di Giorgio Curcio
CATANZARO Contatti tra imprenditori e clan di ‘ndrangheta, ma anche società “cartiere” con intestazioni fittizie e diverse operazioni finanziarie “sospette”. Questo e molto altro ha disvelato l’indagine coordinata dalla Procura di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri, e che ha portato all’operazione “Basso profilo”.
Già con le operazioni “Borderland” – si legge nella richiesta di applicazione di misure cautelari firmata dai pm Paolo Sirleo e Veronica Calcagno – nel 2018 erano state confiscate due società, la “A&G” riconducibile al “principino” Antonio Gallo, che ieri non ha risposto al Gip, e la “Global Service” intestata invece a Domenico Iaquinta, entrambi arrestati nel corso del blitz.
Le due società, unitamente alla “Ab Group”, gestite di fatto da Gallo e Andrea Leone, anche lui finito in carcere, avevano come scopo effettivo ed esclusivo quello di emettere false fatturazioni in favore di terze imprese.
Attraverso ulteriori accertamenti bancari effettuati dalla polizia giudiziaria, sono emerse altre società con lo stesso “oggetto sociale” riconducibili a esponenti della famiglia Trapasso, a tutti gli effetti dei “soci occulti” e affidate al “principino” Gallo ma anche a Rolando Russo, indagato e in passato già arrestato nell’operazione Borderland, Tommaso Rosa, finito in carcere e secondo gli inquirenti legato a Antonio Santo Bagnato, capo del locale di Roccabernarda, Victoria Rosa, finita ai domiciliari e lo stesso Domenico Iaquinta, anche lui indagato a piede libero.
L’IMPIEGATA POSTALE Un gruppo ben definitivo, dunque, ma inutile se dietro non ci fosse stata una figura di fondamentale importanza ovvero quella di Antonella Drosi, un’impiegata dell’ufficio postale di Santa Maria di Catanzaro, finita agli arresti domiciliari nel blitz. È lei, secondo gli investigatori, che avrebbe messo «al servizio dell’organizzazione criminale la sua posizione “privilegiata”, agevolando le operazioni di prelievo da parte degli stessi associati o dei loro incaricati, omettendo (nonostante fosse obbligata) di segnalare le operazioni sospette». Con uno degli associati, Tommaso Rosa, usava anche un linguaggio convenzionale per poter così individuare senza difficoltà le persone “inviate” per eseguire i prelievi e completare velocemente le operazioni.
I “FAVORI” PER IL FRATELLO Un’impiegata postale al servizio dell’organizzazione, certo, ma, scrivono ancora i pm, non senza un tornaconto. In cambio dei suoi servigi, Antonella Drosi era riuscita ad ottenere un impiego per il fratello Valerio, finito ai domiciliari, con uno stipendio da mille euro al mese presso la “Service Call” nel Lazio, prima inserito a pieno titolo nell’organigramma societario, poi, con la chiusura delle stesse, del commercio elettronico, come deciso da Antonio Gallo, vista la sua padronanza nell’uso del computer.
Ma non solo. Già perché – è scritto ancora nelle carte dell’inchiesta – nonostante le lamentele sul fatto che lavorasse poco e male e che tenesse un comportamento insofferente, confidando sul fatto di essere intoccabile per il ruolo rivestito dalla sorella, Valerio Drosi riceveva altri importanti benefici, come il pagamento di 70 euro a settimana per il vitto, l’affitto e altri soldi per il pagamento del pallet per riscaldare l’appartamento.
«Questo qua è praticamente il fratello di una che lavora nella posta (…) hai capito che questa è una associazione a delinquere di stampo mafioso… ad altissimi livelli, è tutta una rete capito, sono tutti tra di loro, questo qua (Drosi ndr) per questo si sentiva il galletto» racconta alla mamma al telefono Maria Teresa Sinopoli, una degli associati del gruppo criminale, e finita anche lei a domiciliari.
GLI ASSEGNI POSTALI Quella di Antonella Drosi era, all’interno dell’organizzazione criminale, una collaborazione che assumeva diverse forme. Secondo i pm, era lei a consigliare in più di un’occasione ad Antonio Gallo e Andrea Leone di far «richiedere ad Eugenia Curcio o alla figlia Ilenia Cerenzia, entrambe finite ai domiciliari, l’emissione di assegni postali presso l’ufficio postale a favore di persone che poi si sarebbero recate presso altri uffici postali per ritirare materialmente gli assegni. «Ciò al fine di prelevare il denaro in maniera più veloce e silente possibile, evitando di far scattare le segnalazioni per operazioni sospette da parte di banche e Poste».
