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«Sfruttate, intimidite e costrette dal bisogno». L'incubo del lavoro a Lamezia

I particolari dell’inchiesta della Procura sulle condizioni di lavoro in un locale del centro commerciale. Il gip: «Non avevano alternative». E finivano nel mirino se decidevano di sposarsi o di av…

Pubblicato il: 02/12/2020 – 18:50
«Sfruttate, intimidite e costrette dal bisogno». L'incubo del lavoro a Lamezia

di Alessia Truzzolillo
LAMEZIA TERME
Ennesimo episodio di sfruttamento del lavoro nel territorio di Lamezia Terme. Ennesimo episodio in cui quello che viene dichiarato in busta paga non corrisponde a quanto il dipendente porta a casa, così come non corrisponde al vero il computo delle ore lavorative effettivamente svolte.
La “Rusticherie Mediterranee di Goldoni Saveria snc”, locale situato all’interno del Centro commerciale “Due Mari”, dal 2016 al 2019 avrebbe sfruttato i propri dipendenti sottraendo dal loro stipendio migliaia di euro. La Guardia di finanza di Lamezia Terme, Nucleo Operativo e Nucleo Mobile, ha controllato che in tre anni a 9 dipendenti (otto donne e un uomo) sarebbe stata operata una riduzione sullo stipendio dai 12mila fino ai 29mila euro. Due gli indagati dalla Procura di Lamezia Terme, la titolare Saveria Goldoni, 70 anni e il marito Angelo Maset, 73 anni, amministratore di fatto della società, entrambi di Pianopoli. Un esposto anonimo giunto alle Fiamme gialle ha fatto scattare le indagini che hanno portato oggi al sequestro preventivo, nei confronti dei due imprenditori, di circa 187mila euro, costituenti il profitto del reato, e all’applicazione della misura cautelare interdittiva del divieto di esercitare attività d’impresa o uffici direttivi di persone giuridiche e di imprese.
«MA NON È CHE VUOI FARE UN FIGLIO?» Tra i dipendenti c’era chi lavorava sei giorni su sette, per 39 ore settimanali, senza contare che ad agosto e dicembre si lavorava sette giorni su sette perché sono i periodi in cui il Centro commerciale è maggiormente frequentato. Il tutto per venire retribuiti come se si lavorasse per quattro ore giornaliere (nessuna indennità per le festività e le domeniche) e sentirsi rispondere, alla richiesta di spiegazioni, che al momento le cose sono così. Matrimoni e gravidanze venivano visti come bestie nere. A una dipendente è stato detto che se voleva fare un figlio prima avrebbe dovuto chiederlo a Maset che avrebbe provveduto o a licenziarla o a darle la scelta di andarsene da sola se avesse voluto avere la disoccupazione. Vite completamente assorbite dal lavoro mal pagato. Vite assoggettate psicologicamente dai padroni che pretendevano di inserirsi nelle decisioni più intime dell’esistenza dei dipendenti. Persone che venivano aggredite se decidono di sposarsi ad agosto (proprio nel mese in cui si deve lavorare di più).
INTIMORIRE Quando Goldoni e Maset hanno scoperto dell’indagine a proprio carico, e del fatto che i dipendenti sono stati sentiti dai finanzieri, sono andati su tutte le furie e hanno scaricato la propria rabbia sulle dipendenti con espressioni come: «Chi me lo ha messo nel c… adesso sono io che ve la metto nel c… perché nessuno avrà i miei soldi», minacciando di querelare chi aveva parlato. Il clima diventa pesante quando Maset afferma di aspettare di ricevere i verbali delle dichiarazioni e dicendo che avrebbe dato uno stipendio più alto a chi si era comporta bene che avrebbe mandato sul lastrico chi non aveva detto la sua verità.
«A CHI CI VUOLE MALE» Durante le indagini il clima era teso. Come se non bastasse, ad agosto 2018 c’era stata una visita da parte dell’Ispettorato del Lavoro di Catanzaro. La responsabile, A. A., non indagata in questo procedimento, riferisce a una delle dipendenti che «avrebbe segnato i turni come da contratto e li avrebbe affissi in modo visibile a tutti, di fatto i turni reali che dovevano essere svolti erano nascosti dentro l’armadietto dove custodiamo i nostri effetti personali». Non solo: «La signora A. ci disse che i turni dovevano essere in quel modo perché se ci fosse stato un altro controllo noi dovevamo dire che effettuavamo i turni come da contratto e non quelli imposti dalla società». A un certo punto diviene chiaro a tutti che tra i dipendenti c’era chi si era schierato dalla parte dei titolari e chi non si allineava con loro. Si inserisce in questo contesto un episodio che i finanzieri ritengono significativo: a marzo 2019 la responsabile fa arrivare sul posto di lavoro una torta tramite una dipendente. La torta aveva un pan di Spagna a forma di banana con la scritta “A chi ci vuole male”. Un messaggio, è stato interpretato, indirizzato a chi non si era allineato coi padroni.
COSTRETTE DAL BISOGNO Secondo il gip Rossella Prignani «il narrato delle persone offese ha avuto plurimi riscontri; ed invero, grazie alla disamina dei documenti sequestrati, dei documenti esibiti dalle persone offese, dei documenti acquisiti presso gli uffici dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Catanzaro e delle buste paga acquisite è stato possibile riscontrare, oggettivamente quanto dichiarato dai dipendenti». «Tutte le dipendenti – scrive il gip – sono state costantemente soggette alla video sorveglianza non autorizzata e, a fronte di orari di lavoro ufficiali, affissi in bella mostra, sono state costrette a controllare i turni reali appesi dai datori all’interno degli armadietti, le condizioni di lavoro su richiamate appaiono chiaramente lesive della dignità delle lavoratrici. Sussiste, altresì, l’approfittamento dello stato di bisogno, in cui le donne versavano in quel dato momento, da intendersi quale situazione fattuale che limita la volontà del lavoratore e lo induce ad accettare lo svolgimento di una prestazione lavorativa in condizioni di sfruttamento. Ed infatti, non può non essere adeguatamente considerata la realtà territoriale, di riferimento, in materia di occupazione soprattutto femminile. Contesto nel quale è di assoluta evidenza l’assenza di una reale e accettabile alternativa esistenziale, quali che sia, al sottoporsi alle condizioni lavorative in questione; le persone offese hanno dichiarato di aver dovuto accettare le condizioni di lavoro loro imposte per il bisogno di lavorare». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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