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Recovery, nuovo “scippo” alla Calabria. Corvino: «Il Sud si mobiliti»

L’Europa ha riconosciuto circa il 70% delle risorse del fondo per contrastare la crisi economica post Covid all’Italia per le condizioni in cui versa il Mezzogiorno, nel Piano nazionale di ripresa …

Pubblicato il: 18/12/2020 – 7:10
Recovery, nuovo “scippo” alla Calabria. Corvino: «Il Sud si mobiliti»

CATANZARO La partita per ridistribuire le risorse della Next generation european union (Ngeu) è iniziata. La fetta più consistente riguarda il finanziamento del Dispositivo per la ripresa e la resilienza (Recovery and resilience facility) – più comunemente chiamato Recovery fund – che porterà – secondo i calcoli del Governo Conte – 208,6 miliardi in direzione di Roma. Ma la scommessa più importante da vincere per l’Italia è sul corretto utilizzo di quell’ingente somma di denari che l’Europa ha riconosciuto al nostro Paese non solo per uscire dalla crisi economica innescata dalla pandemia ma per sanare divari territoriali, ritardi infrastrutturali e complessivamente rilanciare la locomotiva economica italiana per i prossimi anni.

Il nodo fondamentale per centrare l’obiettivo e su cui si basa l’intera impalcatura resta la questione Meridionale e in questo ambito il recupero della deriva socio-economica che alcuni territori – su tutti la Calabria – ha da tempo intrapreso. E che la pandemia in corso rischia di accelerare.
Proprio per quegli indicatori così preoccupanti, la Commissione europea ha riconosciuto all’Italia una fetta consistente dell’intero pacchetto di misure ideate da Bruxelles per far uscire l’Europa dell’empasse in cui rischia di precipitare dopo gli effetti del Covid-19: 111 miliardi dei circa 209 del Recovery derivano dalla condizione in cui versa il Mezzogiorno. Nonostante questo però la ridistribuzione delle risorse pensata dall’esecutivo Conte non seguirebbe la stessa ripartizione adottata dalla Commissione europea cioè il criterio previsto per le sovvenzioni dal Dispositivo di ripresa e resilienza: non solo il dato numerico sulla popolazione, ma soprattutto quello sul Pil pro capite e sul tasso di disoccupazione presente nelle aree.
Nella bozza circolata nei giorni scorsi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) – strumento necessario per ottenere quelle risorse da Bruxelles – al Sud andrebbe il 34% dell’intero importo. Considerando cioè solo il dato della popolazione. Uno scippo – l’ennesimo – dunque alle aspettative del Sud e della Calabria che con quelle risorse aggiuntive avrebbe l’occasione unica di colmare ritardi infrastrutturali materiali, divari tecnologici e sociali che l’allontanano dal resto del Paese e dall’Europa. Ne è convinto assertore Antonio Corvino, classe 1950, economista e direttore dell’Osservatorio Banche-Imprese (Obi) che assieme ad altre decine di enti territoriali, personalità del mondo economico – racchiuse nella sigla Alleanza istituti meridionalisti (Aim) – ha promosso una sottoscrizione di un manifesto per una giusta ripartizione dei Fondi europei Nge/Recovery fund.
Direttore, dunque c’è il rischio concreto che il Governo dirotti maggiori risorse al Nord del Recovery, a discapito di regioni in difficoltà come la Calabria?
«Al momento sembra essere più di un rischio. L’ipotesi di un riparto delle risorse europee del Recovery Fund sulla base della distribuzione geografica della popolazione nelle diverse aree del Paese, sembra prevalere, in sede governativa, rispetto ad un riparto ponderato sulla base degli indicatori assunti dalla stessa Unione Europea. Nella prima ipotesi, al Mezzogiorno verrebbe assegnato il 34% dei fondi in ragione del peso della sua popolazione sul totale nazionale. Nella seconda ipotesi la percentuale salirebbe intorno al 70% dei fondi in ragione del differenziale del PIL procapite e della disoccupazione oltre che della popolazione. Non è una differenza da poco».
Perché quelle risorse dovrebbero essere maggiormente rivolte al Sud?
«L’Unione Europea parte dal presupposto che si esce dalla crisi provocata dalla pandemia Covid che attanaglia gli Stati membri se, una volta per tutte, questi riusciranno a risolvere i loro divari di sviluppo interno, avviando straordinari processi di perequazione e ammodernamento che coinvolgano le aree in ritardo. Questo vale soprattutto per l’Italia, afflitta da una storica divaricazione tra nord sviluppato e sud sottosviluppato. Non è infatti pensabile che si possa uscire dalla crisi con una parte soltanto del Paese. O si esce tutti allo stesso modo o non si esce affatto dalla crisi. D’altronde l’Unione Europea, da alcuni decenni, finanzia con propri fondi le politiche di convergenza tra Nord e Sud. Purtroppo queste non hanno dato sino ad oggi esiti definitivi, certo per l’insipienza delle classi dirigenti, ma anche per le politiche nazionali che hanno privato il Sud delle necessarie risorse aggiuntive. I fondi europei da straordinari sono diventati sostitutivi dell’impegno nazionale. Il Recovery Fund diventa pertanto lo strumento indispensabile per correggere le storture sin qui accumulate nel Mezzogiorno».
