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«Mio padre non poteva essere licenziato»

Il figlio di Pietro Filippo risponde al nostro servizio. La nostra replica sul caso del medico condannato per truffa e falso

Pubblicato il: 18/01/2021 – 10:59
«Mio padre non poteva essere licenziato»

Riceviamo e pubblichiamo.
di Enzo Filippo*
Sono Enzo Filippo e scrivo in risposta all’articolo pubblicato in data 15.01.2021 dal “Corriere della Calabria”, dal titolo “la Calabria nel feudalesimo della sanità” il cui autore è Emiliano Morrone che riferendosi inequivocabilmente a mio padre integra a suo danno una grave diffamazione. A tal proposito colgo l’occasione per invitare il sig. Morrone a sostenere con il sottoscritto un pubblico confronto, al fine di constatare quanto ha scritto non solo sul piano giuridico , ritenendo “inquietante” che mio padre non sia stato licenziato (nel feudo della sanità cosentina), ma soprattutto giornalistico, in quanto ha supposto come vero e fondato un altro servizio condotto da Filippo Roma e divulgato all’interno della trasmissione “le Iene”, nel 2018, che ovviamente ho provveduto a denunciare, dinanzi alla Procura di Milano, essendo non solo gravemente diffamatorio, ma assolutamente privo di fondamento giuridico e giornalistico.
Fatte le dovute premesse, ci tengo a precisare che non scrivo in qualità di figlio orgoglioso di un padre di una famiglia che sul territorio si è sempre impegnata a favore dei più in difficoltà, che subisce oramai da anni veri e propri diffamanti soprusi mediatici, ma scrivo in qualità di imprenditore giuridico sociale, avente contezza e cognizione di causa del messaggio gravemente diffamante e manipolatorio che viene da anni divulgato.
Il nocciolo della questione, che richiamo così da spiegare il messaggio che certa stampa, per fortuna non tutta, diffonde a danno di mio padre, e quindi indirettamente a danno del nostro nucleo familiare, riguarda una sentenza di condanna di truffa ai danni dello Stato pronunciata in data 2016.
Bene!
Il Problema di tale sentenza risiede nelle modalità procedurali che ne hanno determinato la condanna. In tale sentenza, difatti, non si tiene in considerazione un documento, fondamentale, che purtroppo non abbiamo potuto produrre in giudizio, proprio per ragioni di tipo giuridico-procedurale, e la cui produzione ne avrebbe sicuramente determinato l’assoluzione.
Mi spiego meglio, come ho detto in termini leggermente diversi in apposito video pubblicato, ed ancora presente, in apposita pagina facebook “il fuoriclasse dei servizi furbetti” (riferito ovviamente a Filippo Roma), nel processo, abbiamo chiesto il rito abbreviato in cui il Giudice, essendo un rito speciale, statuisce la sentenza basandosi sullo “stato degli atti”.
Ed è questo il passaggio chiarificatore, molto brevemente: nel 2012, (si legge a pagina 17 della sentenza di primo grado), il giudice considera decisiva la testimonianza di un dirigente dell’Asp di Cosenza, interpellato proprio perché era necessario chiarire se trovasse applicazione la normativa nazionale disciplinante l’orario di servizio.
Per cui, 2 erano le alternative: se avesse trovato applicazione la normativa nazionale mio padre non sarebbe stato condannato, viceversa si sarebbe proceduto a condanna.
Tale dirigente ha testimoniato che la normativa nazionale, riguardante i dirigenti di struttura complessa, non era mai stata applicata, e così, sulla base di tale testimonianza, ribadisco, definita dal giudice “decisiva” ai fini della condanna, è stata pronunciata la sentenza, determinandone ovviamente, nel luglio del 2014, la conferma in secondo grado.
Nell’ottobre del 2014 cosa succede?
Succede che lo stesso testimone ritratta quanto testimoniato in primo grado, esattamente, 4 mesi dopo la sentenza di secondo grado.
In che modo ritratta?
Il “testimone/dirigente”, con apposita sigla, convalida il documento del 24.10.2014, avente numero di protocollo 0210446, in cui si chiarisce, contrariamente a quanto testimoniato in giudizio, che la normativa nazionale si è sempre applicata! Ma oramai la frittata era fatta, perché in Cassazione, in forza anche del rito speciale, non siamo riusciti a produrre il documento di cui sopra.
Ma andiamo avanti, e sfido chiunque a dimostrare il contrario, anzi, spero che chi si nasconde dietro l’abuso dell’articolo 21 Costituzione, si faccia avanti, anche se ne dubito.
Inizia a circolare la notizia secondo cui mio padre doveva essere licenziato. Così viene interpellato addirittura il Responsabile anticorruzione, allora Dott. Raffaele Cantone, che, in apposita comunicazione, avente numero 0047078, esclude categoricamente la possibilità di procedere a licenziamento.
A questo punto vorrei porgere il seguente quesito: secondo quale procedura, e dunque secondo quale legge, si sarebbe dovuta applicare la misura giuridica del licenziamento?
Chiunque riesca a scovarla è pregato di inviarne i riferimenti al direttore generale dell’Asp di Cosenza, chissà si possa procedere ad un licenziamento retroattivo di collodiana memoria.
Nel concludere, e qui vorrei spendere due righe in qualità di figlio, ma mi spiegate perché mio padre illo tempore, avrebbe dovuto frodare lo Stato non timbrando il cartellino marca tempo? All’epoca dei fatti era sia Direttore del distretto socio-sanitario di Rende, sia Presidente del consiglio comunale di Cosenza. Che bisogno aveva? Io domande su tutta questa attenzione mediatica me le sono poste, (chiunque voglia approfondire come detto sono a disposizione).
Fortunatamente siamo un nucleo familiare unito, e abbiamo superato anche questa.
In ultimo, vorrei rivolgere un saluto tutti quei giornalisti, pubblicisti, e “professionisti dell’informazione” del tutto ignoranti dell’insegnamento di Enzo Biagi sul valore di un giornale, (cito testualmente): “Considero il giornale un servizio pubblico come i trasporti pubblici e l’acquedotto. Non manderò nelle vostre case acqua inquinata”.
A questi vorrei dire 2 cose:
1) Mi dispiace per voi, perché lavorare in questo modo non deve essere di certo gratificante.
2) Mi dispiace per voi, perché avremo modo di vederci in tribunale.

