REGGIO CALABRIA L’indagine denominata ‘Faust’ coordinata dalla Dda di Reggio Calabria, che stamattina ha portato all’arresto di 49 persone (fra cui il sindaco di Rosarno, Giuseppe Idà, e un consigliere comunale), «ha permesso di documentare l’esistenza di una fiorente attività di narcotraffico che, partendo dall’hub portuale di Gioia Tauro, ha intersecato gli interessi illeciti anche di appartenenti ad altre realtà criminali organizzate, operanti sui territori della Campania, grazie alle contiguità con appartenenti a storiche consorterie camorristiche, Puglia, con particolari aderenze a consessi della Sacra Corona Unita, Basilicata, dove è stata documentata la rete relazionale intessuta con esponenti di un’articolazione mafiosa locale denominata storicamente dei ‘basilischi’ quale promanazione di matrice ‘ndranghetistica». E’ quanto comunica in una nota il Comando provinciale dei carabinieri di Reggio Calabria a proposito degli arresti effettuati alle prime luci dell’alba a Rosarno e Polistena, nonché nelle province di Messina, Vibo Valentia, Salerno, Matera, Brindisi, Taranto, Alessandria e Pavia. Il provvedimento è l’esito di un’attività investigativa avviata dal 2016 dai carabinieri del reparto operativo del Comando provinciale reggino, con il concorso dei reparti territoriali della Piana di Gioia Tauro, diretta inizialmente dal sostituto Procuratore Adriana Sciglio e successivamente dal sostituto Procuratore Sabrina Fornaro, con il coordinamento del Procuratore Aggiunto Gaetano Calogero Paci. Attività investigativa che ha consentito di acclarare la radicata e attuale operatività della cosca Pisano, conosciuti come “i diavoli di Rosarno”, mediante una rete collaudata di cointeressenze criminose. Sono stati accertati i rapporti della cosca Pisano con altre storiche cosche del territorio della provincia di Reggio Calabria, anche operanti in altre parti del territorio nazionale. Particolarmente significativi sono gli accertamenti sulla operatività dell’articolazione territoriale di ‘ndrangheta denominata società di Polistena (Rc), capeggiata storicamente da esponenti della famiglia Longo, e della locale di ‘ndrangheta di Anoia (RC), il cui vertice criminale è rappresentato da una famiglia di imprenditori edili.
IL DENARO DELLO SPACCIO REIMPIEGATO NELL’USURA «Nell’ambito delle dinamiche connesse all’assunzione del predominio della gestione del traffico illecito di sostanze stupefacenti – spiega la nota – era maturato anche il proposito omicidiario posto in essere in danno di un affiliato ad una delle articolazioni di ‘ndrangheta operative sul territorio, con particolare declinazione nello specifico settore illecito. Delitto che non si è poi realizzato solo perché la vittima non è caduta nella trama criminale, non presentandosi agli appuntamenti che le sarebbero stati fatali». Partendo dal contesto legato al narcotraffico, «è stato registrato il reimpiego del denaro in attività usurarie», pratica che «ha denotato la capacità dell’articolazione mafiosa di pervadere l’economia legale quale naturale evoluzione criminale dei capitali illecitamente accumulati». Pratiche «che condizionano la libera economia, permettendo agli esponenti della consorteria mafiosa di controllare diverse realtà imprenditoriali operanti sul territorio». In tale quadro, le indagini hanno consentito di accertare «diversi episodi di minacce e danneggiamento in danno di commercianti e relativi beni mobili ed esercizi commerciali, fatti commessi a scopo estorsivo con finalità mafiose, così come il compimento di atti idonei diretti in modo non equivoco a consumare una rapina ai danni della proprietaria di una struttura alberghiera». Gli episodi documentati «hanno permesso di sottolineare che la ‘ndrangheta, in special modo in taluni territori, non ha mai abbandonato la pratica della violenza finalizzata alle esazioni estorsive non solo quale mezzo di arricchimento illecito ma soprattutto quale strumento di controllo del territorio».
LA CAMPAGNA ELETTORALE GUIDATA DALLA ‘NDRANGHETA Nell’alveo dell’attività criminose della cosca Pisano di Rosarno, «sono state raccolte fonti di prova che hanno permesso, inoltre, di documentare la commissione di truffe mediante artifizi e raggiri consistiti nel far figurare delle ritenute d’acconto su redditi non soggetti ad Irpef, nelle dichiarazioni dei redditi presentate nell’interesse di persone asseritamente non soggette a tassazione, traendo in inganno gli enti previdenziali sul diritto del richiedente al rimborso delle ritenute, in realtà non effettuate, ottenendo così ingiustamente il rimborso di danaro». Nel corso dell’attività investigativa «è emerso anche il favoreggiamento, da parte di alcuni indagati, della latitanza di un associato, Pepè Domenico, finalizzata ad evitare l’esecuzione dell’ordinanza applicativa della misura della custodia cautelare in carcere. Latitante che è stato assicurato alla giustizia nel dicembre 2017. Particolare rilevante da evidenziare è il fatto che il latitante avesse trovato rifugio in Campania, a riprova del legame di tipo mutualistico che avevano stretto la consorteria mafiosa rosarnese con quella salernitana». Secondo gli inquirenti, “di rilevante gravità” è «la documentazione del condizionamento degli organi di vertice dell’amministrazione locale, mediante il controllo e la guida delle campagne elettorali nell’ultima competizione comunale di Rosarno». In questo contesto, «nell’ambito dell’attività è emersa anche una situazione di tensione scaturita dalla condotta del sindaco neo eletto finalizzata a palesare una presa di posizione distante dalle locali consorterie mafiose che invece avevano palesemente e concordemente appoggiato la sua campagna elettorale».
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