Avete lanciato un manifesto per evitare quello che qualcuno definisce un nuovo “strappo”, a chi è rivolto e quali sono le finalità?
«Vi è in Italia un pensiero trasversale che ritiene fondamentale sostenere l’economia del Nord. Da un Nord forte e super sviluppato, si dice, trarrà giovamento l’intero Paese e di conseguenza anche il Mezzogiorno. Si tratta della teoria della tracimazione o dello sgocciolamento. Versando l’acqua nel calice superiore della piramide, questa defluirà anche gradualmente nei calici inferiori. Fuor da metafora, riversando risorse nel sistema economico settentrionale, e favorendone la crescita, deriveranno benefici anche al Sud. Da qui l’idea di concentrare le risorse del Recovery Fund a Nord utilizzando il criterio della ripartizione geografica della popolazione. Si tratta di una teoria senza alcuna validità e sconfessata dalla stessa realtà. Un’economia duale deprime il Paese tutto intero. È quel che succede in Italia! Da qui il nostro impegno, peraltro in linea con quello dell’Unione Europea, di concentrare gli sforzi per correggere i ritardi a Sud. Il beneficio sarà, questa volta davvero, per l’intero paese: si tratta di trasformate il Mezzogiorno nella seconda locomotiva dell’Italia, accanto a quella del Nord. Allora sì, finalmente, l’Italia potrà riprendere a correre. E tutta insieme. Il nostro manifesto è pertanto rivolto a quanti hanno le redini del Paese nelle loro mani. Dal Governo alle Regioni. Dal Parlamento ai Consigli regionali. Ma ci rivolgiamo in primo luogo all’opinione pubblica del Mezzogiorno. È tempo che ci sia una reazione democratica contro una mentalità che vuole seminare rassegnazione e sussidi a Sud. Il Sud ha bisogno di progresso per il suo futuro. E di orgoglio civile. Per questo abbiamo invitato a sottoscrivere il manifesto redatto da Aim , l’Alleanza degli istituti meridionalisti (aim.coordinamento@gmail.com)».
Quali iniziative potrebbe assumere la Calabria come istituzione e come cittadini per evitare questa eventualità?
«Le regioni meridionali devono mobilitarsi per affermare il proprio diritto allo sviluppo. Il riparto aritmetico rinuncia ad una strategia nazionale di superamento della crisi attraverso l’azzeramento dei divari territoriali puntando al sostegno delle aree più forti. E questo in dispregio anche delle indicazioni europee oltre che del futuro delle popolazioni meridionali. Ci aspettiamo che i Consigli regionali del Mezzogiorno si riuniscano in seduta monotematica aperta alle rappresentanze della società per discutere a fondo della questione, affermando il diritto dei propri territori allo sviluppo, elaborando anche le linee fondamentali per perseguirlo. I territori, a partire dalla Calabria, dispongono di risorse produttive, sociali ed intellettuali in abbondanza per affiancare le Istituzioni. Non possiamo sprecare più il tempo a disposizione. Anche il Parlamento dovrebbe pretendere di riunirsi, magari su richiesta dei parlamentari del Sud, per affrontare questo tema cruciale».
Il governo punta ad una cabina di regia per gestire le risorse, ritiene che in quella struttura debbano avere voci i territori?
«L’Italia ed il Sud hanno bisogno di una strategia unitaria e condivisa per lasciarsi alle spalle non solo la crisi scatenata dalla pandemia covid ma anche gli effetti perversi di trent’anni di non crescita causata da una progressiva e inarrestabile caduta della produttività e della competitività della nazione le cui conseguenze sono state drammatiche per il Mezzogiorno. La questione della gestione non può che essere conseguente e consequenziale alla strategia che verrà definita. I territori dovranno poter svolgere un ruolo da protagonisti ma solo in un quadro siffatto».
Eppure anche sulle ultime programmazioni comunitarie, regioni come la Calabria hanno dimostrato di non saper spendere rapidamente e bene le risorse Ue?
«Proprio per correggere tale assurda, storica incapacità, il Mezzogiorno ha bisogno di una strategia condivisa. E di un coordinamento nazionale. È fondamentale che finalmente le regioni meridionali smettano di muoversi come monadi e si comportino come parti di un sistema unitario integrato. Quel che si decide in Calabria non è ininfluente sul resto del Mezzogiorno e viceversa. Bisognerà ripartire da qui per dare una svolta definitiva al futuro del Mezzogiorno. Non più tante regioni in ordine sparso ma un’unica area in grado di compattarsi e mobilitarsi intorno ad un’unica visione del futuro».