«Con i circolari però… fanno i circolari e se li cambia posta per posta… mi ha detto la signora» spiega poi Gallo a Leone. «Fa i circolari intestati a lei stessa, poi prendi e va e li cambia da un’altra parte… chi ti ha visto…».
GLI ASSEGNI SOTTRATTI Allo stesso modo gli associati pensavano a Antonella Drosi quando Tommaso Rosa propone un nuovo modus operandi, ovvero la disponibilità di assegni sottratti a terzi ma non rubati e relativi a conti correnti che contenevano denaro. Ma, anche in questo caso, era necessaria la collaborazione di un cassiere delle Poste che avrebbe dovuto agevolare il prelievo fraudolento del denaro senza segnalare alle autorità l’eventuale “alert” e la figura scelta era proprio quella di Antonella Drosi. Il gruppo si decide, disponendo di elargire una percentuale del 10% per la posta riferita ad Antonella Drosi e un altro 15-20% lo avrebbero preso loro come associazione.
Tommaso precisava che colui che gli aveva proposto l’affare era uno di Reggio Calabria di stanza a Catanzaro Lido il quale gli aveva assicurato «che un casino di uffici postali stavano già attuando questo sistema fraudolento».
I PRELIEVI Ma il ruolo della Drosi, come documentato dagli investigatori, era anche di “sportello” dedicato alle operazioni del gruppo. Le incaricate erano la Cerenzia e la madre Curcio, proprio negli orari in cui la stessa Drosi era in servizio.
«… comunque… vedi Valerio (Drosi ndr) e vedi a lei al femminile…». Queste erano le indicazioni fornite alla Cerenzia per riconoscere l’impiegata giusta una volta arrivata all’ufficio postale.
IL BRACCIO DESTRO E LE CARTE PREPAGATE Il referente principale dell’impiegata postale era Eliodoro Carduccelli, considerato dagli inquirenti il braccio destro di Leone, prestanome e intestatario di numerosi conti correnti riconducibili a società di comodo. «La loro amicizia – scrivono gli inquirenti – era ben consolidata e la compenetrazione dell’impiegata delle Poste negli affari della consorteria cresceva sempre di più, passando dal favorire il gruppo durante il suo turno di lavoro, durante l’attività di front-office allo sportello, con omissioni in termini di segnalazione di operazioni sospette e mancata identificazione dei soggetti “prelevatori”, ad una condotta ancora più compromettente». Secondo gli investigatori, la Drosi si sarebbe incontrata anche fuori dall’orario di lavoro, a casa sua, e si faceva consegnare le carte prepagate (e i PIN) agganciate ai conti correnti e, dietro richiesta, «effettuava in prima persona le operazioni di prelievo del denaro in sostituzione delle “teste di legno” che fino a quel momento si erano dovute comunque recare ogni volta presso gli uffici postali».
Un sistema apparentemente infallibile: l’impiegata postale riusciva a superare senza problemi i controlli ed eventuali intoppi, consegnando poi il denaro allo stesso Carduccelli che, in più di un’occasione, si sarebbe recato a casa della stessa Drosi a ritirare le somme prelevate.
CORNETTO E CAFFE’ «Oh e poi ti devo vedere però… o domani mattina presto casomai?» domanda Carduccelli alla Drosi nel corso di una intercettazione captata dagli inquirenti il 2 gennaio 2018. «Va bene dai… domani mattina presto, se no passi la lasci e te ne vai» risponde lei, che continua: «Mi porti caffè macchiato, schiumato e cornetto». Per gli inquirenti i due concordano di vedersi l’indomani mattina sul presto. La Drosi consiglia all’uomo di lasciarle la carta Postepay in una busta da mettere poi all’interno di un sacchetto insieme al cornetto e al caffè. Circostanza confermata poi dal prelievo di 2.490 euro effettuato il giorno dopo dalla cassa n.5 dell’ufficio postale di Santa Maria di Catanzaro dalla carta di Vasile Ionescu, marito di Elena Banu, a sua volta titolare di una società con sede a Milano ma funzionale agli scopi dell’organizzazione, arrestata anche lei nell’operazione “Basso profilo”.
«È la srls di una rumena quindi – dirà Gallo in una intercettazione – la sede è a Milano, i documenti li registriamo tutti… e poi qua sarà a debito hai capito… questa l’abbiamo fatta per il 2018». (redazione@corrierecal.it)
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