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«Il Recovery Plan per ridurre il Water service divide tra Nord e Sud»

di Adriano Mollo*

Pubblicato il: 28/12/2020 – 8:48
«Il Recovery Plan per ridurre il Water service divide tra Nord e Sud»

Il Centro Nord, nella gestione della risorsa acqua, è simile al resto d’ Europa, basandosi sulla presenza di multiutility quotate in borsa di adeguate dimensioni e capacità. Il Sud, invece, resta bloccato, salve poche eccezioni, ai suoi atavici problemi. Questo il quadro emerso dal Rapporto «Acqua per tutti. Investimenti nel comparto idrico e ruolo dei soggetti industriali», a cura di Mario Rosario Mazzola, docente di costruzioni idrauliche dell’Università di Palermo e consulente del Governo per la selezione dei progetti del Recovery Plan italiano. Lo studio è stato svolto per Astrid, Fondazione per le ricerche sulla riforma delle istituzioni democratiche e sulla innovazione nelle amministrazioni e anticipato nei giorni scorsi dal Sole 24 Ore. Il quadro di criticità che emerge nelle regioni del Sud è di perdite idriche superiori al 50%; Reti che perdono in media più del 50% dell’acqua trasportata, carenza di depuratori e di sistemi fognari, difficoltà nello smaltimento dei fanghi. Tutto questi si traduce nelle infrazioni comunitaria che per l’85% riguarda il territorio meridionale.
Il sistema di approvvigionamento idrico (civile, irriguo e industriale) si basa su infrastrutture costruire prevalentemente dalla Cassa per il Mezzogiorno nel dopoguerra. Dighe e condotte finanziati dalla fiscalità generale, con aiuti dalla Banca Mondiale e negli ultimi decenni con risorse comunitarie.
In queste settimane la discussione è su come spendere i fondi che l’Europa mette a disposizione per il Recovery Plan e come inserire negli investimenti l’ammodernamento dei grandi e piccoli sistemi idraulici. Nel Sud e in Calabria c’è un’oggettiva difficoltà economica, finanziaria e gestionale. La maggior parte degli enti che gestiscono i grandi sistemi idrici sono le Regioni, attraverso enti regionali non economici o consorzi di bonifica spesso con risorse limitate. L’ 80% dei gestori di rete sotto i 10 milioni di fatturato in Italia, esclusi i primi 10-20 operatori, la taglia media è ridotta: il 50% delle aziende ha un fatturato inferiore ai 10 milioni. Percentuale che sale all’ 80% al Sud. Aziende di tali dimensioni non possono affrontare – secondo la ricerca di Astrid – investimenti superiori a pochi milioni all’ anno. Poche le multiutility italiane presenti nel Mezzogiorno, quasi inesistenti i gruppi stranieri ad accezione di Campania, Calabria e Sicilia per la grande adduzione. Le maggiori carenze non sono quindi ascrivibili alla mancanza di fondi, quanto alla ridotta capacità organizzativa e gestionale. Ne è una prova il fatto che la maggiore capacità di spesa si sia registrata dove esistono gestori industriali di ambito regionale come AQP in Puglia, Abbanoa in Sardegna, Gori in Campania. Di contro, dove le risorse sono state affidate ai Comuni – che spesso gestiscono in proprio – in Sicilia e Calabria, tale scelta si è rivelata fallimentare. Dieci euro in meno per abitante, in Italia, l’ investimento medio annuo per abitante è pari a 37 euro; nel Mezzogiorno si attesta su 27. Alcune gestioni meridionali in economia registrano investimenti pro capite di 4 euro per abitante. Pur a fronte di un apporto più elevato di contributi pubblici (13 euro per abitante a fronte dei 7 di media nazionale) Facendo due conti il prof Mazzola ritiene necessari e urgenti investimenti di almeno 1,15 miliardi l’ anno solo per il mantenimento e l’ ammodernamento del sistema idrico integrato nel Mezzogiorno, contro una capacità dei gestori presenti non superiore al 25%. Ma sono necessari anche investimenti su strutture tra diverse regioni. Per sostenere questi impegni, secondo lo studio, servirebbe un operatore con un fatturato annuo di 3 miliardi. La soluzione coerente con gli strumenti pianificatori vigenti è la riorganizzazione dell’ approvvigionamento idrico all’ ingrosso nel Mezzogiorno in società uniche per ciascun distretto idrografico, al massimo tre: Distretto Appennino Meridionale, Sicilia e Sardegna. Intanto sarà necessario un ruolo più incisivo dello Stato. «Quanto alla distribuzione – sottolinea Mazzola -se si vuole risolvere in tempi ragionevoli il water service divide, occorre coinvolgere soggetti industriali di adeguate capacità finanziarie e tecnologiche».
Le tesi del prof Mazzola, fanno il paio ad altri studi recenti come il gruppo di studio di Ref Ricerche, professioni che da anni analizzano il settore dei servizi pubblici a carattere economico.
Governance fragile, inefficace e inesperta, frammentazione e, salvo alcune note eccezioni, carenza di operatori che lavorino secondo logiche industriali e con un approccio manageriale, ancora forti interdipendenze tra territori: sono queste – in sintesi secondo Ref Ricerche (https://www.refricerche.it/) – le cause dei ritardi del servizio idrico nel Mezzogiorno. Un complesso di elementi che si ripercuotono sullo stato delle infrastrutture idriche, sui livelli delle prestazioni assicurate e in ultima analisi sui cittadini che lì risiedono. Al di là della naturale e complessa composizione del territorio meridionale e insulare, che certamente non semplifica la situazione.