Si percepisce anche una minore capacità di incidere sulle strategie governative da parte dei territori meridionali per difendere gli interessi. Cosa andrebbe fatto?
«Finché gli interventi dei territori saranno improntati al piccolo cabotaggio, agli interessi clientelari o di consorteria, anche la loro capacità di incidere sulle decisioni governative sarà ininfluente. E gli interessi centrali di dirottare altrove gli investimenti troveranno nell’inconcludenza dei territori l’alibi più potente. È davvero tempo che il Mezzogiorno si muova come un unico grande aggregato progettando il suo futuro. Solo in questo modo potrà far sentire la sua voce e imporre la sua volontà che sarà funzionale anche allo sviluppo dell’intero Paese».
Su quali asset il Sud e la Calabria in particolare dovrebbe puntare utilizzando le risorse del Next generation Ue?
«Il Mezzogiorno deve poter uscire dal pantano che lo annichilisce ormai da molti decenni. L’ammodernamento complessivo del suo sistema potrà sicuramente costituire il titolo di un progetto di rinascita. Il riequilibrio infrastrutturale lungo i corridoi europei che consenta alla Calabria di inserirsi da protagonista nelle direttrici dei trasporti e della mobilità in Europa e nel Mediterraneo, in una visione integrata del Mezzogiorno, il rilancio della sua economia, lo sviluppo del suo tessuto sociale ed istituzionale potranno avvenire saltando a piè pari i passaggi intermedi e puntando a posizionarsi sul crinale tecnologico più avanzato. Digitalizzazione dell’economia e dell’intero sistema produttivo ed istituzionale, sicurezza dei territori, logistica, ricerca e università, sostenibilità ambientale, turismo ed agricoltura potranno rappresentare altrettanti campi di intervento finalizzati a favorire la crescita ed il radicamento delle nuove generazioni». (r.desanto@corrierecal.it)

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