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«C’è una speranza per i nuovi ospedali calabresi»

di Ettore Jorio*

Pubblicato il: 30/01/2021 – 7:16
di Ettore Jorio
«C’è una speranza per i nuovi ospedali calabresi»

La Sezione centrale di controllo della Corte dei conti sulla gestione delle amministrazioni dello Stato ha adottato il 12 gennaio 2021 (relatore Oliviero), e quindi in tempi di pieno disagio Covid, una deliberazione (n. 2/2021/G) con la quale ha messo il dito nella piaga di una sanità che arranca da tempo. Alza il cartellino giallo su un sistema salutare in piena difficoltà nel trasformare, uniformemente, gli investimenti e i progetti in realtà strutturali ospedaliere godibili dalla collettività, su una ingiustificata asimmetria nel garantire la salute ai cittadini, sul reiterato sottoutilizzo delle risorse umane e organizzative del servizio sanitario nazionale e sugli sprechi e i fiumi di denaro pubblico convogliati verso il privato. Quindi, sottolinea la lentezza, la inadeguatezza, l’inefficienza, l’inefficacia e l’intempestività che hanno caratterizzato la sanità italiana nello sviluppo degli investimenti in termini realizzativi così come pure dell’adozione delle misure utili ad affrontare la pandemia, che ha causato tanti morti quanti ne conta una media città capoluogo di provincia.
Una difficile e difforme traduzione degli investimenti stanziati in strutture funzionanti
Dal Rapporto del Giudice dei controlli sugli «Interventi di riorganizzazione e riqualificazione dell’assistenza sanitaria nei grandi centri urbani» ne esce un Paese che non riesce a fare affatto bene il suo «mestiere» di garante della tutela della salute. Che, conseguentemente, si è reso titolare di qualche responsabilità di troppo nell’affrontare l’aggressione del Sars-Cov-2, oltre che nell’adempiere alle ordinarie attività che avrebbero dovuto portare a buon fine i piani straordinari, per l’appunto, di realizzazione degli interventi programmati per riorganizzare e riqualificare la rete ospedaliera nazionale.
Dalla scansione dei valori di utilizzo delle risorse straordinarie, rese disponibili nel settennio 1999/2006, finalizzate a uniformare sul territorio nazionale l’erogazione dei livelli di assistenza ospedaliera, esce uno spaccato preoccupante. Non solo riguardante la differenza realizzativa tra le iniziative concretizzate nella grandi aree del centro-sud e quelle del nord – con forte saldo negativo delle prime rispetto alle seconde e con un gap di impiego produttivo superiore ad 1,2 miliardi di euro sull’importo stanziato, che rendiconta una perdita di 44 opere su 302 finanziate (delle quali solo 206 concluse e 19 neppure iniziate) – ma anche caratterizzata dall’inappropriatezza della programmazione edilizia e di implementazione tecnologica di periodo indispensabili per affrontare al meglio la lotta alle prevedibili ulteriori aggressioni virali che il futuro ci riserverà.
Quanto all’ammodernamento tecnologico, è stato rilevato un penoso differenziale negativo tra le regioni del sud nei confronti di quelle del nord relativamente – solo per fare un esempio – a piattaforme di chirurgia robotica e a ventilatori polmonari, la cui penuria ha causato un forte disagio nell’affrontare efficacemente la lotta anti-pandemica. Un risultato negativo, questo sottolineato nell’attenta analisi del Giudice contabile, che ha contribuito alla determinazione del caro prezzo che ha pagato la collettività nazionale, in un anno di attacco pandemico, in termini di decessi e di infettati da Covid 19, in relazione ai quali è difficile stimare l’eventuale seguito invalidante, in quanto tale incidente anche sul sistema previdenziale anche non contributivo.
Preoccupanti anche le differenze rilevate sugli stati di avanzamento delle opere in corso e le difformità evidenziate nell’utilizzo delle risorse ai diversi livelli regionali, così come è stato sottolineato un difetto di leale collaborazione nella gestione tra i diversi livelli istituzionali dei fondi ad hoc di provenienza statale, soprattutto riferito alla necessità di interscambiare, a livello di aziende ospedaliere, l’utilizzo del personale specificatamente tecnico. Un vulnus determinatosi per l’intervenuta abdicazione dello Stato alle sue funzioni istituzionali, atteso che si è limitato – così facendo – a svolgere il ruolo di «mero finanziatore» del sistema regionale, quasi di semplice erogatore delle somme stanziate, piuttosto che esercitare prioritariamente gli ineludibili compiti di coordinamento, vigilanza e controllo funzionali a stimolare le Regioni a portare celermente a buon fine i programmi nelle migliori condizioni realizzative.
Incentivare il pubblico e la burocrazia territoriale
