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«Per la Calabria "ci vorrebbe (finalmente) un amico"»

di Fondazione TrasPArenza

Pubblicato il: 07/01/2021 – 7:20
«Per la Calabria "ci vorrebbe (finalmente) un amico"»

Nel settembre del 2019 la Fondazione TrasPArenza scrisse questa lettera.
«La Calabria non è l’Umbria, né tampoco l’Emilia-Romagna o la Toscana. La nostra Regione ha bisogno di cure e attenzioni politiche particolari. Non può essere trattata come una Regione normale, da consegnare come mera preda di un progetto comunemente spartitorio, così come pare stia avvenendo».
Sono di questi giorni le prime uscite tattiche per testare il fuoco amico e le reazioni sociali su ipotesi tutte parimenti plausibili, ma – prevedibilmente – inadeguate dinanzi all’enormità della questione calabrese.
Scegliere l’uno piuttosto che un altro da designare alla carica di Governatore serve a poco senza l’impegno della politica nazionale a fare proprio il problema e a riconoscere la sua specialità, tale da giustificare l’azione occorrente per far divenire la Calabria una regione normale, ove tutto funziona come ovunque.
Necessita una differente effettività politica da consentire ai calabresi una vera accessibilità ai diritti fondamentali. Alle nostre latitudini le solite promesse non bastano, dal momento che sono state puntualmente mancate. È su di un cronoprogramma definito in tempi, obiettivi e strumenti che va lanciata la sfida; chi si disperde in buoni propositi – sinora mai realizzati – persevera nel vizio capitale dell’accidia.
Questo deliberò la Fondazione TrasPArenza in vista della campagna elettorale di un anno fa, allo scopo di sensibilizzare il decisore politico, quello che ha avuto l’onere di governare il Paese e che ha il dovere di proporsi come attore della rinascita calabrese, oggi più di ieri suo vero banco di prova.
La Calabria è afflitta da mali incurabili. Ha la peggiore tenuta dei conti pubblici, dovuta all’assenza di cultura dei relativi bilanci, tanto da possedere il record dei comuni in default e delle aziende sanitarie in fallimento. Ha una sanità che offende i corpi e le anime piuttosto che fornire loro le risposte che la Costituzione esige. Sottovaluta la legalità ad ogni livello, mancando di rispetto al codice degli appalti con innumerevoli forniture spacchettate sottosoglia ovvero con proroghe senza limiti di tempo. Subisce un ente regionale che si limita a gestire, amministrando di male in peggio, piuttosto che programmare, legiferare e ben operare nei previsti controlli.
A fronte di tutto questo si sciorinano responsabilità, cambiamenti, e impegni per l’espulsione della ‘ndrangheta e della corruzione dai siti istituzionali più che inquinati, per la bonifica dei conti, a cominciare da quelli della Regione. La stessa presenta, infatti, un bilancio pieno zeppo di marachelle, tra le quali centinaia di milioni di crediti inesigibili verso Comuni (per smaltimento dei rifiuti e conferimento in discarica) lasciati lì a vegetare come se non fossero deteriorati. Di conseguenza, ha avuto un rendiconto 2018 che è stato il risultato di un pericoloso trascinamento pluriennale delle menzogne.
Ebbene, senza qui discutere dei ritardi nelle politiche ambientali e nello sfruttamento delle risorse comunitarie, si ritorna a ragionare di Calabria come una Regione a «trazione» normale. Così facendo si perpetua l’errore di sempre, aggravato dalla possibile introduzione del regionalismo differenziato. Si suppone di individuare un Governatore sulla base delle consuete regole della politica.
In Calabria necessita ben altro. Occorre una wide governance, che esprima il massimo della capacità istituzionale senza la quale non si potrà uscire dal guado e ridare ai calabresi i loro diritti, compromessi dal malgoverno delle risorse e dalla opacità delle decisioni.
Tutto questo ha comportato e comporta un deficit di democrazia la cui effettività è subordinata alla normalizzazione dei conti pubblici.
Ben venga, quindi, quella ineludibile e salutare discriminazione nei metodi e negli strumenti che consentirebbe alla Calabria di godere di quelle maggiori cure che la politica deve ad essa.
Perciò, i gravi, precisi e concordanti indizi, soltanto un anno fa denunciati, nel 2020 si sono rivelati prove irrefutabili. Tutto è esploso per come esso era già, senza poterlo più celare. La pandemia ha messo a nudo e tolto la coltre di opacità.
La condizione attuale, aggravata da un arretramento ulteriore delle istituzioni e da una sfiducia sociale profonda, richiede una risposta politica inusuale. Occorre un ritorno alle fondamenta della Costituzione, a quel patto che unì quelle forze politiche e culturali, e che determinò la ripartenza del Paese. In virtù di quell’intenso dialogo si consenti ad un Paese devastato una rapida e solida ripresa.
Il disastro della Calabria di oggi è tale da non sostenere una divaricazione politica. Cosa può dividere dinanzi ai bisogni primari e alla normalizzazione del sistema? È il momento di mettere da canto interessi di parte, o particolari, e unire le migliori energie culturali e democratiche per colmare il gravissimo iato che separa questa latitudine dal resto del Paese. Occorre far prevalere il bene comune dei calabresi con uno slancio di generosità politica. Questa avrà orecchie per ascoltare?

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