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Bilanci fantasy, «cliniche controllate dai clan» e fatture scomparse. Il puzzle impossibile della sanità

Il disastro non è soltanto una questione criminale. L’Asp di Cosenza non ha un inventario dei beni strumentali. Ha un bilancio, quello del 2018, che è una polveriera. E documenti contabili, trasfor…

Pubblicato il: 08/12/2020 – 7:38
Bilanci fantasy, «cliniche controllate dai clan» e fatture scomparse. Il puzzle impossibile della sanità

di Pablo Petrasso
LAMEZIA TERME
«Negli atti di scioglimento delle Asl, ci sono capitoli interi dedicati alle sovvenzioni che ricevono le cliniche private controllate dagli ‘ndranghetisti». Nel mare magnum di interviste, inchieste e riflessioni sui guai della sanità calabrese, questa frase del comandante dei Ros, il generale Pasquale Angelosanto, è passata praticamente inosservata. Al Corriere della Sera, il militare che ha guidato i carabinieri di Reggio Calabria e provincia del 2009 al 2012 ha detto che l’incarico da commissario alla sanità in Calabria può fare paura («io stesso sarei molto preoccupato. Dopo di che farei il mio dovere») ma ha provato a non cadere nella trappola di una identificazione della Calabria con i propri fenomeni criminali: «Si vede un problema di legalità. È dovuto alla presenza mafiosa che ha permeato tutti i gangli delle amministrazioni locali. Ma non alla gente in sé. È vero che la ‘ndrangheta ha consenso e lavora per accrescerlo. Ma non dobbiamo pensare che la maggior parte dei calabresi stia con la ‘ndrangheta. Questo non è vero», ha spiegato. Certo è che «la sanità consente di ottenere consenso che poi viene restituito al momento del voto». E i legami a cui accennano – secondo Angelosanto – le relazioni di scioglimento delle Aziende sanitarie (in questo momento quelle “fermate” per infiltrazioni mafiose sono Reggio Calabria e Catanzaro) sono inquietanti, per quanto secretati come i documenti che li raccontano.

‘Ndrangheta e non solo


Che il disastro della sanità calabrese sia anche una questione criminale è noto (almeno) dai tempi del delitto Fortugno. Un’intercettazione sintetizza l’atteggiamento di chi era pienamente inserito nel “sistema” nei confronti del consigliere regionale che avrebbe potuto scardinare certe logiche. «Se Modugno arriva lì, ti sdirrupa la clinica», dice un deputato reggino a Domenico Crea, che proprio al posto di Fortugno entra in consiglio regionale dopo l’omicidio politico-mafioso. La “clinica” è proprio il sistema che punta sulla sanità per arricchirsi e “Modugno” è il nomignolo con il quale veniva individuato il politico ucciso a Palazzo Nieddu il 16 ottobre 2005.
Appiattire la questione sanitaria sui legami con le organizzazioni mafiose, tuttavia, non basta a descrivere un problema che è più complesso. Lo spiega ancora il capo del Ros al Corriere della Sera: «Quando abbiamo lavorato sugli scioglimenti di consigli comunali o Asl ci siamo sempre imbattuti non solo nel problema della carica elettiva ma in quello della struttura amministrativa: che rimane lì, anche quando cade il sindaco, anche dopo tre o quattro scioglimenti a ripetizione. Stanno lì e non ti aiutano di sicuro». La frase del militare serve ad aprire il tema del disordine organizzativo. Un disordine che spesso si fa sistema e trasforma i bilanci delle Asp in documenti che si piazzano in un genere letterario a metà strada tra l’atto burocratico e il romanzo fantasy.

Se il bilancio è un romanzo fantasy


Cambiamo scenario. Anche l’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza è finita al centro dell’interesse della stampa nazionale. Fatture scomparse, contenzioso vicino al miliardo di euro, confusione gestionale. C’è tutto l’armamentario della burocrazia in salsa calabra. C’è anche un bilancio, quello del 2018, che – secondo un tecnico che conosce bene i conti dell’Azienda – «non approverà mai nessuno». L’Asp, tanto per raccontare una sole delle pieghe del documento, non ha un inventario dei beni strumentali e immobili. Insomma, non sa quanti macchinari ha (e non soltanto quelli). «In queste condizioni», spiega la nostra fonte, «non si può fare un bilancio». Il valore dei beni va inserito, di anno in anno, nella posta dell’ammortamento. Se la cifra è sconosciuta, significa che è stato calcolato a forfait. Non c’è un registro dei macchinari: dunque, se uno di essi sparisse, paradossalmente non lo si potrebbe neppure dimostrare. Sul piano economico-finanziario, invece, il valore dell’ammortamento modifica le perdite e l’impossibilità di conoscerlo rende la contabilità inaffidabile. Non siamo più ai bilanci orali, ma ai bilanci di fantasia.

Debiti “venduti” a Milano e fatture scomparse


Sarebbero di fantasia anche alcune fatture. Nei giorni scorsi, il Fatto Quotidiano ha raccontato uno degli affari che si snodano lungo l’asse tra sanità privata e mercati finanziari, quello dei bond sanitari. Un meccanismo sul quale sarebbero in corso inchieste da parte di più di un Procura e che negli ultimi anni ha portato in Calabria decine di società finanziare milanesi. Le società comprano pezzi di debito sanitario, cioè di fatture per milioni di euro emesse da cliniche private nei confronti delle Asp. Le strutture sanitarie le vendono, le società le trasformano in bond da vendere sul mercato. C’è un problema, però. Nel caos contabile che abbiamo descritto, alcune di queste fatture sono scomparse. Il fatto è che, senza questi atti, i bond potrebbero sgretolarsi perché privi di pezze d’appoggio e, dunque, di valore. Lo spiega in poche ma efficaci righe una comunicazione della manager del settore Governo della Rete e degli Erogatori in possesso del Corriere della Calabria. La lettera ricorda che «le società PJT2411 srl e Tocai Spv srl hanno intimato il pagamento di fatture oggetto di cartolarizzazione. Da una verifica effettuata sia da questa Uoc che dalla Uoc Risorse finanziarie – continua la lettera – le fatture, per le quali si richieda il pagamento, non risultano mai pervenute e registrate sul sistema gestionale aziendale». Segue un elenco di sei strutture – tra cliniche e centri di riabilitazioni – che hanno venduto il debito alle due società. Gli importi vanno da poche migliaia di euro a qualche milione: il totale supera gli otto milioni. Un guaio sul quale gli inquirenti hanno acceso i fari da tempo. Non è l’unico, visto il via vai – diventato un’abitudine – degli investigatori dagli uffici di viale Alimena. (p.petrasso@corrierecal.it)

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