Sta per finire un anno da incubo, segnato dall’incessante crisi economica prima, poi dalla pandemia che ha messo a nudo le debolezze strutturali di una sanità arrivata allo stremo, che ha stravolto la quotidianità di tutti, tracciato significative disuguaglianze e allargato divari già esistenti, che ha seminato una strisciante inquietudine, appesantita dalla scomparsa del Governatore della Calabria.
Ora però c’è bisogno di una cesura netta con il passato, di correggere quei difetti che alimentano la sindrome di Calimero, che incitano al disprezzo a tutti i costi, che insinuano il sospetto, che fomentano un clima da caccia alle streghe, che tendono a spargere veleni sulla rete e non solo, per “infettare” il dibattito politico in vista delle prossime regionali, che usano i magistrati per riscuotere consensi sui social, svilendo, di fatto, la loro incessante attività finalizzata a sottrarre il territorio calabrese dal controllo della ‘ndrangheta, a liberarci dall’ancestrale rapporto di dipendenza con le cosche e da boss che vivono sotto terra come topi.
Del resto, per chi finge di non aver capito, operazioni come “Rinascita Scott” sono innanzitutto un ammonimento, un’esortazione, una sfida al cambiamento che tutti i calabresi (fatta eccezione per un manipolo di cialtroni) dovrebbero finalmente cogliere, non lasciando cadere nel vuoto l’appello lanciato dallo stesso procuratore Gratteri, il giorno dopo aver stroncato il dominio delle ‘ndrine nel Vibonese: «Bisogna dire basta e avere il coraggio di occupare gli spazi che questa notte vi abbiamo dato. Da oggi dovete andare in piazza, dovete occupare la cosa pubblica, dovete impegnarvi in politica, nel volontariato, in tutto quello che è possibile fare, altrimenti continueremo a parlarci addosso».
È così. Ora c’è davvero bisogno di un tentativo di riuscita che ci riscatti da una passività congenita, di scrollarci di dosso l’etichetta di ‘ndranghetisti, di non essere prigionieri delle narrazioni mediatiche, di rialzarci e fare sistema, di inserirci nel flusso del cambiamento e della modernità perché quando la guerra pandemica sarà finita, nel bene e nel male, nulla sarà come prima.
E la politica in Calabria dovrà fare bene il proprio mestiere più che altrove, dovrà ricucire lo strappo con i suoi elettori per essere stata egoista e miope, per essere scesa a patti con il diavolo, per non aver impedito la fuga di migliaia di giovani calabresi e con loro, la speranza di un futuro possibile.
Ci aspetta una lunga traversata in mare aperto e per evitare di infrangersi sugli scogli, questa volta, sarà fondamentale scegliere con cura skipper ed equipaggi, evitare le correnti marine e resistere al canto delle sirene. Sarebbe già un buon inizio. (paola.militano@corrierecal.it)
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