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«In Calabria manca la possibilità di scegliere. E il Sud non interessa a nessuno»

La ‘ndrangheta diventata mafia globale «nella disattenzione generale». Il maxi processo Rinascita Scott («importante consentire le riprese per “capire” cosa siano diventate le cosche»). I dubbi sul…

Pubblicato il: 26/01/2021 – 13:45
«In Calabria manca la possibilità di scegliere. E il Sud non interessa a nessuno»

di Ugo Floro e Danilo Monteleone
Il maxi processo Rinascita Scott e l’esigenza di portare le telecamere in aula bunker per “capire” la ‘ndrangheta. Le gestioni commissariali che finiscono per dipingere la Calabria come una terra senza speranza. E i clan che minacciano il mondo dopo anni di disinteresse nei loro confronti. Roberto Saviano concede un’intervista al Corriere della Calabria e spazia dalla cronaca del momento all’orizzonte più vasto del futuro di una regione alla quale, dice, «manca la scelta».
È partito a Lamezia Terme il più grande processo alla mafia dell’era recente, quello originato dalla Maxi inchiesta Rinascita Scott. Il procuratore Gratteri afferma che questa occasione servirà anche a capire l’evoluzione della ‘ndrangheta e delle mafie in genere. Lei cosa ne pensa?
«Penso che sia importante consentire le riprese all’interno dell’aula bunker. Se il paragone è con il maxiprocesso di Palermo, allora dobbiamo interrogarci sull’importanza della testimonianza, e non solo a futura memoria. Dei processi non deve interessarci solo la parte mediatica relativa agli arresti e quella finale che si concretizza in condanne o in assoluzioni. Ciò che in un processo penale è di fondamentale importanza è la parte dibattimentale. Quando vivevo a Napoli seguivo in aula i processi ai clan di camorra, per me quelli erano momenti irrinunciabili, direi fondamentali per conoscere e capire la realtà in cui vivevo. Certo, esistono gli atti processuali, ma diciamoci la verità, chi è davvero in grado di leggerli, di comprenderli, di interpretarli? Si tratta spesso di faldoni di migliaia di pagine… È evidente che il supporto audiovisivo resta il modo migliore perché si possa creare un dibattito vero attorno a temi che sono di vitale importanza per la capacità che le organizzazioni criminali hanno di condizionare le nostre vite. Alla fine di questo processo – e solo allora – avremo una chiave di lettura fondamentale per comprendere l’evoluzione della ‘ndrangheta, che è senz’altro oggi la mafia più temibile sul nostro territorio».

L’aula bunker nell’area industriale di Lamezia Terme

«Dieci anni di gestione commissariale della sanità calabrese senza direzione politica sono stati peggio che avere le ‘ndrine direttamente al comando». L’affermazione è sua in un articolo su Repubblica, sbagliamo o sottotraccia c’è anche una chiara indicazione e cioè che la mancata garanzia di diritti fondamentali come la salute e le pessime figure che minano l’autorevolezza dello Stato a queste latitudini sono benzina sul fuoco dell’illegalità, delle organizzazioni criminali, delle scorciatoie che alimentano la cultura mafiosa?
«È assolutamente così. La sensazione, anzi la certezza che alle nostre latitudini nulla vada come deve andare, che tutto avvenga seguendo la strada della gestione straordinaria è mortale perché di fatto sospende tutto. Tutto viene rimandato a un momento futuro e quindi la presa in carico non avviene mai nel momento presente, quando serve, quando c’è l’urgenza. Dieci anni di gestione commissariale sono un abominio perché uccidono nella culla qualsiasi movimento che possa nascere dal basso di rinascita, di rinnovamento. Dieci anni di gestione commissariale ci dicono questo: per la Calabria non c’è speranza, per la Calabria non c’è più nulla da fare. Tutto questo, oltre ad avere un impatto profondamente negativo sulla gestione di settori cruciali, ha anche come ricaduta una mancanza di fiducia endemica e la presa di coscienza da parte della cittadinanza che per avere un futuro due sono le strade: scendere a patti con il vero potere o emigrare».
Lei ha proposto, tesi sostenuta anche dal nostro giornale, che il passo essenziale per una “ripartenza” sia l’azzeramento del debito sanitario causato dalla gestione commissariale. Francamente pensa davvero che il Governo, protagonista dello spettacolo a tratti indegno sulla scelta dei commissari, abbia volontà e forza per intestarsi una scelta politica che certifica il fallimento di dieci anni di gestione straordinaria?
«Ovviamente no, soprattutto in questa fase. Stiamo assistendo a uno spettacolo indegno: mentre il paese attraversa una fase durissima, con centinaia di migliaia di persone che ancora non hanno ricevuto la cassa integrazione dallo scorso marzo, viviamo una crisi di governo di cui nessuno realmente si spiega le ragioni, se non ovviamente per motivi che prescindono dagli interessi della collettività. Quindi no, non credo ci siano le capacità di assumere una scelta tanto importante, e credo anche che non ci sia la volontà di trovare risorse per il Sud, bacino di voti, ma zavorra di cui, ogni politico, dopo l’incasso alle elezioni, si libererebbe volentieri».
E peraltro, ci si passi il parallelismo, c’è un effetto indotto particolarmente grave; la gestione commissariale che doveva risolvere il problema lo ha invece ingigantito con il risultato di rimuovere nella consapevolezza collettiva i disastri della politica regionale del passato, un po’ come accade con le confische delle aziende, scelta giusta ma che se non è seguita dalla salvaguardia delle imprese e dei posti di lavoro si trasforma in un boomerang.
«È proprio così, è per questo che parlavo di un tempo sospeso che anestetizza tutto e dà la sensazione che per risolvere il problema ci sia sempre tempo. Anche perché ormai è come se ci bastassero e ci appagassero i proclami, le promesse, le dichiarazioni di intenti. Poi quando ci ricordiamo che l’unica fonte di liquidità sono le organizzazioni criminali, è come se ci svegliassimo da un sogno per tornare a una realtà da incubo».
«In Italia due organizzazioni criminali sono identificate, ed è significativo, con il luogo di nascita; è accaduto a Corleone ed a Casal di Principe, corleonesi e casalesi divenuti oggetto di attenzione e repressione. I primi sull’onda delle stragi, i secondi anche grazie alla sua narrazione che, è bene ricordarlo, le costa una vita non semplice. Come è stato possibile che mentre ciò accadeva la ‘ndrangheta, silente e nell’ombra, divenisse un mostro nazionale, con tentacoli internazionali e camminasse a braccetto – da pari a pari – con i sanguinari cartelli della droga? Cosa è mancato? Distrazione imperdonabile o complicità diffuse?»
«Sarebbe più interessante, più pittoresco e anche più facile parlare di complicità diffuse – complicità che, a vari livelli, come hanno dimostrato le tantissime inchieste culminate in avvisi di garanzia, arresti, processi e condanne, ci sono state – ma devo dire che la spinta propulsiva maggiore alla crescita economica della ‘ndrangheta l’ha data la disattenzione generale, il silenzio, la constatazione che il Sud non interessa a nessuno, forse nemmeno a chi ci vive. Quando non si versa sangue, quando non si spara, quando non si muore, quando non ci sono collaboratori di giustizia è assai difficile convincere i media a occuparsi di una organizzazione criminale che sceglie un basso profilo. La criminalità organizzata esiste solo se miete morti, se fa stragi: è il sangue ad attirare le telecamere. La strage di Duisburg non ha solo fatto comprendere all’opinione pubblica internazionale che la ‘ndrangheta è una mafia internazionale, ma ha avuto un effetto deflagrante soprattutto in Italia. Se la ‘ndrangheta versa sangue in Germania, se fa affari in Germania, quanto potente è? E come è stato possibile non essersene accorti per decenni? Ecco perché è di vitale importanza consentire che i processi vengano ripresi, che si possa avere l’opportunità di vederli, di studiarli, di analizzarli soprattutto ora che, causa pandemia, ci sono limitazioni nell’accesso ai palazzi di giustizia».

