di Fabio Benincasa
COSENZA A marzo 2020 l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha dichiarato lo stato di pandemia da Coronavirus. Tra le categorie professionali, gli operatori sanitari sono i lavoratori a maggior rischio di esposizione al virus e il loro impegno in prima linea nella gestione dell’emergenza comporta un crescente sovraccarico operativo ed emotivo. Sopratutto nella prima fase, il Covid ha esposto il personale sanitario a una serie di fattori di rischio legati alla cura del paziente contagiato, ma anche a cambiamenti sostanziali nel lavoro per quanto riguarda gli aspetti organizzativi, relazionali e relativi alla sicurezza, che ovviamente hanno contribuito all’accrescimento di stress psico-fisico. Una condizione che farebbe pensare alla sindrome di “Burnout”. Ma non sempre è così.
BURNOUT O DISTURBO DA STRESS? “Bruciato”, “esaurito”, “scoppiato”. E’ questa la traduzione letterale del termine inglese Burnout, con il quale si indica l’insieme di sintomi che deriva da una condizione di stress cronico e persistente, associato al contesto lavorativo. Un fenomeno che spesso però viene confuso con altri squilibri legati allo stress, come nel caso ad esempio del disturbo post-traumatico da stress. A fare chiarezza è la dottoressa Maria Francesca Amendola, dirigente psicologo e psicoterapeuta dell’Azienda Sanitaria di Cosenza e componente della commissione sanità dell’ordine degli psicologi di Cosenza. «Occorre fare una distinzione – confessa al Corriere della Calabria – tra prima e seconda fase del virus. Da marzo a maggio 2020 – continua Amendola – gli operatori sanitari sono stati catapultati in una nuova dimensione alle prese con difficoltà legate al reperimento di dispositivi di protezione, alla scarsa conoscenza del Covid ed alla necessità impellente di riorganizzare reparti e ripensare i metodi di lavoro. A questi va aggiunta la correlata paura di infettare i familiari». Per questo motivo, secondo la dott.ssa Amendola «durante il periodo di lockdown si è registrato – come evidenziano studi condotti dall’Istituto Superiore di Sanità – un aumento del livello di ansia, depressione e sintomi legati allo stress. Condizione che porta a ipotizzare la sindrome di burnout». Oggi, invece, medici e operatori sanitari nonostante subiscano costantemente l’impatto negativo della crisi generata dal Covid sono più soggetti a «disturbi post- traumatici da stress». Un quadro clinico che spesso si associa ad altre manifestazioni: deficit nella sfera affettiva; attacchi di panico e fobia sociale; disturbo di personalità borderline; abuso e dipendenza da sostanze.
LE DONNE, LE PIU’ COLPITE Un altro aspetto da indagare riguarda le categorie più colpite da stress. «Le donne sarebbero più esposte degli uomini», questo quanto emerge da una serie di studi condotti dall’Iss e da diverse Università italiane. «Oltre alle donne – aggiunge Amendola, anche gli anestesisti risultano essere tra i soggetti più vulnerabili e a rischio stress. Perché vivono direttamente la sofferenza dei loro pazienti».
SUPPORTO PSICOLOGICO TELEFONICO «Nel mese di Aprile, gli psicologi cosentini di tutti i servizi dell’Azienda sanitaria di Cosenza si sono messi a disposizione di colleghi e cittadini, aggiunge Amendola. Abbiamo fatto colloqui via skype e via telefono con chiunque avesse necessità o bisogno di manifestare e raccontare le difficoltà e gli effetti legati alla diffusione del Covid». Tra i disturbi più frequenti riscontrati: «crisi di panico, ansia, insonnia». Oggi la situazione è diversa, anche se si registrano una serie di comportamenti differenti diffusi sopratutto tra i più giovani. E c’è una richiesta enorme di aiuto che purtroppo non sempre riusciamo a soddisfare. Siamo in pochi».
DIDATTICA A DISTANZA E POSSIBILI EFFETTI A proposito dei più giovani la dottoressa Amendola si sofferma sugli effetti legati alla didattica a distanza e sulle possibili conseguenze per gli studenti. «L’area della socializzazione è determinante sopratutto negli adolescenti. Questa sorta di passo indietro che li ha costretti a restare a casa ha prodotto degli effetti. Anche i bambini, così come gli adulti, affrontano una vita diversa ed anche loro tendono a costruire una sorta di “comfort zone”, che nel caso specifico può essere la propria abitazione». «I più giovani – continua – iniziano a fare a meno degli altri, della socializzazione, della scuola e del rapporto con i compagni. Questo un po’ ricorda la sindrome Hikikomori: l’auto-esclusione dal mondo esterno in quel caso legata anche alla dipendenza dai videogiochi e da internet». «Questo – chiosa la Amendola – pone una riflessione doverosa sui traumi psicologici post-Covid. Un problema che bisognerà affrontare a breve e a cui sarà necessario fornire adeguate risposte». (redazione@corrierecal.it)
x
x