di Fabio Benincasa
REGGIO CALABRIA Emanuele Belardi è uno dei ragazzi d’oro del Sant’Agata, straordinaria fucina di talenti della Reggina. La “cantera” amaranto per anni ha formato giovani calciatori, diventati simboli della prima squadra calabrese e poi uomini cardine anche negli altri club in cui hanno militato. Da Cirillo a Missiroli, da Barillà a Belardi tutti sono “figli” di quel vivaio apprezzato e stimato in tutta Italia. Il modello Reggina poi però si è scontrato con la crisi di risultati e soprattutto con quella economica che ha portato anno dopo anno a rivedere sogni e prospettive. Quella meravigliosa squadra oggi prova a risorgere dalla ceneri di anni difficili vissuti all’ombra di campionati minori. Sembrano lontanissimi gli anni della Serie A, di Pirlo e Baronio, della salvezza storica di Mazzarri, di quel popolo amaranto che rappresentava fiero la Calabria nel massimo campionato di calcio. Oggi, la Reggina e i suoi tifosi hanno ritrovato entusiasmo e risultati. La scorsa stagione, il club guidato dal presidente Gallo ha stravinto il campionato di Serie C e in estate i “colpi” di mercato avevano ulteriormente acceso una piazza rimasta spenta troppo a lungo. Però il campionato di B nasconde tante insidie ed i curriculum prestigiosi di alcuni calciatori spesso non bastano. Il 2020, al netto del recente esonero dell’allenatore Mimmo Toscano e della deludente prima parte di campionato, resta un anno da ricordare. 365 giorni che abbiamo analizzato insieme ad Emanuele Belardi che a Reggio ha vissuto più di una carriera. «Non mi aspettavo di vedere la Reggina così in difficoltà anche se la Serie B è un campionato di altissimo livello – confessa l’ex portiere al Corriere della Calabria. Per chi come me ha giocato tanti anni con questa maglia dispiace vedere la squadra così in basso in classifica, ma le sconfitte servono anche da lezione. È ovvio che non basta comprare campioni per ottenere immediati risultati».
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