CATANZARO Fino a qualche giorno fa Teresa Merante e le sue “canzoni di malavita” erano sostanzialmente sconosciute al grande pubblica. La folk singer originaria di Simeri Crichi aveva il suo robusto seguito su YouTube. Poi è arrivato un articolo di FanPage e, con esso, le polemiche sull’opportunità di cantare le “gesta” dei mafiosi. Segue risposta della casa discografica (vi abbiamo raccontato tutto qui) e immancabile dibattito, con tanto di iniziativa parlamentare del Movimento Cinquestelle per istituire il reato di apologia della criminalità.
Oggi, dopo tanto trambusto, Merante interviene per commentare. Si difende, promette che della faccenda non parlerà più e annuncia di essersi rivolta allo studio legale Loiero per tutelare la propria immagine.
«Sono costretta ad intervenire con questa breve comunicazione scrive – per difendere la mia persona, prima ancora del mio amato ruolo di cantante folk, dai molteplici attacchi mediatici e minacce di querele che in questi giorni hanno imperversato su tutte le testate nazionali e locali. Improvvisamente, infatti, scopro di essere stata etichettata come cantastorie della malavita, come divinatrice dei boss e al servizio della mafia, per alcuni brani della tradizione calabrese da me rivisitati e pubblicati sui social e sulla mia pagina Youtube».
«Ho provato a chiarire le mie intenzioni con un video su Facebook – continua la cantante – ma ciò non è bastato a placare l’accanimento di quanti avevano già individuato il loro capro espiatorio, poco importando che tutto ciò potesse provocare,come di fatto è avvenuto, un clima di livore e di minacce nei miei confronti».
Merante dice di non voler alimentare ulteriori polemiche, «ma per amor di verità, sento il bisogno di ribadire alcuni aspetti sui contenuti delle mie interpretazioni musicali. Le canzoni sotto accusa, infatti, derivano da una lunga tradizione folkloristica che spesso si basa su storie di vissuto popolare, anche delinquenziale, di cui ho soltanto riadattato le melodie. Cancellare quel vissuto, a mio avviso, significa dimenticare quanto questa terra abbia sofferto, nel bene e nel male la memoria va sempre custodita. Non potevo lontanamente immaginare che un testo risalente agli anni 70 potesse sollevare tutta questa indignazione per una mia semplice reinterpretazione».
«Quanto alla canzone sul “Capo dei Capi” – prosegue la nota –, di cui ho scritto testo e musica, ho voluto solamente raccontare in note quella che era stata la rappresentazione della famosa fiction televisiva. E qui mi chiedo quale sia la differenza tra le diverse serie tv che hanno avuto e hanno ancora come protagonisti mafiosi e camorristi, trasmesse sulle più importanti reti televisive, e le mie canzoni oggi sotto accusa. Credo siano forme diverse di rappresentare e descrivere un fenomeno criminale, non certo di avallarlo. Le frasi incriminate sono parte di quel racconto, la cruda ricostruzione di uno spaccato della triste storia criminale che ha dilaniato la mia terra e non solo. Ma raccontare non significa condividere o considerare valore ciò che con tutta evidenza non lo è».
«Sono innamorata della musica tradizionale da quando ero bambina – continua Merante – e da allora non ho mai smesso di ascoltarla e, con il passare degli anni, a provare ad interpretarla. Nel mio percorso di cantastorie ho potuto calcare anche diversi palcoscenici in tutta la Calabria ricevendo affetto e calore per la mia musica. Considerare queste persone, i migliaia di follower che mi seguono sui vari social e me, accomunati dalla passione per la musica popolare, come simpatizzanti della malavita equivarrebbe ad affermare che tutta la Calabria sia malavitosa per il fatto che esista, purtroppo , la ‘ndrangheta sul suo splendido territorio. Accetto le critiche, anche le più aspre, non certo il pregiudizio e la generalizzazione. Non ho mai inneggiato nessuno, se non il mio amore per la musica popolare di cui vado fiera. Non era certo questa la notorietà che sognavo. Se ho commesso degli errori, se ho ferito la sensibilità di qualcuno sono anche disposta a mettere da parte questi brani o i passaggi più controversi, ma non accetterò più passivamente ulteriori minacce ed insulti».
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