*Imprenditore giuridico\sociale, dottore

  1. Con sentenza passata in giudicato il dr. Pietro Filippo, che non ha inteso replicare al mio articolo, è stato condannato per truffa e falso, «facendo figurare falsamente la propria presenza in sede mediante timbrature del cartellino marcatempo effettuata da altri dipendenti e mendaci autocertificazioni attestanti tale presenza non registrata elettronicamente per la dimenticanza del predetto cartellino»;
  2. l’art. 55-quater del decreto legislativo n. 165/2001 prevede il licenziamento senza preavviso per il dipendente in caso di «falsa attestazione della presenza in servizio, mediante l’alterazione dei sistemi di rilevamento della presenza o con altre modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell’assenza dal servizio mediante una certificazione medica falsa o che attesta falsamente uno stato di malattia»;
  3. l’art. 653, 2° comma, c.p.p., sancisce: «La sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso»;
  4. conseguentemente, l’Azienda sanitaria avrebbe dovuto licenziare il dr. Filippo per espressa previsione di legge, non potendo sindacare la sentenza definitiva di condanna;
  5. per quanto detto al punto 4., non avrebbe nessuna rilevanza quanto affermato dal figlio del dr. Filippo circa la «testimonianza ritrattata». Ma il fatto è che non è vero che la Cassazione non ha voluto prendere in esame la presunta «ritrattazione» (avrebbe potuto farlo la Corte d’Appello), la Cassazione ha chiaramente detto che la Corte d’Appello non ha condannato il dr. Filippo sulla base delle testimonianze, ma su altre basi. Riporto il passaggio fondamentale della sentenza della Cassazione: «Il tema posto dalla difesa in ordine all’esclusione del vincolo di orario per i soggetti nella posizione funzionale del Filippo, disposta con la delibera del Commissario Straordinario della ASL di Cosenza del 28/11/2005, veniva ampiamente affrontato nella sentenza impugnata non ponendo in discussione l’esistenza di tale disposizione, ma osservando come la stessa non avesse trovato effettiva attuazione. E tale conclusione, contrariamente a quanto sostenuto del ricorrente, non era sostenuta in base ad una mera adesione a quanto riferito sul punto dai testi Bellusci e Magnelli, ma era fondata su una precisa circostanza resa nota in particolare dal Magnelli, e tale da fornire giustificazione formale ai contenuti delle citate dichiarazioni testimoniali; ossia quella per cui la citata delibera del 2005, in quanto assunta dalla preesistente Azienza Sanitaria Locale di Cosenza, ente territorialmente identificato dalla circoscrizione del predetto Comune, era stata superata dalla costituzione, il successivo 22/05/2007, della Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza, avente ambito diverso e più esteso nel quale era confluita l’area di competenza della precedente Azienda Sanitaria Locale, ed il cui Direttore Generale aveva poi provveduto a regolare nuovamente la materia il 29/12/2011»;
  6. l’Anac non è intervenuta perché esulava dalla sua competenza, come si evince chiaramente dal non liquet: il dr. Filippo non era dirigente aziendale, i reati per i quali è stato condannato sono diversi da quelli che prevedono l’intervento dell’Anac e, dunque, il fatto attiene a vicende interne all’Asp, su cui l’Anac non ha competenza a intervenire.

Emiliano Morrone

A richiesta dei dottori Filippo Pietro e Filippo Enzo si pubblica il seguente testo: «A titolo di rettifica si precisa che l’introduzione della norma di legge sul licenziamento del dipendente pubblico per falsa attestazione della presenza in servizio è entrata in vigore dopo i fatti per cui il dott. Pietro Filippo è stato condannato dalla Cassazione pertanto non doveva essere licenziato. A titolo di rettifica in relazione alla “ ritrattazione” di un teste successiva alla condanna in Appello di Pietro Filippo dirigente dell’ASP di Cosenza, la stessa non poteva essere presa in considerazione dalla Corte d’Appello essendo intervenuta successivamente alla pubblicazione della sentenza di quest’ultima e non utilizzabile nel successivo grado di giudizio. L’Anac non è intervenuta pur avendone le competenze in quanto ha valutato, alla luce della normativa nazionale aziendale, di non avviare procedimenti disciplinari e di non revocare l’incarico conferito al dott. Filippo Pietro».

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