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CALABRIA CHE VERRÀ | D’Orio: «Senza una strategia non si esce dal tunnel»

Il divario con il resto del Paese rischia di allargarsi per effetto del blocco delle attività imposte dal protrarsi dell’emergenza sanitaria. La crisi potrebbe proseguire anche nel 2021 colpendo i …

Pubblicato il: 03/01/2021 – 7:36
CALABRIA CHE VERRÀ | D’Orio: «Senza una strategia non si esce dal tunnel»

COSENZA L’anno horribilis della pandemia segnerà il futuro prossimo dell’economia calabrese. I ritardi strutturali storici presenti in Calabria condizioneranno anche le possibilità di una rapida ripresa dell’economia reale. Ciò anche per le peculiarità proprie delle aziende calabresi costituite da una miriade di piccole e piccolissime realtà. Ed a soffrire maggiormente anche nel 2021 saranno quei comparti che hanno già registrato forti criticità a seguito della diffusione del Coronavirus e delle conseguenti chiusure delle attività: servizi, ristorazione, turismo e commercio al dettaglio. E, a causa della crisi di liquidità generata dal lockdown, il settore dell’edilizia risentirà di una contrazione degli investimenti privati nel comparto. Secondo Giovanni D’Orio (foto a destra) docente di politica economica all’Università della Calabria nonché esperto nella programmazione di risorse comunitarie e ricercatore di importanti osservatori economici nazionali, per queste ragioni il 2021 «non sarà un anno facile per la Calabria». E per agganciare la ripresa molto dipenderà dalle scelte che verranno adottate nella gestione dei fondi europei e non solo. La disamina parte dallo stato di salute attuale dell’economia calabrese che, per il docente Unical, per effetto delle chiusure imposte dalle regole anti contagio è ulteriormente peggiorato incrementando il divario con il resto del Paese.
Professore, perché nonostante il numero di contagi non sia stato così elevato, la Calabria ha registrato effetti economici pesanti sul sistema produttivo?
«Il numero dei contagi (in generale) non è un elemento che di per sé ha causato shock economici. L’incidenza di essi rapportata alla forza lavoro non è rilevante in nessuna parte del mondo. Le misure di contenimento dei contagi sì. E queste sono state generalizzate su tutto il territorio nazionale. Citando il rapporto sulle economie regionali di Banca di Italia, il blocco obbligatorio delle attività in Calabria ha riguardato l’equivalente del 18 per cento del valore aggiunto regionale, contro il 28 per cento in Italia e, rispettivamente, il 24 e il 33 per cento in termini di occupazione. Il problema è stato che, anche con numeri “economici” meno negativi di quelli osservati a livello nazionale, l’incidenza delle misure di contenimento su un contesto che era già condizionato da gravi criticità e in forte stagnazione ha amplificato moltissimo le già gravi criticità socio-economiche. In particolare, l’ulteriore peggioramento delle prospettive occupazionali ha colpito un contesto già fragilissimo e questa mancanza di occasioni lavorative ha aumentato i livelli di diseguaglianza e povertà che già erano superiori a quelli osservati in Italia».
Quanto ha inciso la fragilità del sistema sanitario calabrese sulla crisi economica legata al Covid?
«La risposta è semplice: zero. Regioni che hanno sistemi sanitari migliori e più efficienti del nostro hanno avuto gli stessi (o peggiori) impatti economici da COVID. Ciò non toglie però che un sistema sanitario disastrato come il nostro ha perennemente impatti economici negativi sull’economia regionale indipendentemente dalla pandemia in corso. Attribuire alle inefficienze del sistema sanitario regionale responsabilità sulla crisi economica da Covid sarebbe un po’ come “dimenticare” una argomentazione che deve essere utilizzata per co-motivare il perenne ritardo di sviluppo da noi osservato. Ciò sia per l’eccessivo assorbimento di risorse regionali pubbliche che il sistema sanitario, con le sue mille falle richiede ogni giorno, e sia per il drenaggio continuo di soldi delle famiglie che devono ricorrere a spese proporzionalmente maggiori che in altre parte di Italia per curarsi».
Dunque il 2020 sarà un anno da dimenticare. Secondo lei gli effetti si faranno sentire anche sul 2021 in Calabria?
«Non potrebbe essere diversamente. Siamo ben lontani dal ritornare alla normalità alla quale eravamo abituati e non siamo abbastanza innovativi per immaginare “protagonismo” in una nuova realtà. Il sistema economico calabrese è fortemente dipendente da quello delle altre regioni e, in maniera più forte che in altre parti, dalla spesa pubblica sia centrale che decentrata. In particolare, gli enti territoriali dovranno fronteggiare sempre più gravi crisi di liquidità connesse con lo slittamento degli incassi e con le perdite di gettito risultanti dalla riduzione del PIL. Le spese che essi fronteggiano invece non possono essere differite. Conseguenza di ciò potrebbe essere un’ulteriore riduzione delle risorse destinate ad investimenti in opere pubbliche. Spese che erano ancora già molto basse prima della diffusione della pandemia. I risparmi delle famiglie si sono ridotti, e ciò pregiudica acquisti di medio/lungo termine (abitazioni, investimenti) con conseguenze forti su diversi settori economici ma in particolare modo su quello edilizio, che rappresenta una parte importante del valore aggiunto regionale. Non sarà un anno semplice».