Al contrario di quanto avviene nel resto dell’Italia, chi abita nelle regioni del sud mostra una forte insoddisfazione per il livello qualitativo del servizio idrico. E ciò riguarda sia le caratteristiche organolettiche dell’acqua (odore, sapore o limpidezza) sia il modo in cui è distribuita, a partire dalla bassa pressione con la quale esce dai rubinetti fino alle interruzioni nel servizio, in certe zone così frequenti da aver abituato i cittadini a dotare le abitazioni di cisterne per accumularla.
I dati relativi alla percezione degli utenti sono chiari. Il 65,4% delle famiglie che nel 2018 hanno lamentato irregolarità nel servizio di erogazione dell’acqua nelle loro abitazioni risiede nelle regioni del Mezzogiorno; tra le più disagiate risultano Calabria e Sicilia, rispettivamente con il 39,6% e il 29,3% delle famiglie che lamentano tale inefficienza. Un problema che si presenta durante tutto l’anno nel 39,2% dei casi, nel periodo estivo nel 33,8% dei casi, mentre rimane sporadico nel restante 22% dei casi. Se a livello italiano le famiglie che dicono di non fidarsi a bere l’acqua del rubinetto sono il 29%, in alcune regioni del Mezzogiorno le percentuali sono troppo elevate: Calabria 45,2%, Sardegna 48,5% e Sicilia 53,3% (Dati Istat 2018).
L’insoddisfazione lamentata dagli utenti è confermata dall’analisi di elementi fattuali. Nel 2017, tra gli 11 capoluoghi di provincia e le città metropolitane che hanno sperimentato misure di razionamento nella distribuzione dell’acqua per uso civile ben 10 erano situate nel Mezzogiorno (con la sola eccezione della città di Latina). Ciò ha significato un totale di 2.301 giorni interessati da riduzioni o sospensioni del servizio (con la diffusa pratica del razionamento notturno).
Per non parlare del noto fenomeno delle perdite idriche nella rete, che ciclicamente sale agli onori delle cronache come elemento simbolo di cattiva gestione. In questo caso, secondo gli ultimi dati disponibili (ARERA 2017), la dispersione di acqua arriva al 51,3% nella macro-area geografica del Sud e Isole, rispetto ad una media italiana del 42,4%.
Nella Bozza del 7 dicembre del Governo del Recovery Plan sono stanziati 9,4 miliardi di euro per la Tutela e valorizzazione di territorio e della risorsa idrica.
«L’obiettivo – è scritto nelle bozza – di potenziare gli interventi di mitigazione del dissesto idrogeologico e di incremento della resilienza agli eventi climatici estremi; di promuovere l’utilizzo sostenibile (civile ed irriguo) della risorsa idrica e la qualità di acque interne e marine; nonché di migliorare l’adattamento al cambiamento climatico del territorio contribuendo al processo di decarbonizzazione tramite interventi di forestazione e di efficientamento energetico». Gli investimenti nelle infrastrutture idriche, negli ultimi anni, sono risultati insufficienti, causando elevati livelli di perdite e persistenti rischi di scarsità della risorsa idrica; al contempo, sono aperte quattro procedure d’infrazione ai danni dell’Italia per l’irregolare collettamento e trattamento dei reflui in 987 agglomerati urbani in tutto il territorio nazionale Per colmare i gap presenti nella gestione del ciclo delle acque sono previsti interventi volti alla digitalizzazione e messa in sicurezza della rete idrica primaria e secondaria, alla riduzione degli sprechi di acqua nelle reti di adduzione, di distribuzione e di irrigazione, con il fine di garantire la disponibilità idrica per tutti gli usi, all’adeguamento dei sistemi di depurazione alle direttive europee, al riuso delle acque depurate ed alla gestione dei rifiuti nelle acque portuali, ed alla salvaguardia del territorio dalle alluvioni tramite interventi di forestazione, di gestione sostenibile nell’agricoltura e di adattamento al cambiamento climatico nei comuni.
A supporto dei progetti di investimento, viene proposta un’azione di riforma complessiva che consiste in un processo di rafforzamento della governance del servizio idrico integrato, con l’obiettivo di affidare il servizio a gestori integrati nelle aree del paese in cui questo non è ancora avvenuto, ed il potenziamento delle strutture tecniche a supporto dei Commissari nella progettazione, nell’appalto e nella supervisione di interventi di tutela contro il rischio idrogeologico.
Infine, la riforma è volta a potenziare la capacità progettuale dei Consorzi di bonifica anche mediante centrali di progettazione regionali, promuovendo la revisione e il rafforzamento del modello di governo dei Consorzi e mantenendo al centro della propria azione la tutela del territorio, il risparmio della risorsa idrica a fini irrigui ed il miglioramento della sostenibilità dei processi produttivi agricoli.
La riforma prevede un intervento normativo in tempi rapidi, successivamente sarà assicurato il completamento di un’eventuale decretazione attuativa o altri atti di indirizzo e coordinamento, con l’obiettivo di completare il potenziamento della capacità operativa entro il 31 dicembre 2021.
La Calabria non può perdere questo treno, forse l’ultimo, per mettere ordine nel settore (irriguo e civile) che da decenni attende l’attuazione di riforme rimaste in qualche cassetto impolverato.
*calabriaextra.it

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