di Francesco Donnici
ACQUAPPESA Su una cosa sembrano convenire le parti: l’attività delle “Terme Luigiane” non può finire qui. Non può finire per il bene dei lavoratori; non può finire perché andrebbe a disperdersi una delle più importanti risorse del territorio calabrese, forse non ancora valorizzata nel pieno delle sue potenzialità in forza dello stallo degli ultimi anni che di fatto ha impedito qualsiasi programmazione.
Il problema sono le condizioni, che separano posizioni nette: da un lato la Sateca Spa – che gestisce il complesso termale in forza di un contratto risalente al 1936, scaduto e più volte “prorogato” – che ha le sue necessità e pretese. Dall’altro i Comuni di Acquappesa e Guardia Piemontese, che a più riprese continuano a sottolineare come queste non possano più essere contemplate allo stato attuale: «Bisogna eliminare situazioni monopolistiche e garantire la libera concorrenza per valorizzare l’intero territorio e non solo una parte per qualche mese. Chiunque sostiene che la situazione è diversa da quella prospettata dalle normative vigenti, ci vuole spingere a commettere un illecito. È già successo in passato, quando si è giunti a costringere le amministrazioni a concedere “proroghe” che, in quanto tali, non sono nemmeno previste nel codice degli appalti».
Nel mezzo ci sono i lavoratori, che chiedono risposte, come spiegato dal “Comitato”: «Siamo consapevoli che questa diatriba sia determinata da problemi burocratici, ma all’atto pratico ci preoccupa l’assenza di alternative che possano garantirci il lavoro. La Sateca è una “società per azioni” e se non ci sono i presupposti, non proseguirà. A differenza delle altre volte, l’azienda non ha richiesto nemmeno un’interlocuzione alle amministrazioni e siamo stati costretti a procedere da soli».
LE CONDIZIONI ATTUALI E I REGOLAMENTI DEI COMUNI Il “Comitato dei lavoratori delle Terme Luigiane” conta oltre 1.500 iscritti che, dallo scorso 11 dicembre, – giorno in cui la Sateca ha annunciato la chiusura del complesso termale – sono tornati a manifestare per chiedere che l’attività delle Terme continui per vedere salvi i posti di lavoro dei circa 250 dipendenti (di cui 12 a tempo indeterminato assunti dall’azienda e gli altri stagionali). «La nostra mobilitazione – spiega Valentina Pulzella, direttore delle strutture ricettive, qui in veste di portavoce del Comitato – non è strumentale alle azioni dell’azienda, ma solo ed esclusivamente al nostro lavoro, ai nostri stipendi e alla vita più che dignitosa che la Sateca ci consente di condurre». Il Comitato spiega anche quali sono le condizioni a cui si fa cenno: «Nei mesi di chiusura fruiamo degli ammortizzatori sociali. Oltre a ciò, la Sateca ci corrisponde regolarmente ad ogni fine contratto tredicesima, quattordicesima, ferie e riposi non goduti, straordinari e Tfr. Questo ha consentito fino ad ora ai lavoratori della società di vivere più che dignitosamente, pur lavorando stagionalmente, poiché siamo molto ben remunerati come previsto dai contratti collettivi nazionali con tutti i diritti riconosciuti in busta paga». Motivi per i quali si chiede la prosecuzione alle condizioni attuali, o meglio «che l’azienda venga messa nelle condizioni di garantirci un lavoro».
Il complesso si divide tra lo stabilimento “San Francesco”, con reparti e centri per l’erogazione di cure specifiche, e le “Therme Novae”. «Presso lo stabilimento San Francesco – spiega Pulzella – la Sateca ha le vasche di maturazione dei fanghi e la coltivazione delle alghe. Il problema della prosecuzione delle attività potrebbe essere risolto facendo un investimento e spostando le attrezzature alle “Therme Novae”». Nel mezzo ci sono però i nuovi regolamenti approvati dai Comuni: «Per la Sateca – continua il Comitato – è previsto solo il 12% dell’acqua termale che in realtà non è nemmeno quantificato. Nel corso degli anni è stata fatta un’unica misurazione rispetto alla portata ed è discordante nei diversi documenti: in un progetto presentato alla Regione veniva riportato un valore (1000 l/s) e nei regolamenti un altro (100 l/s). Ci siamo ritrovati degli atti che non hanno concretezza e per questo mettiamo in discussione la certezza prospettata dai Comuni che i posti di lavoro siano garantiti».
