REGGIO CALABRIA Quella che ha portato all’identificazione di Francesco Barillà quale presunto esecutore del duplice omicidio avvenuto lo scorso 9 dicembre nei confronti di Giuseppe Cotroneo di 58 anni e Francesca Musolino di 51, è stata «un’indagine dai tempi serrati, capillare e che ha visto un lavoro corale di tutte le forze dell’Arma dei carabinieri nella provincia di Reggio Calabria». Così la definisce il procuratore capo Giuseppe Bombardieri nel corso della conferenza stampa indetta all’esito della custodia cautelare in carcere applicata nei confronti del 75enne di Calanna, piccolo centro della provincia di Reggio oltre che luogo del delitto.
L’indagine è stata coordinata dalla procura reggina attraverso il procuratore aggiunto Gerardo Dominijanni e il sostituto procuratore Flavia Modica, ed ha visto il lavoro del comando provinciale dei carabinieri di Reggio guidato dal colonnello Marco Guerrini, della squadra operativa del tenente colonnello Massimiliano Galasso e della compagnia di Villa San Giovanni guidata dal capitano Tommaso Settimio.
IL FATTO Il delitto è avvenuto circa un mese fa, quando i due coniugi sono stati raggiunti da diversi colpi di fucile mentre raccoglievano le olive nei pressi di un terreno di loro proprietà. Fin dal primo momento, l’atteggiamento del proprietario del terreno confinante e parente delle vittime, appunto il Barillà, e le ricostruzioni fornite agli inquirenti, avevano destato sospetti.
«Il movente – spiega il procuratore aggiunto Dominijanni – sarebbe da collegarsi a motivi all’apparenza futili, quali rapporti di cattivo vicinato, contese su terreni e rancori pregressi che hanno poi trovato sfogo nell’ultimo accaduto, legato allo sforamento nel terreno del presunto omicida da parte delle vittime durante la raccolta delle olive». Litigi che c’erano stati anche in passato, ma non particolarmente cruenti e comunque non di entità tale da rendere l’evento prevedibile.
LE INDAGINI Intento omicidiario dell’esecutore, si sarebbe realizzato poco dopo l’allontanamento del figlio dei due coniugi assassinati. E proprio la ricostruzione da questi fornita agli inquirenti ha alimentato i sospetti nei confronti di Barillà. «Poco dopo il delitto – racconta il procuratore Bombardieri – il figlio delle vittime avrebbe incontrato Barillà chiedendogli aiuto. La sua risposta sarebbe stata “vado a conservare il fucile e torno”. Atteggiamento apparso fin da subito molto sospetto».
Fucile poi individuato come arma del delitto. Non soltanto la ricostruzione in fatto, ma anche l’attività scientifica – svolta con l’ausilio del Ris e del Racis di Messina – hanno portato a questa conclusione. «Sul luogo sono stati rinvenuti i bossoli ed a casa del presunto colpevole, dei proiettili uguali a quelli con cui è stato commesso il fatto. Ulteriori elementi balistici e un’approfondita indagine dei luoghi non hanno lasciato molti dubbi. «Le risultanze dell’indagine tecnica, attraverso l’esame del fucile ed alcuni elementi che non trovavano spiegazione legittima per la loro presenza sul posto, hanno portato a questa conclusione».
La procura ha quindi proceduto a richiedere l’applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti del Barillà. Provvedimento valutato in tempi brevissimi e confermato nell’ordinanza del gip. (f.d.)
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