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Chi è "Saro Cassarola", latitante dal grilletto facile che il clan rivale voleva uccidere

Attorno a Rosario Pugliese stava per aprirsi una nuova sanguinosa guerra di mafia nel Vibonese. Lo raccontano i collaboratori di giustizia negli atti della maxi inchiesta Rinascita Scott: «È il pri…

Pubblicato il: 06/12/2020 – 7:11
Chi è "Saro Cassarola", latitante dal grilletto facile che il clan rivale voleva uccidere

di Alessia Truzzolillo
CATANZARO “Saro Cassarola”, al secolo Rosario Pugliese, non è un uomo qualunque. Attorno all’uomo che il 19 dicembre 2019 è sfuggito alla cattura, nel corso dell’operazione “Rinascita-Scott” e al quale, dopo quasi un anno, i carabinieri di Vibo sono riusciti a mettere le manette, stava per scatenarsi una faida sanguinosa. Lo racconta il collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena, la stessa persona che tre anni fa stava per cadere sotto il fuoco aperto da Pugliese. Il gruppo di Arena, i Ranisi, voleva vendicare l’agguato e stava per dare il via a una vera e propria guerra di mafia che gli arresti di Rinascita hanno fermato. Rileggendo gli atti di Rinascita Scott si può ipotizzare che “Saro” non si nascondesse soltanto agli inquirenti che lo cercavano da quasi un anno. In proposito, le parole del pentito Bartolomeo Arena (risalgono all’ottobre 2019) sono molto chiare: «Adesso i Pardea, soprattutto Antonio, hanno deciso di prendere il potere su Vibo Valentia, pertanto il primo da eliminare è Rosario Pugliese». Ma procediamo con ordine.

La conferenza stampa per la cattura di Rosario Pugliese

IL GRADO DI “SANTA” Pugliese, 54 anni, è considerato il capo della ‘ndrina dei “Cassarola” ramificata nella zona di viale Affaccio di Vibo Valentia. Come testimonia il collaboratore di giustizia Andrea Mantella, che gli è cugino, Saro possiede la dote della “Santa”, grazie alla quale può partecipare agli incontri della società maggiore.
L’usura è una delle attività illecite che Pugliese, secondo le accuse della Dda di Catanzaro, praticava maggiormente oltre a essere socio occulto delle imprese di pompe funebri di Orazio Lo Bianco e Michele Lo Bianco, altri maggiorenti della ‘ndrina.
Mantella racconta che «Rosario Pugliese, detto “Saro Cassarola”, è un mio parente, affiliato di ‘ndrangheta con il grado della Santa, era sempre presente alle riunioni della società maggiore; lui era uno dei pochi azionisti rimasti, anche perché aveva fatto scomparire i fratelli Tambuscio per vendicare il fratello e ha sparato due volte ad Antonello Muggeri, poi ammazzato dai cosentini». Non solo. Secondo il collaboratore «i fratelli Pugliese, Carmelo e Rosario, nonché Orazio Lo Bianco, quello del cimitero, si sono arricchiti con le truffe perpetrate grazie alle false certificazioni del dottore Soriano». Le mani in pasta Pugliese cercava di averle dappertutto, anche nelle scuole. «I fratelli Pugliese – racconta sempre Mantella – hanno anche il monopolio della vendita di panini e bibite nelle scuole, non si tratta di un’attività lecita tanto e vero che Domenico Prestia, affiliato alla cosca Lo Bianco, mi disse che aveva messo una bomba al soggetto che lecitamente svolgeva la stessa attività e che aveva un chiosco all’ingresso dell’istituto tecnico industriale; con una bomba gli hanno distrutto il chiosco per non fargli vendere più panini, ciò accadeva prima che venissi scarcerato nel 2009». È uno che non va molto per il sottile Saro Cassarola e passa dal vessare gli usurati al pretendere 250 biglietti omaggio per sé e il suo gruppo dal circo che è arrivato in città. È uno che apre il fuoco e scatena vendette e seppellisce i morti (migranti, per i quali sarebbe stato pagato dal Comune) senza guardare alle regole e senza fornire una cassa di legno.
Elicotteri in ricognizione su Vibo Marina nella notte in cui è stato arrestato Rosario Pugliese

PROLOGO A UNA FAIDA (SVENTATA) Nel processo Rinascita-Scott gli vengono contestate associazione mafiosa, usura, estorsione, truffa, trasferimento fraudolento di valori, riciclaggio, danneggiamento, detenzione illegale d’arma da fuoco. È accusato del tentato omicidio di Bartolomeo Arena, Antonio Macrì e Giuseppe Camillò contro i quali il 27 settembre del 2017 aprì il fuoco con una calibro 38. La Toyota IQ nella quale viaggiavano i tre parò l’agguato. Secondo Bartolomeo Arena, a dare fuoco alla miccia di acredini che covavano da tempo, fu Mommo Macrì, il quale il 27 settembre sparò e ferì, all’interno di un circolo, il nipote di Saro Cassarola ad un piede perché, secondo Macrì, lo aveva guardato male e non lo aveva salutato. Il fatto era gravissimo e quando Domenico “Mommo” Macrì andò a raccontarlo a Bartolomeo Arena questi, saputo che Saro Cassarola si aggirava intorno casa di Macrì, decise che fosse il caso di fare un giro da quelle parti. «Il Pugliese ha notato me, Giuseppe Camillo ed Antonio Macrì e ci ha sparato contro, senza colpirci», racconta Arena. Venuto a conoscenza del fatto Mommo Macrì «si recò davanti alle case di Rosario Pugliese, alias Saro Cassarola, esplodendo dei colpi di pistola», racconta Arena, «contro la sua auto e la sua casa». Queste sparatorie sono avvenute in un solo giorno e non potevano non attirare l’attenzione delle forze dell’ordine. Per questo motivo Enzo Barba e Paolino Lo Bianco cercarono di fermare le ostilità. Le acque si calmarono ma il fuoco era vivo sotto la cenere. Bartolomeo Arena racconta che «Mommo Macrì mi diceva espressamente in quel periodo che voleva coinvolgerci in una vera e propria guerra». Dal canto suo Pugliese aveva conferito mandato ad Orazio Lo Bianco di armarsi di pistola ed uccidere Domenico Macrì qualora quest’ultimo gli si fosse avvicinato. E questo è solo uno dei tanti rivoli in cui si divide l’ambiente criminale di Vibo Valentia fatto di screzi che possono costare una vita. (a.truzzolillo@corrierecal.it)

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