di Pablo Petrasso
CATANZARO «Le aziende sanitarie della Calabria hanno pagato per interessi e spese legali, nell’esercizio 2018, la somma di oltre 23 milioni di euro e nel 2019 oltre 32 milioni di euro. Appare evidente che se i pagamenti fossero stati tempestivi, tali somme, complessivamente oltre 55 milioni di euro, avrebbero potuto essere destinate a incrementare le prestazioni sanitarie, piuttosto che, come avvenuto, a compensare i creditori per il ritardo nei pagamenti dei loro crediti». La Corte dei Conti propone spesso richiami al modo in cui la politica gestisce le casse pubbliche. Questo, però, dopo settimane di ribalta nazionale sull’emergenza sanitaria in Calabria, rilancia una questione centrale nel funzionamento del sistema sanitario. Che spesso non serve alle cure dei cittadini ma ingrassa le casse di società finanziarie e studi legali. Così, il rilievo del presidente Vincenzo Lo Presti nel corso della teleconferenza sul Giudizio di parificazione del rendiconto generale della Regione Calabria colpisce nel segno.
Soltanto qualche giorno fa, in una delle (ormai tante) puntate dedicate dalla trasmissione Titolo V al caso Calabria, il consigliere regionale del Pd Carlo Guccione ha mostrato una delibera esemplare dell’Asp di Cosenza che, dopo aver ritardato per anni il pagamento di un debito, ha finito per versare nelle casse di una società 4 milioni 387mila euro anziché il milione inizialmente reclamato dalla ditta. «Le delibere come questa sono decine», ha detto Guccione alle telecamere di Rai Tre. Che siano decine in tutta la Calabria, dopo la relazione della Corte dei conti, non c’è più dubbio. «Il ritardo nei pagamenti – spiega ancora Lo Presti – oltre a ledere l’immagine di affidabilità dell’ente, genera ingenti costi, per il pagamento di interessi e spese legali, che sottraggono risorse per i cittadini».
L’Asp di Cosenza è uno degli epicentri del fenomeno. L’Azienda è sommersa dai giudizi di ottemperanza: perde i ricorsi nei Tribunali, poi non paga le fatture, al punto da costringere il Tar a intervenire per nominare un commissario ad acta che vincoli in bilancio la somma, incrementata dalle spese e interessi. Capita così che gli interessi, nei giudizi che si trascinano a lungo, superino la sorte capitale (cioè il debito iniziale). In un ente che emette decine di migliaia di fatture all’anno da circa 100 centri di costo, il meccanismo si ripete per centinaia di volte. A volte per cifre modeste, in altri casi per somme di diversi milioni di euro. Un sistema che affossa la sanità.
Alla patologia dei ritardi si legano anche conseguenze sui servizi e sul tessuto imprenditoriale. Questo perché «gli imprenditori contraenti con l’amministrazione mettono in conto il ritardo del pagamento e lo fronteggiano aumentando il costo del servizio reso». E poi «versano costantemente in crisi di liquidità poiché, pur non riscuotendo il loro credito, sono egualmente tenuti a versare contributi e imposte». Il ritardo nei pagamenti, dunque, «drena ingente liquidità dal sistema economico costringendo gli imprenditori al ricorso al credito, spesso a condizioni onerose se non usurarie. Invece, se la Pubblica amministrazione onorasse tempestivamente i propri debiti, ciò costituirebbe un volano per lo sviluppo economico e la conseguente immissione di liquidità sul mercato favorirebbe indiscutibilmente la ripresa economica».
«L’ho già detto e non mi stancherò mai di ripeterlo: i debiti della pubblica amministrazione non vanno occultati tra le pieghe delle scritture contabili, come la polvere sotto il tappeto, ma vanno evidenziati e tempestivamente saldati», ha concluso il presidente Lo Presti. «Occorre evitare – ha aggiunto Lo Presti – che sulle generazioni future gravino i debiti delle generazioni precedenti, in quanto ciò è in palese contrasto con il principio di solidarietà espresso dall’articolo due della Costituzione. Anche perché, diversamente, i nostri figli non avranno le nostre stesse opportunità».
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