La Sezione centrale di controllo – oltre che intervenire, in termini di sensibilizzazione, sulla riduzione delle liste di attesa e di coordinamento per le valutazioni delle metodiche da introdurre relativamente alle tecnologie sanitarie più avanzate (HTA) – è andata giù pesante sulla esigenza di assicurare correttezza e veridicità dei conti del servizio sanitario nazionale, mediante una accurata certificazione dei bilanci. Ciò anche nella verosimile consapevolezza che nel post-Covid19 diverse Regioni saranno naturalmente sottoposte e dunque chiamate al rispetto di piani di rientro, considerati i conseguenti inasprimenti dei costi di esercizio.
In proposito, ha sollecitato l’introduzione di una nuova disciplina, implementativa di quella vigente, relativa ai compiti assegnati all’Agenas di assistenza tecnico-contabile alle Regioni, per l’appunto, in piano di rientro e agli enti componenti i sistemi regionali della salute. Ciò al fine di evitare l’ingiustificata spesa sostenuta sino ad oggi per acquistare da privati forniture di servizi in tal senso.
A tal uopo, la Corte dei conti ha stigmatizzato – eventualmente nell’ottica di incentivare la qualità delle prestazioni istituzionali rese dai revisori interni aziendali e di quelli regionali autentici guardiani, per norma e per contratto, della formazione del bilancio consolidato comprensivo di quello della salute – quanto accaduto sul tema a partire dal 2007. Una particolarità, che ho peraltro avuto modo di evidenziare in diverse occasioni e sedi, determinatasi a seguito della stipulazione, divenuta seriale, di fornitura di servizi di advisor contabile, originariamente perfezionatasi all’epoca con la società di consulenza Kpmg Spa, al tempo indicata dal Ministero delle finanze senza ricorrere ad alcuna procedura agonistica comparativa. Una attività contrattuale successivamente reiterata, con ricorso a gara ad evidenza pubblica, per molti versi molto limitata quanto a condizioni di accesso, con la medesima società in raggruppamento temporaneo di imprese (RTI) conclusesi in specifiche edizioni procedurali negli anni 2011, 2014 e 2018 per un valore complessivo di 85 milioni di euro.
A ben vedere, un evento che ha, tra l’altro, comportato costi di esercizio milionari a fronte di servizi non erogati ovunque con modalità e prodotti non sufficientemente adeguati alle esigenze, segnatamente al di sotto delle naturali aspettative che erano quelle di pervenire alla certificazione dei corrispondenti bilanci di esercizio.
La Calabria che si spera (finalmente) alla svolta
Quanto avvenuto in Calabria è sintomatico e dimostrativo delle ragioni poste a fondamento del rilievo rappresentato, a proposito di ritardi realizzativi di strutture ospedaliere, nel Rapporto della Corte dei conti.
Ospedali finanziati e neppure iniziati, con ritardi superiori al decennio nonostante i quattrini milionari in tasca. Dunque, ancora a bocca asciutta Gioia Tauro, Vibo Valentia e la Sibaritide. Chissà per quanto. Per non parlare di quello di Catanzaro, oramai messo da parte, e quello di Cosenza, sino ad oggi solo idealizzato, nonostante l’esigenza.
Da qui, il decreto Calabria 1 (DL 35/2019) nei confronti del quale, a proposito di realizzazioni ospedaliere, la Corte dei conti precisa che «per ottemperare a quanto previsto dall’art. 6, comma 3, del D.L. 30 aprile 2019, n. 35, la regione, con decreto del c.a. n. 5 del 7 gennaio 2020, ha approvato il “Piano triennale straordinario di edilizia sanitaria e di adeguamento tecnologico della rete di emergenza, della rete ospedaliera e della rete territoriale”». Un programma nei confronti del quale Ministero della salute, con nota del mese di settembre 2020, ha tuttavia individuato alcuni aspetti critici, in relazione ai quali ha chiesto approfondimenti. Più esattamente, ha rivendicato indicazioni specifiche sul quadro dell’insieme realizzativo allo scopo di valutare la coerenza e l’utilità degli investimenti programmati.
Al riguardo, il neo nominato commissario ad acta, tra gli innumerevoli adempimenti posti in essere dal D.L. 150/2020, convertito nella legge 181/2020, è chiamato a licenziare, entro fine febbraio, il proprio Piano triennale straordinario di edilizia sanitaria e di adeguamento tecnologico della rete di emergenza, della rete ospedaliera e della rete territoriale della regione. Un atto dal quale la Calabria pretenderà giustizia strutturale e, dunque, erogativa che il prefetto Guido Longo – unitamente al direttore generale Francesco Bevere e con il sicuro benestare del ministro Speranza – avrà modo di assicurare, prima che nei tempi assegnati attraverso una corretta programmazione degli interventi, cui poi assicurerà la necessaria velocità realizzativa. Quanto agli anzidetti ospedali, in cerca di realizzazione, farà in modo che i relativi progetti dovranno essere adeguati con la neointrodotta normativa antisismica e del DM 70/2015, che imporranno la rivisitazione dei anzidetti ospedali progettati.
*docente Unical

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