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Cariati e i suoi "fratelli", viaggio tra i tagli alla sanità pubblica calabrese – REPORTAGE

Dieci anni dalla riconversione e 18 giorni dall’occupazione, il Vittorio Cosentino diventa presidio della resistenza dei comuni privati negli anni dei livelli essenziali di assistenza. Storia simil…

Pubblicato il: 06/12/2020 – 10:14
Cariati e i suoi "fratelli", viaggio tra i tagli alla sanità pubblica calabrese – REPORTAGE

di Francesco Donnici
con foto di Marco Zanella / Cesura ©️
CARIATI «Dalla documentazione versata in atti, si ritengono assicurati [sulla base di quanto prospettato nel Piano di rientro dei disavanzi del sistema sanitario approvato con decreto del presidente di Regione Calabria 22 ottobre 2010, n.18] comunque i livelli essenziali delle prestazioni. Si tenga conto in particolare, che la riconversione dell’ospedale di Cariati prevede che il presidio mantenga un punto di primo intervento funzionante in maniera ininterrotta».
Siamo a gennaio 2012 quando il Tar di Catanzaro deposita la sentenza attraverso cui respinge il ricorso del Comune decretando la fine dell’ospedale “Vittorio Cosentino” per come strutturato fino ad allora.
Oggetto dell’impugnazione era il Piano di rientro attraverso cui l’allora governatore, Giuseppe Scopelliti, in qualità di commissario ad acta, disponeva il «riordino della rete ospedaliera, dell’emergenza/urgenza e territoriale». Diverse le strutture interessate: entro il 30 marzo 2011 sarebbero stati riconvertiti gli ospedali di Palmi, Taurianova, Siderno, Chiaravalle, Soriano, San Marco Argentano; entro il 30 marzo 2012 quelli di Rogliano, San Giovanni in Fiore, Acri, Mormanno, Trebisacce, Cariati, Praia a mare, Lungro, Soveria Mannelli, Serra San Bruno, Scilla e Oppido Mamertina.

Calabria, Ospedale di Cariati. 21 november 2020. L’occupazione dell’ospedale da parte del gruppo di attivisti “Le lampare – Basso Ionio Cosentino”.

Passa anche da qui la stagione dei tagli alla sanità pubblica calabrese dove i tribunali amministrativi vengono messi nella condizione di dover operare un bilanciamento tra i costi del sistema e il diritto alle cure per migliaia di persone.
Non è un caso che Gino Strada, lo stesso giorno del suo arrivo in Calabria, abbia parlato di un sistema sanitario pubblico «andato via via impoverendosi» indicando proprio Cariati come «il posto giusto per ripartire».

Il caso Cariati, tra servizi essenziali mancanti ed esternalizzazioni

L’ospedale di Cariati (foto di Marco Zanella / Cesura ©)

Per comprendere gli effetti della chiusura di ospedali come il “Vittorio Cosentino”, bisogna fare una premessa di carattere orografico. Cariati è un paese della costa ionica, a cavallo tra le province di Cosenza (di cui fa parte) e Crotone; frapposto tra Mandatoriccio marina e Torretta di Crucoli.
Sono paesi attraversati da un tratto della statale 106 caratterizzato anche da molteplici affluenti interne spesso fatiscenti e mal collegate, che sono l’unico sbocco per aree interne come Campana, Bocchigliero, Scala Coeli o San Morello, solo per fare qualche esempio.
Fino a prima del 2010, il presidio sanitario cariatese era quindi punto di riferimento per una popolazione complessiva di diverse decine di migliaia di persone. I centri più prossimi sono da un lato Rossano e dall’altro Crotone, senza contare il fantasma ultradecennale del Grande ospedale della Sibaritide, per il quale solo lo scorso 4 novembre è stato presentato il progetto e la consegna dei lavori è stimata per giugno 2023.
Allo stato attuale, molti dei paesi delle aree interne menzionati necessitano di un tempo di percorrenza superiore ad un’ora per raggiungere il primo presidio che possa accogliere anche pazienti “acuti”. Motivo che ha portato il Consiglio di Stato a chiedere la riapertura del “Guido Chidichimo” (di Trebisacce) che con Cariati condivide una storia e caratteristiche territoriali simili, come hanno spiegato il sindaco di Trebisacce Franco Mundo e il consigliere cariatese di minoranza Leonardo Trento, intervenuti al talk Eco dallo Jonio.
«Eppure il paradosso è che Cariati era uno dei pochi ospedali ad avere una contabilità inattaccabile», spiega il dottor Cataldo Formaro, che per anni ha prestato servizio in veste di responsabile del laboratorio di analisi ed oggi è parte attiva del presidio cittadino permanente.
«Al momento della chiusura, il tasso di utilizzo del “Vittorio Cosentino” era dell’83% quindi superiore al minimo previsto dalla normativa nazionale del 72%» anche perché, alcuni reparti come il punto nascite, erano considerati centri di eccellenza. «Qui venivano persone da Rossano o Crotone, nonostante anche in quelle città ci fossero i rispettivi reparti».
Dati che non sono serviti a scongiurare i successivi risvolti. «Da Crotone e Policoro oggi esiste un solo pronto soccorso, che è quello di Rossano. In questa fascia ci sono 0,92 posti letto (per acuzie, ndr) ogni mille abitanti mentre lo standard nazionale, già nel 2010, quando veniva confezionato il Piano di rientro, ne prevedeva 3,2».
Secondo la relazione della Camera (allegata al Piano di rientro) sullo stato della sanità in Calabria del 14 luglio 2011, Cariati registrava al tempo 62 posti letto per acuzie e 20 per postacuzie. Secondo Formaro, sul calcolo e le successive decisioni hanno influito altre variabili: «L’eccesso da tagliare era legato in parte al numero di posti letto presenti su Cosenza, distribuiti per lo più nelle cliniche private. Rimane il fatto che siamo ben lontani dall’avere i 560 posti letto per acuzie che spetterebbero a questa popolazione», anche a fronte dalla futura – ed eventuale – apertura del Grande ospedale della Sibaritide, che farebbe salire il computo di 376.
L’ospedale di Cariati (foto di Marco Zanella / Cesura ©)

