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Infermiera contagiata nel reparto Medicina di Lamezia. «Vogliamo sapere perché»

La testimonianza è stata raccolta dall’associazione “Senza Nodi” che evidenzia una serie di criticità. «Turni massacranti, mancanza delle strisce rosse separatorie, non c’è areazione nei locali e m…

Pubblicato il: 26/12/2020 – 18:42
Infermiera contagiata nel reparto Medicina di Lamezia. «Vogliamo sapere perché»

LAMEZIA TERME «Qualcuno mi dirà la verità su come si è contagiata mia moglie? Adesso a casa siamo tutti in quarantena, mia moglie ha dolori come tanti altri dei suoi colleghi che hanno anche difficoltà respiratorie. Io con i miei figli provvedo a sanificare tutto di continuo. Sono molto preoccupato ma anche incredulo per la totale insicurezza nella quale sono stati lasciati a lavorare coloro che all’interno del reparto stanno assistendo i malati». Il presidente dell’associazione “Senza Nodi”, Nadia Donato, raccoglie l’appello del marito di un’infermiera contagiata in questi giorni nel reparto di Medicina Covid di Lamezia Terme. «Chi dovrebbe al nostro posto battersi per i diritti dei lavoratori e dei malati? Anziché fare campagna elettorale dovrebbero essere in prima linea a chiedere che i diritti dei lavoratori e dei malati vangano rispettati».
LA STORIA Ecco il racconto del signore che parla della difficoltà di salute ed umana che stanno vivendo in questi giorni. La sua richiesta di aiuto arriva all’associazione “Senza Nodi” nel pomeriggio del 26 dicembre. «Una voce commossa, che a stento trattiene le lacrime, – si legge nel comunicato dell’associazione – racconta l’odissea che in questi giorni stanno vivendo gli infermieri del reparto Medicina. Sono stati lasciati da soli a fare turni che non competono ad un reparto come quello, sono arrivati anche a 17 ore di lavoro che non spettano a nessun lavoratore. Camici, mascherine, guanti etc, vengono forniti con il contagocce, il percorso sporco e pulito nessuno lo ha mai ben individuato, e poi il confronto continuo con la sofferenza dei malati».
«Eppure – continua il comunicato – loro con coraggio continuano a lavorare nonostante queste condizioni. Consapevole che il mestiere scelto dalla moglie comporti dei rischi, l’uomo ha evidenziato che se il pericolo va messo in conto, la sicurezza per il personale ed i malati, in un ospedale deve essere al primo posto».
«Ma in questo reparto non è cosi – ha risposto il marito dell’infermiera contagiata – la sicurezza è zero più zero, niente. Continuo a chiedermi perché in un reparto nel quale dove essere effettuato solo lo screening, oggi ci sono malati gravi con il casco. È una situazione di grande preoccupazione per la quale non mi capacito. Vorrei sapere come mai mia moglie si è infettata. Non è possibile che gli infermieri debbano fare turni massacranti quando, in altri ospedali dove la sicurezza viene garantita, stanno con il malato poche ore e poi hanno il cambio».
La risposta sarebbe stata che alcuni componenti del reparto si sarebbero infettati nello spogliatoio. «Non sappiamo se è vero, – spiega l’uomo al telefono con l’associazione – se invece c’è altro. Il percorso non è garantito nemmeno da una linea rossa, e i poveri lavoratori senza una reale formazione per assistere malati con questa patologia, continuano ad essere mandati in prima linea. Non c’è sanificazione e loro si ammalano, mentre qualcuno continuano a reclutare personale da altri reparti e comunque, anche se nuovo il personale è inesperto. Ma cosa sanno fare senza preparazione? Come trattare questi pazienti che hanno bisogno continuo? Sanno usare i macchinari? Sanno usare i caschi che consento al malato di respirare? Perché un infermiere deve fare anche fino a 17 ore di lavoro sino a che non riesce a ricevere il cambio?».
LE ALTRE TESTIMONIANZE L’associazione scrive anche di altre testimonianze a conferma di quella dell’uomo. «Le foto che vi propongo – scrive la presidente Nadia Donato – sono del reparto in questione e mostrano la mancanza delle strisce rosse, non c’è areazione nei locali e manca la pressione negativa e altro ancora. Ma allora dove sono gli accreditamenti funzionale, strutturale, organizzativo del personale necessari ad un’apertura di un reparto Covid? La Regione ha stanziato dei soldi per il personale dedicato al Covid, a Lamezia sono arrivati? O forse Lamezia non li ha avuti perché non è autorizzata ad avere un reparto Covid così? Soveria Mannelli accreditata con 20 posti letto postacuzia, perché non ha aperto? Anche a quell’ospedale mancavano i requisiti? Come associazione possiamo solo porci delle domande e renderle pubbliche per tentare di stare vicine a quanti si rivolgono a noi nel momento così di sofferenza e preoccupazione».

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