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Le rivelazioni choc del pentito: ecco come e perché fu eliminata Maria Chindamo

Al vaglio della Dda di Catanzaro le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Antonio Cossidente: in carcere avrebbe appreso da Emanuele Mancuso il motivo dell’uccisione della donna. «Mi disse c…

Pubblicato il: 06/01/2021 – 8:53
Le rivelazioni choc del pentito: ecco come e perché fu eliminata Maria Chindamo

VIBO VALENTIA «Mi disse che la donna venne fatta macinare con un trattore o data in pasto ai maiali». Le nuove rivelazioni sulla morte di Maria Chindamo, l’imprenditrice 44enne di Laureana di Borrello sparita nel nulla il 6 maggio 2016 nei pressi della sua tenuta agricola a Limbadi arrivano dai verbali del collaboratore di giustizia Antonio Cossidente. Il pentito lucano, in carcere, avrebbe appreso da Emanuele Mancuso, esponente dell’omonima cosca e a sua volta collaboratore di giustizia, che Maria Chindamo sarebbe stata fatta a pezzi con un trattore e data in pasto ai maiali: il motivo dell’uccisione, il rifiuto della donna a cedere i propri terreni di Limbadi al confinante Salvatore Ascone, ritenuto vicino al clan Mancuso.
Il pentito ha poi riferito di un depistaggio sulla data scelta per l’agguato, in modo da far ricadere le colpe sul marito della Chindamo. Le dichiarazioni di Cossidente sono adesso al vaglio della Dda di Catanzaro. «Mi disse che avevano manomesso le telecamere, e che questa donna sarebbe stata scomparsa secondo lui o sarebbe stata macinata con un trattore o data in pasto ai maiali» racconta Cossidente in un verbale del 7 febbraio 2020. Il rapporto che i Cossidente e Mancuso stringono in carcere è stretto. «Per me Emanuele Mancuso – dice ai pm il pentito lucano – era diventato come un figlio perché anche mio figlio è dell’89 ed ha quasi la sua stessa età: Emanuele era come mio figlio che non potevo vedere per via della mia decisione di collaborare con la giustizia».
«Emanuele Mancuso – spiega Cossidente – mi disse che era scomparsa una donna a Limbadi: un’imprenditrice di Laureana di Borrello, la Chindamo. Mi disse che lui era amico di un grosso trafficante di cocaina, detto “Pinnolaro”, legato alla famiglia Mancuso da vincoli storici e mi disse che per la scomparsa della donna, avvenuta qualche anno fa, c’era di mezzo questo ‘Pinnolaro’ che voleva acquistare i terreni della donna in quanto erano confinanti con le terre di sua proprietà. “Pinnolaro” aveva pure degli animali, credo che facesse il pastore e questa donna si era rifiutata di cedere le proprietà a questa persona». “Pinnolaro”, al secolo Salvatore Ascone, è un 53nne di Limbadi arrestato nel luglio 2019 e poi scarcerato dal Riesame. Era indagato per concorso nell’omicidio di Maria Chindamo. L’accusa era quella di aver manomesso il sistema di videosorveglianza della sua villetta in modo da impedire di registrare la scena in cui l’imprenditrice veniva aggredita e fatta scomparire la mattina del 6 maggio 2016. L’obiettivo sarebbe stato quello di vendicarsi dell’imprenditrice e far ricadere la colpa sui parenti del suo ex marito, anche grazie alla data simbolica scelta per mettere in atto il piano criminale: un anno esatto prima della scomparsa di Maria Chindamo, infatti, il suo ex si era suicidato. Ora i verbali resi da Cossidente saranno sottoposti alle verifiche dei magistrati antimafia di Catanzaro: saranno le indagini a stabilire le responsabilità. Il loro contenuto, però, rende questa storia sinistramente simile a quella dell’autobomba che ha ucciso Matteo Vinci a Limbadi. Dove, per un fazzoletto di terra, si uccide senza pietà.

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