riferendosi alla lista dei nomi pubblicata dai giornalisti. In particolar modo, sono stati pubblicati anche i dati sensibili messi alla mercé di tutti: nome e cognome, data e luogo di nascita. Tutti o quasi hanno dato per assunto la colpevolezza, senza sé e senza ma. La presunzione di innocenza non è stata mai contemplata.
Il chiacchiericcio brulicante che si è creato intorno a questa storia è stato insopportabile.
Soffocante. Mortificante. Avvilente.
Ma ora io e chi è stato assolto ha un peso in meno. Quel carico pendente che abbiamo percepito come un macigno si è finalmente frantumato.
Ringrazio il mio avvocato Benito Apollo che con dedizione, pazienza e costanza ha fatto un ottimo lavoro. La giustizia è stata fatta.
Ora siamo ufficialmente assolti e voi ci dovete delle scuse!»
Maria Giorgia Vitale
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