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Tre omicidi in cinque mesi per ridisegnare il potere della 'ndrangheta nel Vibonese

Gli omicidi di Belsito, Cracolici e Di Leo, da marzo all’alba del 12 luglio 2004, secondo gli investigatori e il collaboratore Andrea Mantella avrebbero gli stessi mandanti, Domenico, Nicola e Pasq…

Pubblicato il: 17/01/2021 – 8:19
Tre omicidi in cinque mesi per ridisegnare il potere della 'ndrangheta nel Vibonese

di Giorgio Curcio
VIBO VALENTIA
Un disegno criminale ben definito e studiato già a partire dal 2002, con gli omicidi di Alfredo Cracolici e Giovanni Furlano a Vallelonga l’8 e il 9 febbraio, e portato a compimento due anni più tardi, attraverso una lunga scia di sangue e altri tre omicidi. Quelli di Domenico Belsito, Raffaele Cracolici e Domenico Di Leo, avvenuti rispettivamente il 18 marzo, il 4 maggio e il 12 luglio del 2004.
STESSO MODUS OPERANDI Le modalità di esecuzione sono sostanzialmente sovrapponibili così come sono presenti diverse analogie tra loro, a cominciare dal “modus operandi” scelto per uccidere le tre vittime. Circostanze ricostruite attraverso una lunga attività investigativa portata avanti dalla Procura di Vibo Valentia, e che trovano riscontro anche dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia, Andrea Mantella, che sin dal primo giorno ha iniziato a fornire dettagli fondamentali agli inquirenti senza i quali, i casi, sarebbero rimasti probabilmente irrisolti ancor a lungo.
LE DICHIARAZIONI DI MANTELLA È proprio grazie a Mantella che gli inquirenti sono riusciti a delineare, di fatto, quelle che sono le modalità preparatorie per ogni omicidio, attribuendo dei ruoli ben precisi ad ogni soggetto coinvolto nei delitti. Un quadro ancora più chiaro dopo l’operazione dei giorni scorsi dei Carabinieri di Vibo e che hanno portato al fermo di sei persone, disposto dalla Dda di Catanzaro, coinvolte nell’omicidio di Domenico Belsito che, secondo gli investigatori,  a tutti gli effetti sancì la nuova alleanza di Andrea Mantella con il clan di Sant’Onofrio, sfidando lo storico clan dei Mancuso di Limbadi e Nicotera, e ridisegnando la mappa di potere ‘ndranghetistico nel territorio vibonese.
AGGUATO, FUGA E AUTO IN FIAMME A colpire in tutti e tre i casi sono stati almeno due persone attraverso dei veri e propri agguati, con volto coperto e utilizzando come mezzo di trasporto veicoli prima rubati e poi dati alle fiamme. Proprio come nell’omicidio di Belsito del 18 marzo 2004. Il killer, con il volto coperto da un passamontagna, ha raggiunto il bar a Pizzo e ha colpito mortalmente l’uomo prima di lasciare il locale insieme al complice a bordo di un’auto di piccole dimensioni, dirigendosi verso il centro abitato di Vibo Valentia.
Stesse modalità utilizzate quasi due mesi più tardi, il 4 maggio 2004, per uccidere il boss di Maierato Raffaele Cracolici, alias “Lele Palermo”. L’uomo, una volta arrivato nella sua proprietà, sempre a Pizzo, dopo aver trascorso la notte a casa della convivente, è stato colpito mortalmente da una vera e propria raffica di colpi di fucile a pompa e Kalashnikov che non gli hanno lasciato scampo da distanza ravvicinata. I killer, dopo l’agguato, anche in quel caso sarebbero fuggiti a bordo di un veicolo rubato, un Fiat Ducato Maxi, ritrovato qualche ora dopo dai carabinieri di Filadelfia ancora in fiamme. Secondo la ricostruzione i killer, appostati nei pressi del cancello dall’abitazione, avevano ricevuto il via libera da un altro complice appostato dal promontorio “Bosco Madonna”, lì vicino, e che offriva una visuale ottimale.
Anche nel caso dell’agguato mortale teso a Domenico Di Leo, alias “Micu ’i Catalanu”, nella notte fra l’11 e il 12 luglio 2004, almeno due killer hanno scaricato sulla vittima numerosi colpi di Kalashnikov da distanza molto ravvicinata, sempre nei pressi della propria abitazione, alla periferia di Sant’Onofrio. Subito dopo l’omicidio, i killer sono fuggiti a bordo questa volta di una Fiat Uno, rubata, e poi data alle fiamme sebbene parzialmente, consentendo di ritrovare all’interno le armi e le munizioni utilizzate per l’agguato mortale. Un fucile automatico, un Kalashnikov con caricatore, due bottiglie di plastica, quattro guanti in lattice monouso e due maniche di lana di colore blu.
«PRENDERE IL POTERE» «Era un loro disegno… Per riprendere potere» spiega proprio Mantella al procuratore di Vibo, Camillo Falvo. Già perché tutti e tre i delitti sarebbero stati deliberati dai fratelli Domenico, Nicola e Pasquale Bonavota (attualmente latitante), insieme a Domenico e Bruno Cugliari, Francesco Salvatore Fortuna e lo stesso Andrea Mantella. «Tutti questi. Allora, questi sei, questi sei omicidi – racconta – tutti volevano la morte di tutti».

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