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Covid, crolla il lavoro indipendente: 30mila professionisti in meno

L’effetto Covid accelera la crisi del lavoro indipendente che in un anno perde circa 170 mila posti di lavoro. In dieci anni crescono i dipendenti e calano gli indipendenti: il settore libero profe…

Pubblicato il: 26/01/2021 – 8:38
Covid, crolla il lavoro indipendente: 30mila professionisti in meno

MILANO L’onda d’urto provocata dall’emergenza Covid-19 si infrange in modo violento sulle libere professioni. Nei primi sei mesi del 2020, oltre 30 mila liberi professionisti (in prevalenza donne) hanno dovuto abbandonare la propria attività a causa della crisi innescata dalla pandemia, cui si aggiungono circa 170 mila lavoratori indipendenti su una platea di oltre 1,5 milioni di lavoratori autonomi bloccati dal primo lockdown (dati fino a 3 maggio 2020). Sono alcuni dei numeri presenti nel V Rapporto sulle libere professioni in Italia. L’effetto Covid accelera la crisi del lavoro indipendente che in un anno perde circa 170 mila posti di lavoro. In dieci anni crescono i dipendenti e calano gli indipendenti: il settore libero professionale regge l’urto, ma all’appello mancano circa 1 milione di giovani lavoratori. I settori professionali più colpiti sono quelli legati al commercio, finanza e immobiliare con un calo di quasi il 14% nel primo trimestre del 2020 e si registrano significative contrazioni anche tra le professioni dell’area tecnica (-5,7%) e amministrativa (-2,5%). Pesante anche il bilancio per i professionisti – datori di lavoro che nel primo trimestre del 2020 registrano una flessione del 16,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. La contrazione insiste prevalentemente nel Nord Italia (-23,9%), dove scende anche il numero di liberi professionisti senza dipendenti, e nel Centro Italia (-28,3%). In netta controtendenza il Sud Italia, dove la variazione risulta invece positiva per entrambe le componenti e a crescere è soprattutto il numero di datori di lavoro (+15,9%).
Lo stato di emergenza economica dei professionisti è confermato anche dal massiccio ricorso alle misure di sostegno messe in campo nei vari Dpcm varati durante la pandemia. Ad aprile le Casse di previdenza professionali hanno accolto oltre 400 mila domande per l’indennità dei 600 euro, introdotta dal decreto “Cura Italia”; mentre a maggio sono quasi 5 milioni le domande dei lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata pervenute all’Inps, con una percentuale di accoglimento che supera l’80%. Le categorie che hanno fatto maggior ricorso alle indennità sono gli psicologi e i geometri, con una percentuale di domande presentate superiore al 60%. Seguono gli avvocati, gli ingegneri, gli architetti, e i veterinari con percentuali intorno al 50%. Tutte le altre categorie si attestano sotto il 40%, mentre in coda, sotto il 12%, troviamo quasi tutte le professioni sanitarie e i notai. «L’impatto del Covid – 19 sul lavoro indipendente è stato pesantissimo. Nei primi sei mesi del 2020 l’intero comparto perde circa 170 mila lavoratori, di cui 30 mila sono liberi professionisti», commenta il presidente di Confprofessioni, Gaetano Stella. «Tale flessione va valutata tenendo d’occhio anche le dinamiche di lungo periodo. Per ragioni strutturali, nell’ultimo decennio il lavoro indipendente era già sotto pressione (-735 mila lavoratori circa), colpito da una silenziosa rivoluzione interna nei flussi di entrata e di uscita. Nelle fasce di età più giovani mancano all’appello quasi 1 milione di persone: un crollo solo in parte compensato dalle fasce di età più anziane e dai nuovi ingressi dei laureati (+372 mila), che di norma si vanno a collocare tra i liberi professionisti».