La commistione tra stanziamenti e tutele per il sistema pubblico e quello privato è un tema ricorrente. Anche per quanto attiene gli altri servizi.
A fine luglio si registra una sospensione del laboratorio di analisi anche se «già a marzo, con un decreto dell’allora commissario Cotticelli, il laboratorio è stato trasformato in punto prelievi, ma non essendo stato previsto alcun tipo di collegamento per portare le provette, di fatto risultava chiuso già da allora». Simile la sorte del reparto Radiologia che «fa solo tra le 8 e le 10 prestazioni al giorno per il punto di primo intervento mentre per il resto è totalmente bloccato». Servizi essenziali che il Tar, al momento del rigetto delle istanze dell’amministrazione comunale, considerava attivi nella struttura anche oltre la sua riconversione, motivo per il quale, almeno nel 2010, riteneva assicurati i lea per la popolazione della zona. «Tutto è stato smentito negli anni. Tutto viene smantellato».
Nel visitare i locali della struttura, nonostante il prolungato disuso, si nota come questa sia in buone condizioni, con bocchettoni dell’ossigeno ed aria condizionata funzionante nei reparti. I due elementi del deterioramento, per così dire, sono dunque il blocco alle assunzioni di personale – perdendosi un’unità ogni qualvolta arriva un pensionamento – e la mancata manutenzione e rinnovo delle strumentazioni in dotazione. «Per questo motivo non abbiamo più cardiologia. – dice Formaro – L’unità che svolge il normale servizio di fisioterapia è prossima alla pensione. Man mano che la strumentazione si deteriora, non viene sostituita: stiamo parlando di una spesa di appena 30mila euro complessivi».
Per lo stesso settore, lo scorso 13 febbraio 2020, l’Asp di Cosenza ha stipulato quindici accordi (contando solo le prestazioni di tipo ambulatoriale) finalizzati all’acquisto da soggetti privati di prestazioni di “riabilitazione estensiva extraospedaliera”. Tra questi si cita l’unica struttura con sede a Cariati, la Fisiocenter Srl, che come erogatore «accetta, come corrispettivo massimo annuale per l’acquisto di prestazioni in favore di pazienti regionali il tetto di spesa complessivo di circa 542mila euro» a carico del Servizio sanitario regionale, per come stabilito dal decreto commissariale del 7 gennaio 2020, n.4.
Il confronto tra le cifre – da stanziare e stanziate – rendono l’idea di come negli anni ci sia stata una chiara tendenza a favorire le esternalizzazioni verso il privato. Anche per questo, il neo commissario Guido Longo ha sottolineato come per «dare il diritto di curarsi ai calabresi sia necessario ridurre le esternalizzazioni». Secondo Formaro «qui non manca l’utenza, manca la presenza del pubblico».

Il presidio cittadino permanente, 18 giorni dopo

Attivisti nell’occupazione dell’ospedale di Cariati (foto di Marco Zanella / Cesura ©)

