di Pablo Petrasso
CATANZARO Natale Errigo, consulente di Invitalia e membro della struttura commissariale per l’emergenza Covid (entrambe estranee all’inchiesta “Basso Profilo” della Dda di Catanzaro) ha le idee chiare. All’amico imprenditore Antonio Gallo – la cui impresa si occupa anche della fornitura di dispositivi di protezione individuale – lo spiega senza giri di parole: «Io ho necessità di avere un punto di riferimento… perché ti dico subito che cosa ho… che cosa che cosa mi deve dare, qui dovrebbe dare Franco Talarico qua… o… un incarico in un organismo di vigilanza… di una società, che è compatibile… ho tutti i requisiti… ho tutti i requisiti… ho tutti i requisiti… 7-8.000, 9.000 euro all’anno». Errigo, che può vantare secondo la Dda di Catanzaro parentele con la cosca De Stefano a Reggio Calabria, decanta «la sua forza nel reperire voti» per il candidato di centrodestra alle Politiche del 2018. Fa anche di più: anticipa ciò che farà «qualora le sue aspettative dovessero essere deluse». «Che voti ho – dice –? Tutta la mia famiglia Antonio… gli amici stretti… ad Archi sabato mattina prima di andare a votare andiamo da Franco Talarico… io posso garantirti… e ti dico pure i nomi delle sezioni… ad Archi (quartiere periferia nord di Reggio Calabria, storica roccaforte clan de Stefano)… dove io non parlo né di 100 né di 500 (…) la mia famiglia, ci muoviamo sempre in trenta quaranta… onestamente… poi possiamo stare qui a dirci tutto quello che vogliamo… io quando mi viene nella testa, mi gira nella testa chiamo a questo e mi presento mi ha dato il numero Franco Talarico».
LA MINACCIA DI ERRIGO Segue una, non troppo velata, minaccia: «Come non ci fa quello che ci deve fare… io vengo da te… io vengo da te…».
La consapevolezza da parte del Talarico «circa la controprestazione che l’Errigo, il Gallo e il Pirrello (imprenditore nel campo delle pulizie che avrebbe stretto a sua volta un patto con il politico, ndr) si aspettavano da lui in cambio dei voti è pacifica». Non solo – scrive il gip – «lui era presente nel corso della riunione romana, ma Gallo specificava a Errigo di aver ricordato al Talarico di onorare i suoi impegni: “Io gli ho detto… (a Franco Talarico) vedi che io mi sto esponendo a Reggio… non vedere che vinci e ti dimentichi… che prendono e ammazzano me”». Questo avvertimento, secondo i magistrati, «evoca anche il tipo di ambienti che sono stati compulsati per i voti, e cioè ambienti ‘ndranghetisti».
«ANDAMMO AL COMPLEANNO DI BERLUSCONI» Tra gli incontri documentati dall’attività investigativa ce n’è uno avvenuto a Roma il 16 gennaio 2018 che, per gli investigatori, «rappresenta uno dei principali momenti di concretizzazione della condotta di scambio elettorale politico-mafioso». Seduti attorno allo stesso tavolo ci sono Francesco Talarico, Antonio Gallo Natale Errigo e Antonino Pirrello. È in questa sede che vengono «chiariti i termini della collaborazione, emblematicamente riassunti dall’Errigo richiamando il principio del do ut des. Il Gallo, poi, ne approfittava per chiedere entrature in una società in house della Regione Lazio (Lazio Innova)». Errigo va oltre ed esalta le capacità del proprio “gruppo” «di fronte a Talarico, facendo presente l’importanza del loro apporto nei confronti di Caridi». «Siamo completamente – spiega – siamo, noi siamo il gruppo… diciamo, che seguiva Antonio (Caridi, ndr) dappertutto, andavamo… cioè per dime una… andammo anche al compleanno di Berlusconi eh…”)».
L’INCONTRO A REGGIO CALABRIA Nell’ordinanza di custodia cautelare viene evidenziato un incontro avvenuto il 31 gennaio nel Gran Caffè di Reggio Calabria (programmato dopo la conferma della candidatura del segretario dell’Udc) «tra Francesco Talarico, Antonio Gallo, Natale Errigo, e Antonino Pìrrello». Durante la riunione «si condividevano le strategie: il ricorso al Bruno (che avrebbe assicurato una marea di voti), la richiesta di aiuto a Glenda Giglio; la proposta di avvicinare Pasquale Tripodi, imprenditore reggino, che in cambio avrebbe “solo” (!) chiesto un incarico politico per la moglie».
È Gallo a chiarire i termini dell’accordo: «Noi ti diamo… tutta la mano del mondo… due (mani)… soldi non ce ne servono… che ne abbiamo… grazie a Dio lavoriamo… che ne abbiamo… stiamo bene… però ci serve un referente… se abbiamo bisogno di qualcosa… non vogliamo né imbrogli… sia chiaro… un punto di riferimento… illeciti non ce ne servono… a nessuno… però ci serve a volte… un’entratura… una presentazione…».
Il gip distrettuale Alfredo Ferraro definisce «arguta» la scelta di parole adoperate «per formulare la sua richiesta al politico in cambio di voti», ma per lui «risulta chiara l’illiceità di quanto chiesto: un politico con ruolo istituzionale che gli avrebbe garantito un’entratura-referenza, chiaramente illecita, intesa come contatti a livello nazionale, e “raccomandazioni” in gare d’appalto e in contatti istituzionali».
«CONOSCEVA LA CARATURA MAFIOSA DEGLI INTERLOCUTORI» In sostanza, «in cambio di un cospicuo pacchetto di voti, recuperato dal Gallo (collegato a diverse cosche del Centro-Nord calabrese ma con forti contatti anche nel territorio reggino) con la collaborazione di esponenti e/o soggetti collegati alle cosche reggine, il Talarico avrebbe favorito non solo Gallo, ma anche i suoi “collaboratori” con entrature, tese anche all’aggiudicazione di appalti in pubbliche forniture di enti e società in house, grazie anche all’intermediazione di Lorenzo Cesa». Inoltre, «emerge la piena consapevolezza, di tutti gli indagati, compreso (e soprattutto) il Talarico, della natura e dell’oggetto dell’accordo, nonché delle caratteristiche di ciascun indagato (in particolare della caratura mafiosa di Gallo, Errigo, e Pirrello)». Riguardo al risultato elettorale di Talarico (oltre 44mila voti, nonostante la mancata elezione), il giudice lo definisce «significativo» specie perché raggiunto «in un territorio in cui era “estraneo”». (p.petrasso@corrierecal.it)
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