I PROFESSIONISTI NEL MONDO DEL LAVORO Con poco più di 1,4 milioni di unità, il comparto dei liberi professionisti costituisce nel 2019 oltre il 6% degli occupati in Italia e il 27% del complesso del lavoro indipendente. Secondo i dati Istat elaborati dall’Osservatorio libere professioni, si tratta di un aggregato in forte crescita: nel 2019 si contano quasi 300 mila professionisti in più rispetto al 2009 (+18%). Insieme alla categoria degli imprenditori, che conta numeri più contenuti, le libere professioni rappresentano l’unico segmento in crescita all’interno del lavoro indipendente, in tendenziale declino nell’ultimo decennio (- 730 mila unità). Il trend di crescita trova conferma nel contesto europeo dove la quota dei liberi professionisti passa dai poco più di 5 milioni del 2009 agli oltre 6,4 milioni del 2019 (+26,5%). Oltre la metà dei liberi professionisti risiede nel Nord Italia, dove prevalgono soprattutto le professioni scientifiche e quelle che operano nei servizi alle imprese. Tuttavia il Rapporto di Confprofessioni evidenzia la notevole crescita registrata al Sud, tra il 2011 e il 2019, delle attività veterinarie e scientifiche (+76,5%), dei servizi alle imprese (+40%) e del commercio (+23,2%). Le dinamiche a livello territoriale mostrano invece come l’aumento delle professioni socio-sanitarie interessi in modo esplosivo il Nord (+60,3%), mentre al Centro si conferma l’intensa crescita delle attività veterinarie e scientifiche (+50,2%) e socio-sanitarie (+43,3%).
L’IDENTIKIT DEL PROFESSIONISTA L’indagine condotta dal prof. Feltrin fotografa una realtà in continuo movimento dove emergono significative differenze generazionali e di genere. Tra il 2011 e il 2019 il numero dei giovani professionisti under 34 passa da 234 mila unità a 251 mila, mentre gli over 55 salgono da 270 mila nel 2011 a 435 mila nel 2019. Il contributo degli under 34 è maggiore nel settore dei servizi alle imprese (22%) e in quello delle attività scientifiche e veterinarie (20%), i professionisti con oltre 55 anni hanno invece un peso molto elevato nell’area socio sanitaria (40%) e nell’area del commercio (35%). Non solo, l’indagine di Confprofessioni mette in evidenza un marcato gap di genere, dove prevale la componente maschile: nel 2019 il 64% dei liberi professionisti sono uomini. Le donne rappresentano soltanto il 36%, ma sono più giovani (35-44 anni l’età media contro i 44-55 degli uomini) e possiedono un livello di istruzione più alto (l’80% è laureata contro il 61% dei colleghi). Un buon gender balance si registra nell’area socio-sanitaria dove la presenza femminile sale al 50% e nell’area legale con il 48%. Tra le professioni di area tecnica e nel commercio, le donne pesano solo rispettivamente il 24% e il 22%. Se si osservano i dati del primo trimestre 2020, si nota che l’Istat stima un calo del numero di liberi professionisti (-1,2%) leggermente più marcato rispetto a quello dell’anno precedente (-0,2%). La diminuzione sembrerebbe riguardare soprattutto la componente femminile (-2,6%) risultando molto più contenuta per i maschi (-0,4%). Il segno negativo è prevalentemente a carico degli under 34 (-11%), mentre la crescita maggiore si riscontra nella fascia 45-54 anni (+4%). Il titolo di studio gioca un ruolo importante nelle dinamiche del lavoro professionale. Nel 2019 l’università italiana ha laureato circa 290 mila studenti (100 mila in più rispetto al 2009), concentrati soprattutto nelle discipline “Economico-statistico”, “Ingegneria”, “Medico”, “Politico-sociale” e con una prevalenza di genere femminile (59%) rispetto a quello maschile (41%). Tuttavia, l’appeal verso la libera professione risulta piuttosto variabile. L’86% dei neolaureati nel 2019, infatti, afferma di essere “decisamente disponibile” a forme di lavoro dipendente (contratto a tempo indeterminato/a tutele crescenti, determinato, somministrazione e apprendistato), mentre solo il 28% si dice propenso a forme di lavoro autonomo e in conto proprio, soprattutto tra i laureati in psicologia e nelle discipline scientifiche e ingegneristiche. Eppure, i professionisti con laurea sembrano pagare meno lo scotto della crisi economica indotta dall’emergenza sanitaria e dal lockdown, i dati mostrano infatti un calo del 6% circa per i professionisti non laureati e del 2,4% per i professionisti con laurea. «Il dato è sicuramente correlato al tipo di professione svolta – a risentire maggiormente della crisi è stata l’occupazione nel commercio, che meno spesso richiede un titolo di studio universitario, anche nel caso delle libere professioni» spiega Paolo Feltrin, curatore del Rapporto 2020. «Al contempo è possibile ipotizzare un qualche effetto “protettivo” della laurea nei confronti dei rischi di inoccupazione, soprattutto se si considera che nell’anno precedente la variazione tendenziale è stata positiva per i laureati e negativa per i professionisti con titolo di studio inferiore».

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