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L’evoluzione della “locale” di Petilia. Indagato il fratello dell’ex compagno di Lea Garofalo

Massimo Cosco è imparentato con Carlo e Vito Cosco oltre che uomo del boss Rosario Curcio, condannati per l’omicidio della testimone di giustizia. Sarebbe lui il responsabile ‘ndranghetista del ter…

Pubblicato il: 25/01/2021 – 16:55
L’evoluzione della “locale” di Petilia. Indagato il fratello dell’ex compagno di Lea Garofalo

di Francesco Donnici
CROTONE Dodici arresti (e in tutto 18 indagati) come dodici, il prossimo settembre saranno gli anni trascorsi dall’atroce omicidio della testimone di giustizia Lea Garofalo.
La Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, coordinata dal procuratore capo Nicola Gratteri, riaccende i riflettori sul territorio di Petilia Policastro. Una lunga scia di sangue tinge le aree interne della Presila crotonese, «particolarmente difficile sul piano orografico. Particolare che tende a facilitare le cosche che credevano di poter operare indisturbate», ha spiegato nel corso della conferenza stampa il colonnello Gabriele Mambor.
Tra gli indagati, anche Massimo Cosco, fratello di Giuseppe Cosco, dimorante nell’hinterland milanese (scarcerato nel 2016 dopo una detenzione avviata dal 18 ottobre 2010 per reati in materia di stupefacenti, estorsione ed usura) e soprattutto di Carlo e Vito Cosco, entrambi detenuti per condanne definitive all’ergastolo per il brutale omicidio di Lea Garofalo.
Nell’odierna indagine, Massimo Cosco rientra in quanto sodale della “locale” capeggiata da Rosario Curcio, detto u “Pilirussu”, altro nome storicamente ricorrente nella zona ed anch’egli condannato all’ergastolo per l’omicidio di Lea. Nomi e dinamiche che invitano oggi alla riflessione su cosa sia davvero cambiato in quei territori nel corso di questi ultimi anni.
STORIA DELLA “LOCALE” DI PETILIA POLICASTRO L’assetto criminale della “locale” dell’alto Crotonese, è emerso e si è cristallizzato in diversi arresti giurisprudenziali.
L’esistenza del sodalizio è riconosciuta in primo luogo dalla sentenza della Corte d’Assise di Catanzaro del 26 settembre 2003 in relazione all’operazione “Eclissi”.
L’indagine dimostra l’esistenza di un sodalizio sul territorio di Petilia risalente a diversi decenni prima. Negli anni 80-90, il territorio era controllato dalla cosca “Garofalo-Mignacci” che aveva come vertice nella frazione di Pagliarelle Floriano Garofalo, fratello di Lea. Lo stesso aveva mantenuto il controllo della frazione anche dopo l’ascesa di Vincenzo Combierati e Pasquale, sebbene nel frattempo si stesse facendo strada Rosario Curcio, all’epoca egemone nella frazione Camellino.
Nel 1999 (con sentenza divenuta irrevocabile il 15 maggio del 2000) il Tribunale di Milano, nell’ambito dell’operazione “Storia infinita” si era occupato delle propaggini milanesi delle cosche calabresi, anticipando incidentalmente l’esistenza del distaccamento di Petilia. Rimangono coinvolti nell’indagine lo stesso Floriano Garofalo, Antonio Combierati, Mario Carvelli ed i fratelli Carlo e Giuseppe Cosco, che si occupavano del traffico di stupefacenti nel Milanese.
Alle risultanze si arriva anche grazie alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Vittorio Foschini che racconterà anche di un luogo comune di aggregazione dei calabresi a Milano sito in via Montello numero 6. “La casa dei calabresi” era una palazzina con due grandi cortili interni organizzata come un vero e proprio “fortino”. Lì andrà a vivere Lea Garofalo insieme all’allora compagno Carlo Cosco ed alla figlia Denise. Nel 2002 diventa testimone di giustizia e riferisce di ulteriori pezzi dell’organigramma petilino: Vittorio e Salvatore Combierati, Mario Mauro, Giovanni Castagnino, padre di uno degli odierni indagati, e i tre fratelli Liotti. Tuttavia, Lea viene considerata inattendibile ed espulsa dal programma di protezione nel 2006 (e poi riammessa nel 2007, quando però deciderà volontariamente di rinunciarvi). Il 24 novembre 2009 viene assassinata a Milano e il suo cadavere viene fatto scomparire. I resti verranno ritrovati in Brianza nel novembre del 2011 grazie alla ricostruzione fornita dal collaboratore di giustizia Carmine Venturino che porta alle condanne definitive all’ergastolo di Carlo e Vito Cosco, di Rosario Curcio e Massimo Sabatino. Da qui si evince come nel tempo, anche la geografia delle famiglie della zona fosse mutata per l’effetto dell’ascesa di Rosario Curcio e della famiglia Cosco. Circostanza passata anche dall’uccisione proprio di Floriano Garofalo non più egemone su Pagliarelle.