«Abbiamo a lungo alimentato la speranza di vedere riaperto questo ospedale, ma quello che chiediamo ora è almeno la riconversione in Casa della salute a fronte dello stanziamento di 9 milioni di euro che ci sarebbe spettato». A dirlo, già durante la prima ondata, era Mario Sero, che attraverso il portale La voce del popolo aveva perorato la causa sposata in prima istanza dal comitato Uniti nella speranza. Somme promesse e mai stanziate, tanto da far pensare alla presentazione di un ricorso per danno erariale alla Corte dei Conti annunciato dal sindaco Filomena Greco. Raccolte firme, appelli congiunti dei primi cittadini della zona, un confronto con l’allora commissario dell’Asp di Cosenza Giuseppe Zuccatelli e qualche timido passo avanti, ma nulla di concreto.
Poi la pandemia si è fatta più acuta, anche in Calabria. Si è cominciato a parlare di ospedali da campo e per i cittadini di quelle zone – comunque lontanissimi dalle tensostrutture e dal primo centro Covid utile – è suonato come l’ennesimo smacco.
A dare avvio all’occupazione dell’ospedale di Cariati sono stati i ragazzi dell’associazione Le lampare basso ionio cosentino, ma passando i giorni la comunità è cresciuta e il messaggio ha varcato i confini nazionali fino ad arrivare in Germania e Regno Unito, anche grazie alla partecipazione dell’associazione Escia a Mare. Già il giorno dopo l’occupazione, l’Asp di Cosenza ha ordinato un sopralluogo della struttura personalmente coordinato dall’attuale commissario Bettelini, senza però avere alcun esito e tanto da indurre il sindaco Greco a definire la sortita «umiliante per i cittadini».
foto di Marco Zanella / Cesura ©

«L’Asp – dice Mimmo Formaro, tra i portavoce del presidio – ha voluto per lo più fare una passerella promettendo tre oss e dieci posti di Rsa medica, ma noi abbiamo politicamente superato quel momento dacché la questione è arrivata sul tavolo del viceministro Sileri. E Sileri ha risposto che quest’ospedale “è una risorsa in relazione alla riorganizzazione della rete ospedaliera per acuti”».
Dopo il sopralluogo nessuna relazione, tanto che per trovare l’ultima «sulla capacità di posti letto e strutturale del Vittorio Cosentino» bisogna tornare allo scorso giugno. «Abbiamo imparato a non seguire troppo le promesse e aspettiamo i fatti. – dice ancora Mimmo Formaro – Questo territorio viene calcolato solo in prossimità delle elezioni. Le istituzioni possono e devono rinnovarsi in positivo, ma per farlo devono stringere rapporti con le persone e capirne i bisogni. Noi ci siamo costituiti al di là dei posizionamenti politici locali volendo creare un presidio popolare che non venisse contaminato dalle divisioni della politica che di solito bloccano istanze condivise come quella dell’ospedale. Ci teniamo stretto questo percorso che sta raggiungendo dei risultati anche in termini di una socialità diversa».

Gli altri ospedali chiusi e depotenziati

foto di Marco Zanella / Cesura ©

Il caso di Cariati è solo l’emblema di un problema diffuso della regione che si pone tra il troncone dei tagli alla sanità pubblica e quello del mancato rispetto dei livelli essenziali di assistenza per un’enorme fetta della popolazione.
La mancanza di servizi essenziali ha nel tempo incentivato lo spopolamento delle aree interne dove tra l’altro, come l’esperienza cariatese insegna, non è più concesso nascere, ma è molto facile morire.
«Chiediamo l’opportunità di poter esporre compiutamente la situazione che i rispettivi territori sono costretti a subire ancora di più in questa emergenza» scrivono questo 3 dicembre in una nota indirizzata alla Regione i sindaci di una serie di comuni già sede di ospedali o di strutture sanitarie pubbliche depotenziate in questi ultimi dieci anni.
foto di Marco Zanella / Cesura ©

Tra questi Franco Mundo, sindaco di Trebisacce che condivide risvolti giudiziari simili a quelli ottenuti dall’amministrazione di Praia a Mare. Come ricordato, lo scorso 2015 il Consiglio di Stato fondava il proprio giudizio proprio sulla constatazione che «i tempi di accessibilità ai distretti di Corigliano Calabro e Rossano Calabro, prima ancora di quelli al centro Hub di Cosenza, rendono impossibile un efficace trattamento di una “emergenza sanitaria” partendo da Trebisacce o dai Comuni del suo distretto». Nonostante la statuizione, anche in questo caso, la situazione è andata peggiorando e più volte è stato preso atto dell’inerzia del precedente commissario ad acta chiamato a riattivare la struttura per garantire «almeno un accettabile livello dei Lea nel territorio di interesse».
Altro esempio nella provincia è quello di Mormanno, dove otre il 118, il laboratorio analisi, i posti di riabilitazione estensiva già attivi dovevano essere attivati posti di Rsa medica, posti di Rsa Anziani, posti per il disturbo dei comportamenti alimentari e naturalmente lo sblocco del turnover per tutti i servizi attivi. «Noi ci siamo impegnati a consegnare una struttura del tutto adeguata dal punto di vista sismico ed efficientata dal punto di vista energetico. – diceva lo scorso 16 novembre il sindaco, Giuseppe Regina – Lo abbiamo fatto in maniera condivisa con tre comunità consci dell’importanza di avere un punto di riferimento sanitario territoriale. È da tempo che siamo pronti ma nonostante manifestazioni a Catanzaro, lettere, incontri, proteste nessun impegno è stato mantenuto». (redazione@corrierecal.it)

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