La Calabria tornerà presto al voto e da decenni si appalesano, nelle inchieste, i legami tra politica e ‘ndrangheta. Non pensa che forse in Calabria sia mancato il ruolo degli intellettuali, quelli per intenderci che si impegnano non per riscuotere consenso ma per alimentare domande, per diffondere dubbi, per lumeggiare quelle situazioni oscure che impediscono una piena consapevolezza nelle scelte degli elettori?
«Io credo che in Calabria siano mancati investimenti, solo quelli portano consapevolezza e offrono possibilità di scelta. In Calabria, come in Campania, come in Sicilia, come in Puglia, manca la scelta. E la migliore delle decisioni, per se stessi intendo, sembra andar via, provare a realizzarsi altrove. Scendere a compromessi altrove, ché i compromessi, in terra di criminalità organizzata, non sono accettabili. Gli intellettuali servono a raccontare cosa accade, ma come posso dimenticare cosa accadde quando raccontai su Raitre nel 2010 nella trasmissione “Vieni via con me” le ramificazioni della ‘ndrangheta al Nord? Si raccolsero firme contro di me che diffamavo il Nord, si misero in discussione le mie parole; per carità, è legittimo discutere un’opinione, ma in quel caso tutto era materia di indagine, e presto arrivarono le condanne. Gli intellettuali a cosa servono se diventano i parafulmini della politica? Se vengono utilizzati per polarizzare l’opinione pubblica? Non mi sono pentito del lavoro che ho fatto, non lo considero inutile, ma non posso fare a meno di osservare con quanta facilità nel nostro Paese le denunce vengano archiviate da tutti, o peggio: quando non è possibile distrarre l’opinione pubblica da un fatto, si cerca di demolire chi lo ha raccontato».
“Gridalo” è il titolo del suo ultimo lavoro edito da Bompiani. “E’ una mappa – questa la definizione in apertura – si legge fatta di storie, che non vogliono insegnarci niente, tanto meno a non sbagliare. Ma una cosa la pretendono: aprirci gli occhi”. E poi proprio nelle primissime pagine c’è una citazione illuminante di Primo Levi “Scrivo quello che non saprei dire a nessuno” – cosa aggiunge “Gridalo” al suo profilo di scrittore in prima linea? E quanto i libri, la letteratura, le opinioni degli intellettuali possono aiutarci nel titanico sforzo di rendere l’Italia un Paese normale, libero dalla morsa della criminalità organizzata, del divario economico e sociale, delle disuguaglianze?
«Non vorrei dare un’impressione sbagliata: credo che la letteratura, la denuncia, il racconto siano fondamentali, ma di fatto depotenziati se una terra è in piena emorragia, emorragia di persone, soprattutto. Servono investimenti e visione, visione politica. Serve un movimento che sia sì culturale, ma anche concreto. Ho come la sensazione che le persone non ne possano più delle parole. Come dargli torto!». (redazione@corrierecal.it)

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