Le dichiarazioni di Lea Garofalo verranno utilizzate nel processo “Filottete”, che descrive le vicende della “locale” fino al 2008. Nel 2018, con l’operazione “Tisifone” gli inquirenti dimostrano «la persistenza e la pericolosità della locale di ‘ndrangheta di Petilia Policastro», annoverando tra gli esponenti di maggiore rilievo Rosario Curcio e Tommasino Ierardi descritti come «elementi di vertice dell’articolazione alleata alla cosca Nicoscia».
MASSIMO COSCO, L’UOMO DI ROSARIO CURCIO Sottolinea il procuratore Gratteri, che la potenza di fuoco della cosca ha costretto la procura ad un repentino intervento onde evitare che la scia di sangue si allungasse. Secondo gli inquirenti, Massimo Cosco (destinatario del fermo di indiziato di delitto), pregiudicato scarcerato il 9 maggio 2017, era riuscito negli anni ad inserirsi nell’organigramma del clan egemone sul territorio. «Emerge – scrivono – quale soggetto pienamente inserito nella “locale” petilina, partecipante agli incontri salienti del gruppo criminale, in quanto referente della consorteria con riferimento alla frazione Pagliarelle di Petilia Policastro». Nello specifico, l’attività investigativa svolta, «ne lasciava emergere il ruolo di ausilio alle famiglie dei detenuti e nell’intrattenere i rapporti con esponenti della politica locale».
Capo della “locale” è Rosario Curcio. Un assunto emerso nel tempo grazie alle dichiarazioni dei “vecchi” collaboratori di giustizia prima e a quelle più recenti dei pentiti Giuseppe Liperoti e Domenico Iaquinta. «E che vi dico, dottò? È u capu e Petilia» racconta quest’ultimo durante un interrogatorio con il pubblico ministero.
Curcio, assegna la frazione Pagliarelle di Petilia Policasto a una serie responsabili che gli inquirenti individuano, oltre che in Massimo Cosco, anche in Mario Garofalo alias “provolino” e Diego Garofalo alias “yogurtino”. Figure invise ad altri sodali della zona.
Il ruolo e il tipo criminale dei presunti responsabili ‘ndranghetisti, con fatto riferimento alla figura di Massimo Cosco, emergono da un’intercettazione ambientale del dicembre 2018 tra l’odierno indagato Oreste Vona, titolare della ditta “Boschiva G.V.” e l’ispettore dei carabinieri forestali Costantino Calaminici. Oggetto della conversazione è il recente arresto di Rosario Curcio. Massimo Cosco viene descritto come uno che «non si accontenta mai» e gli interlocutori evidenziano il concreto rischio che, proprio in assenza di Rosario Curcio, potesse diventare ancora più pericoloso. «Quello è maligno! Specialmente mò che non c’è questo qua! Ci fa vedere qualche sorcio verde che non si accontenta mai!», dice Vona.
In una conversazione del 17 settembre 2018, Giuseppe Garofalo (classe 86, anche lui tra gli indagati) si lamenta per la gestione criminale del territorio di Pagliarelle. Nel periodo precedente, in quella zona, era stata danneggiata l’autovettura di suo zio, tale “Ierardi”, non figurante tra gli odierni indagati. Garofalo si era rivolto a Rosario Curcio affinché potesse risalire agli autori e punirli, ma la richiesta non aveva avuto seguito. Per l’effetto si scagliava contro Cosco, che non solo non era stato in grado di identificare i responsabili del fatto, ma nemmeno aveva riferito subito l’accaduto.
Sempre in quell’occasione viene accennato al fatto che Massimo Cosco non andasse d’accordo coi fratelli. Questi veniva definito un «attaccabrighe» tanto che, veniva ipotizzata l’idea, poi non consumata, di assassinarlo una volta uscito dal carcere. «Adesso che esce questo noi come dobbiamo fare? Questo non vale…lo dovete eliminare perché non va d’accordo con i fratelli…non può andare d’accordo con voi!»
Il successivo 18 gennaio 2019, durante una conversazione, Giuseppe Garofalo esorta proprio suo zio a «secutare» (allontanare) Cosco, ribadendo il suo sdegno verso le figure dei responsabili di Pagliarelle. «A cazzo serve quello di sopra là?». L’atteggiamento, come si evince dal prosieguo della conversazione, parrebbe legato anche ad acredini del passato nei confronti della famiglia Cosco. I due discutono del contrasto con Salvatore Combierati alias “Sibillino”, della vicenda dei boschi e per ultimo, dello scontro con Floriano Garofalo che non condivideva il fidanzamento tra la sorella Lea e Carlo Cosco: «Le ha rotto le braccia, che non voleva che ti prendevi la sorella… che l’ha fatta ingessata quella ragazza…».
«A Lea?», risponde Giuseppe Garofalo, «e all’epoca [inc]…non gli ha acceso la macchina a Lea? All’epoca, a Lea, o mi sbaglio?…».
Lo zio ricorda quindi che al tempo, Lea «era sposata con lui (Carlo Cosco, ndr) quando… quando… ma quando s’erano fidanzati…[…] Lui l’ha acchiappata e le ha rotto le braccia, ha camminato ingessata…». (redazione@corrierecal.it)

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