di Giorgio Curcio
CATANZARO Sono le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia a delineare quello che è il profilo criminale di Antonio Gallo, finito in carcere nel corso dell’operazione “Basso profilo” condotta dalla Dda di Catanzaro, guidata dal procuratore Nicola Gratteri. Il “principino” Antonio Gallo, titolare di una ditta di antinfortunistica a Sellia, secondo gli inquirenti, è da considerarsi a tutti gli effetti «un elemento interno dei clan attivi nel territorio di Cutro e Mesoraca, dalla cosca Grande Aracri ai legami, tra gli altri, con Mario Donato Ferrazzo (del locale di Mesoraca), Domenico Megna (del locale di Papanice), dei maggiorenti delle cosche cirotane, di Antonio Santo Bagnato (del locale di Roccabernarda)».
Dal racconto dei pentiti, emerge la sua spiccata figura da “anello di congiunzione” tra il mondo dell’imprenditoria e quello della ‘ndrangheta. Una posizione che gli avrebbe consentito di accumulare ingenti quantità di denaro ma anche di conoscere tutte le dinamiche interne dei clan, partecipando direttamente alle riunioni e interfacciandosi direttamente con i boss.
IL RACCONTO DEI PENTITI È Francesco Mammone, in particolare, a descrivere i rapporti tra “il principino” Gallo e Luciano Babbino, uno dei massimi esponenti dei clan di Vallefiorita. In una circostanza, racconta Mammone, Gallo si sarebbe impegnato a mettere in contatto i referenti criminali della zona con alcuni titolari d’impresa per “tranquillizzarli” nel corso di alcuni lavori appaltati, con il versamento di somme comprese tra i 2 i 4mila euro. Significativo, poi, il racconto di Mammone e che riguarda proprio il “principino” Gallo. In un’occasione, infatti, il proprietario di un’impresa che doveva effettuare dei lavori di posa in opera tra Vallefiorita e Sellia della fibra ottica, sarebbe stato condotto dallo stesso Antonio Gallo direttamente al cospetto di Babbino. Un ruolo chiave e determinante quello del “principino”: secondo il racconto di un altro pentito, Santo Mirarchi, «parte dei proventi della sua attività confluivano nella bacinella della cosca di Isola Capo Rizzuto».
«UN BRAVO RAGAZZO» Un altro collaboratore di giustizia, Giuseppe Liperoti, considerato membro dei Grande Aracri, racconta di aver conosciuto di persona Antonio Gallo e di «aver sentito spesso parlare di lui da parte del boss Mario Donato Ferrazzo (esponente dell’omonimo clan) che lo descriveva come un “bravo ragazzo”». Insomma, un imprenditore “intoccabile” al quale neanche i Trapasso chiedevano la tangente. Tesi confermata anche da un altro collaboratore, Domenico Iaquinta.
«U JOLLY E TOPOLINO» Iaquinta è per gli inquirenti la principale fonte indiziaria per descrivere ancora meglio al figura criminale di Antonio Gallo. È proprio il pentito a riferire agli investigatori delle circostanze in cui il “principino” avrebbe arruolato prestanome insieme ai Trapasso e inscenato anche l’incendio di un furgone per apparire come una vittima di atti intimidatori e allontanare gli eventuali sospetti degli inquirenti. «Antonio Gallo dottò è u jolly dha e Topolino, li ho voluto bene come nu figghiu perché l’ha abbuttato e sordi a Topolino (…) iddhu è protetto on u tocca nessunu, po’ fare chiru chi vo», così Iaquinta illustra il profondo legame tra Gallo e Ferrazzo e della protezione che il primo riceve dal secondo.
LA PREOCCUPAZIONE Nel corso delle indagini che hanno portato all’operazione “Basso profilo”, gli inquirenti sono stati in grado di captare alcune conversazioni fondamentali per delineare il profilo criminale di Antonio Gallo. In una, in particolare, mentre parla con Giuseppe Lamanna, arrestato oggi nel corso del blitz, il “principino” si mostra particolarmente preoccupato per la presunta collaborazione di alcuni nuovi pentiti e, in particolare, di quello che i due definiscono “un cantante”. «Hanno depositato 300 pagine l’altro giorno – racconta Gallo a Lamanna – c’è un cantante…nell’operazione Trapasso». «Si suppone sia uno di Cropani – spiega ancora Gallo – ma queste pagine sono brutte». Una conversazione particolarmente significativa per gli inquirenti in quanto lascia intendere che Gallo avesse ricevuto informazioni in merito all’attività investigativa della Procura, ma sapeva anche di non essere indagato. (redazione@corrierecal.it)
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