«Sono atti propedeutici – ripetono Francesco Tiripicchio, sindaco di Acquappesa e Vincenzo Rocchetto, sindaco di Guardia Piemontese – In particolare, il regolamento sulla gestione delle acque termali è relativo a quello che dovrà avvenire dopo il completamento dell’iter procedurale del bando e quindi dopo l’avvenuta individuazione del soggetto gestore».
Nell’attesa, la “guerra fredda” tra la società e le amministrazioni preoccupa i lavoratori, che tramite il sindacato hanno chiesto un incontro ai sindaci. «In questa fase i nostri interlocutori non dovrebbero essere i lavoratori. – dicono Tiripicchio e Rocchetti – Le amministrazioni hanno a cuore la loro attuale posizione ed anzi vogliono aumentare in futuro i posti di lavoro. La Sateca, dal canto suo, ha inviato nota di chiusura unilaterale quindi i lavoratori dovrebbero rivolgere queste domande e queste preoccupazioni all’azienda. Noi invece pretendiamo la prosecuzione delle attività perché altrimenti ci sarebbe una interruzione di pubblico servizio di cui Sateca sarebbe l’unica responsabile allo stato attuale».
IL BANDO BLOCCATO E I BENI “INDISPONIBILI” «Per farci lavorare – scrive il Comitato – servono tre cose: le strutture aperte, la disponibilità dell’acqua termale e non ultima – che è quella che al momento ci preoccupa più di ogni altra – la disponibilità di un’azienda pulita e sana che ci assuma e che ci garantisca i pagamenti come fa la Sateca».
L’ultima richiesta è legata all’individuazione del nuovo concessionario ed ai timori legati anche all’inchiesta che nel novembre 2017 svelò le presunte mire del clan Muto sul complesso termale.
L’individuazione del nuovo concessionario avverrà all’esito della pubblicazione del bando di gara pubblico, che ad oggi risulta bloccato perché – come riferito dai sindaci – manca la parte sul compendio di beni attualmente in possesso della società di cui viene richiesta la restituzione.
«Non c’è obbligatorietà che i comuni abbiano il possesso dei beni per redigere il bando. Le amministrazioni – dice la portavoce del Comitato – sono in possesso da settembre del 2016 dell’inventario dettagliato dei beni e qualora chiedessero un accesso nessuno glielo negherebbe. Inoltre l’accordo stipulato in prefettura non richiede la restituzione dei beni ai fini della redazione del bando».
I sindaci però sottolineano: «Abbiamo l’inventario dei beni, ma per metterli a bando bisogna facciano parte del “patrimonio disponibile” degli Enti». Piuttosto «non comprendiamo perché questi beni, in stato di abbandono in quanto inutilizzati dal concessionario, non debbano essere restituiti ai legittimi proprietari. Li chiediamo per metterli a bando e valorizzarli anche perché ora non lo sono. Ci riserviamo anzi di denunciare alle competenti autorità giudiziarie la mancata restituzione che ci impedisce di completare l’iter. Non possiamo prescindere dalla restituzione dei beni».
Il compendio in questione fa parte di un territorio di circa 10 ettari attualmente in gestione alla Sateca, dove però (in larga parte) non vengono svolte attività afferenti al complesso termale. Gran parte di questo compendio di beni non viene quindi utilizzato e si trova in stato di abbandono. Questo almeno denunciava una turista attraverso un videoracconto postato su facebook lo scorso 3 settembre: «Benvenuti alle Terme Luigiane…ma solo se alloggi e ti muovi nel raggio d’azione (2 o 3 metri) del Grand Hotel, della Piscina Termale e degli uffici di accettazione. […] A chi ama questo luogo restano profonda amarezza e consapevolezza che avevate fra le mani un paradiso e l’avete ridotto così», scriveva nella didascalia.
La stagione appena trascorsa non è stata certo “normale”, come spiega anche il Comitato dei lavoratori: «Causa Covid, la stagione si è conclusa l’11 ottobre anziché a inizio Dicembre come negli anni passati, e secondo quello che ci aspettavamo, dopo aver lavorato pensando già a come recuperare una stagione drammatica, avremmo dovuto riaprire ad Aprile 2021. Invece, ancora una volta, siamo ripiombati nel buio totale».
I sindaci insistono nel dire che l’incuria è soprattutto frutto del mancato utilizzo di quella parte di territorio e che «la società fa un minimo di manutenzione solo durante la stagione. Di quella parte del compendio le amministrazioni non sono responsabili e sono costrette a vedere quella situazione. Non possiamo permetterci questo stato delle cose anche per rispetto ai sacrifici fatti dai nostri avi. I nostri figli non dovrebbero vergognarsi di questi territori e non dovrebbero andarsene solo perché qualcuno pretende di continuare in regime di “monopolio”». (redazione@corrierecal.it)
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