di Giorgio Curcio
REGGIO CALABRIA «Quando dico che Domenico Pisano è uno che “conta” e che è “rispettato” a Rosarno sottintendo che lui è una persona rispettata perché le persone hanno paura di lui». È il collaboratore di giustizia Lorenzo Bruzzese a delineare il profilo – confermato poi nel corso dell’attività investigativa della Procura di Reggio Calabria culminata con l’operazione “Faust” di ieri – di uno dei reggenti e dei personaggi di spicco dell’omonima cosca attiva a Rosarno.
È lui ad occuparsi degli affari legati al traffico di stupefacenti, lui a prendere in mano le redini del clan quando il fratello, Salvatore Pisano, era in carcere. Per gli inquirenti, dunque, è un «autorevole referente della cosca al quale rivolgersi per dirimere potenziali contrasti con altri ‘ndranghetisti» ed è direttamente coinvolto nella preparazione di armi per la salvaguardia della organizzazione criminosa contro la cosca avversa dei Fazzari.
I SOSPETTI DI MICU “U DIAVOLO” PISANO Una figura di spicco, dunque, tant’è che gli inquirenti piazzano sulla sua auto e su quella della moglie anche un rilevatore Gps di posizione per studiarne i movimenti. La “furbizia” e forse anche la paranoia del boss rosarnese, però, lo inducono a sospettare. Pisano si accorge così che sulla propria auto è stato installato il Gps già il 16 marzo del 2016 ma, per non allarmare gli inquirenti, decide di non smontarlo. Circostanza ripresa nel frattempo dagli investigatori che avevano installato una telecamera nel fondo agricolo di “Micu” Pisano, in contrada Iudicello. Due giorni dopo lo stesso Pisano controlla anche l’altra auto, quella usata dalla moglie, sulla quale però non era stato installato alcun sistema di localizzazione satellitare o d’intercettazione ambientale. Per gli inquirenti è possibile che Domenico Pisano abbia iniziato ad avere il sospetto di essere pedinato in occasione di una sua trasferta a Bova Marina. «Loro mi aspettavano da una porta, e io sono uscito da un’altra. qua si tratta di Carabinieri locali, perché loro sanno la vita che faccio io… sanno perché altrimenti avevano messo una telecamera… una telecamera piccolina».
LA BONIFICA L’attenzione e la paranoia di Domenico Pisano, che aveva intuito ormai da tempo di essere “ascoltato” dalle forze dell’ordine, lo indurranno, un mese più tardi, a far effettuare una bonifica della campagna, per verificare la presenza di eventuali apparecchiature per la captazione ambientale. Grazie alle telecamere e compresi i rischi, i militari sono riusciti a porre le apparecchiature in modalità “antibonifica”, riuscendo così a scongiurare il rilevamento dagli scanner utilizzati da un uomo che lo stesso Pisano aveva chiamato.
Prima di rimuovere il rilevatore Gps Pisano attenderà il 15 novembre. Le telecamere a sua insaputa lo riprendono mentre esegue l’operazione nella sua campagna mentre arriva anche il fratello Vincenzo. «Voglio vedere se vengono a raccoglierla…. “a nburraju da” (l’ho buttata là)» dice al fratello Vincenzo, che risponde: «Se ne fottono di lei Mico». «Se è attiva vedi come vengono e se la prendono» replica ancora Domenico. Il Gps smontato, poi, verrà abbandonato e occultato nell’erba circostante, posizionando sopra alcuni legnetti. Il 12 gennaio 2017, invece, un nuovo rilevatore è stato installato sull’auto del fratello, Salvatore Pisano, rimosso però quattro giorni più tardi dall’elettrauto Salvatore Paladino che, si legge fra le carte dell’inchiesta, «in diverse occasioni e a favore di diversi componenti della cosca Pisano, si sia prodigato a bonificare con uno strumento scanner in suo possesso le autovetture in uso agli affiliati» e per questo anche lui fermato nel corso dell’operazione “Faust”.
IL GPS SULL’AUTO DEL SINDACO I sospetti tra gli affiliati del clan Pisano sono tali che, a dicembre del 2016, riescono ad individuare anche l’ambientale veicolare installata dai militari sull’autovettura del sindaco di Rosarno, Giuseppe Idà. Una circostanza particolare perché – si legge nelle carte dell’inchiesta – Idà non aveva «mai palesato sospetti in merito alla presenza dell’apparato intercettivo e, al pari di Pisano, anche lui non disinstallava l’apparecchiatura, continuando a fingere, analogamente a quanto fatto dal capo cosca, di non esserne a conoscenza». È solo grazie alle intercettazioni ambientali nell’ufficio del sindaco che gli inquirenti intuiscono che in realtà Idà aveva effettuato la bonifica della propria auto, utilizzando evidentemente una modalità così sofisticata da sfuggire persino agli investigatori. «Ho convissuto due giorni con questa, con questa cosa, non me la sono sentita…inc…poi se… se vi decidete di di di intercettarmi fatelo perché non ho un cazzo da nascondere voglio dire, ma sono una persona onesta, ve lo dico e ve lo dimostro!».
LA POSSIBILE FUGA DI NOTIZIE Ma, nel corso dell’attività investigativa, oltre alle bonifiche effettuate sulle auto degli indagati, sono state rilevate dagli uomini del clan altre apparecchiature per le intercettazioni ambientali: due in in piazza Valarioti a Rosarno, una all’ingresso del circolo privato in via Tintoretto a Rosarno e due volte sull’auto di Salvatore Belcastro, uomo fidato del clan Pisano con il ruolo di gestire l’arsenale a disposizione anche per compiere diversi atti intimidatori e anche lui fermato nel corso dell’operazione. Gli episodi, però, hanno destato particolare allarme fra gli inquirenti convinti che dietro, al rinvenimento costante dei rilevatori ambientali, possa esserci anche una fuga di notizie in merito all’esistenza dell’indagine. (redazione@corrierecal.it)
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