Oltre al comparto dell’edilizia, quali potrebbero essere gli altri settori esposti alla crisi anche nel corso del 2021?
«Non vi è dubbio che il settore attualmente più colpito è quello dei servizi privati, in particolare i trasporti, il commercio al dettaglio (alimentare escluso) ed il settore alberghiero e della ristorazione. Per cui credo che anche per l’anno che verrà saranno questi che continueranno a soffrire maggiormente. In particolare per il Turismo, comparto importantissimo per l’economia regionale, la ripartenza sarà molto graduale, considerando i vincoli imposti dalle misure di contenimento della pandemia e il tempo necessario per recuperare la fiducia dei consumatori. Le attività di investimento, motore fondamentale per la ripartenza e la crescita, in questa fase risentiranno, in molti settori, del forte rallentamento congiunturale, della crisi di liquidità, di un mercato del credito più asfittico che altrove e dell’elevata incertezza che circonda ancora l’evoluzione della pandemia».
I ritardi infrastrutturali, non solo materiali, della regione sono noti da tempo, ma ci sono limiti dei decisori che non consentono alla Calabria di uscire dalla sua condizione di cenerentola d’Italia?
«La risposta alla sua domanda è contenuta in un termine, “decisori”, che in questo caso particolare risulta essere poco appropriato. A mio parere, il limite principale della classe pseudo-dirigente è proprio l’incapacità di decidere e di fare scelte chiare. Ciò è dovuto probabilmente all’atavica necessità percepita da chi “dirige” di dare risposte che tutelino gli status quo. Siamo la Regione del “tutto” ma anche del “niente”. “Tutto” da noi c’è ma “niente” di ciò che c’è diventa volano forte per recuperare il ritardo che abbiamo. E mi lasci chiudere questa domanda con una provocazione: ciò che spesso intendiamo con “tutto” (risorse naturali, culturali, capitale umano etc.) in realtà manca di un elemento fondamentale: una classe politica (dirigente e non ossequiante) che sappia fare scelte che guardino al lungo periodo e non agli status quo».

Crede che ci si siano anche limiti nella formazione del management del sistema produttivo calabrese?
«Gli imprenditori veri, in Calabria, sono probabilmente più bravi degli altri. E ciò per le peggiori condizioni di contesto che si trovano ad affrontare (criminalità organizzata, pubblica amministrazione latitante, politica ignava). Detto ciò, diverse imprese sono nate più sotto la spinta di capitali pubblici invece che grazie ad idee innovative e dirompenti. Questa parte della (im)prenditoria regionale non ha il passo necessario per stare nei mercati globali e per rappresentare una occasione di sviluppo. In questo caso, una adeguata formazione avrebbe probabilmente aiutato ad evolvere una parte delle idee che hanno generato imprese deboli in occasioni di crescita. Spesso invece si è preferito rincorrere altri finanziamenti che assicurassero il “galleggiamento” quotidiano piuttosto che investire in formazione e innovazione che portasse a sviluppo nel futuro».
C’è attesa per le somme aggiuntive, soprattutto quelle connesse al Recovery fund. Ma ci sono anche i fondi strutturali, quelli di altre programmazioni nazionali ed europee. Dunque non c’è una questione di risorse per rilanciare l’economia calabrese?
«Non ho mai pensato che il ritardo di sviluppo della Calabria dipendesse dalla mancanza di fondi quanto dalla mancanza di “politiche” e “governance”. L’occasione Mes e Recovery Fund può essere incisiva solo se ciò genererà scelte politiche precise e meccanismi di governance efficaci. Inoltre, bisogna assolutamente superare il paradigma recente secondo cui i Fondi Europei di fatto deresponsabilizzano Stato e Regione da politiche settoriali ordinarie e addizionali. Ora come non mai diventa sempre più forte la necessità di concepire le politiche come frutto di un’azione congiunta e “concertata” di vari soggetti e vari livelli istituzionali, in un luogo europeo unico e ad esse dedicato, attuabile tramite una imprescindibile e reale collaborazione interistituzionale (fra Enti Locali, Regione, Stato, Unione Europea), attraverso nuovi modelli di governance che permettano il perseguimento delle logiche di integrazione alla base della coesione territoriale e dello sviluppo che essa comporta».

Spesso si sono programmate misure che hanno generato interventi a pioggia sul sistema produttivo. Su cosa ci si dovrebbe concentrare questa volta, per far imprimere una svolta vera alla Calabria?
«L’errore più grave da non commettere è utilizzare tutte le risorse senza fare delle scelte strategiche mirate. È il tempo di decidere, impostando chiaramente delle priorità. Mercato del lavoro, Efficacia della Pubblica Amministrazione, Ricerca e innovazione, Reti e Potenziamento di infrastrutture strategiche, sono, in ordine di importanza, i settori cruciali. Il recupero del gap di sviluppo può avvenire solamente con azioni integrate su queste priorità. Più i territori sono deboli, più l’importanza strategica di ciò è determinante per recuperare divario di sviluppo e creare opportunità moderne per il futuro. Personalmente sarei molto felice se potessi osservare una forte concentrazione sulle due infrastrutture più importanti che abbiamo in Calabria: il porto di Gioia Tauro e l’Università della Calabria. Relativamente al porto di Gioia, bisognerebbe investire in tutto ciò che serve per trasformarlo da una area di puro transhipment ad una area in cui la logistica integrata sia la sua caratteristica peculiare dominante. Relativamente all’Unical, enorme serbatoio dinamico di nuovi saperi e nuove opportunità, investimenti concreti che rilancino in maniera dirompente ciò che in passato era centrale nella sua visione: residenzialità, diritto allo studio e internazionalizzazione». (r.desanto@corrierecal.it)

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