ROMA A fronte di un Paese in deflazione, con un calo dei prezzi dello 0,2% nel 2020, alcune città hanno registrato in media d’anno aumenti considerevoli su alcuni gruppi di prodotti, con notevoli disparità territoriali. È quanto emerge dallo studio condotto dall’Unione Nazionale Consumatori sulle città con i maggiori rincari o ribassi del 2020 per i principali beni e servizi, sulla base dell’inflazione media rilevata dall’Istat. Il capoluogo che nel 2020 ha il maggiore rialzo per quanto riguarda i prodotti alimentari è Caltanissetta con un’inflazione pari a +4,2%, al secondo posto Trieste, Grosseto e Trapani (tutte a +3,1%), poi Perugia con +2,9%.
Dall’altra parte della classifica Parma, unica città in deflazione, -0,1%, poi Siena con +0,1% e al terzo posto Macerata, +0,3%. La media italiana è +1,5%, pari ad un incremento della spesa alimentare, senza bevande, di 77 euro per una famiglia tipo. Tra le grandi metropoli si segnala Genova, in settima posizione con +2,6% e, sull’altro fronte, Milano, quarta tra le migliori con +0,5%, un terzo del dato italiano.
Per i servizi ambulatoriali, ossia visite mediche specialistiche, servizi dentistici e paramedici, come la fisioterapia, la città peggiore d’Italia è Cosenza, +5,1%, poi Trapani, +4,6%, al terzo posto Vicenza, +2,8%. Le migliori Lodi (-0,2%), Cagliari, Ferrara e Aosta (-0,1% per tutte). Terze, con una variazione nulla, tra le altre, Milano e Napoli. La media italiana è +0,9%. Tra le cattive, Genova, 5° con +2,2% e Bari e Bolzano, ottave con +2%.
La scuola dell’infanzia e istruzione primaria è una batosta per chi abita a Forlì-Cesena (+6,3%), Bolzano (+6,1%), Cosenza e Catanzaro (entrambe +5,4%). Risparmi, invece, anche se contenuti, per chi abita a Trieste (-1,6%), Lecco (-1,3%) e Ancona (-1%). In Italia la media è +1,4%. Limitati, causa Covid, i rincari dei servizi di ristorazione, ossia ristoranti, pizzerie, bar, pasticcerie, prodotti di gastronomia e rosticceria. Al primo posto Grosseto (+3,7%), al secondo Pordenone (+3,3%), al terzo Trapani (+3,1%). Inaspettatamente, però, in deflazione ci sono solo Bergamo (-0,7%) e La Spezia (-0,2%).
«Evidentemente – commenta l’Unc – quando i ristoratori hanno potuto riaprire, non hanno abbassato i prezzi che in media nazionale segnano anzi un +1,2%, incidendo sul bilancio di una famiglia per 16,50 euro, chiusure a parte». Le cose vanno ancora diversamente per i servizi di alloggio, ossia alberghi, pensioni, bed and breakfast e villaggi vacanze. Per via del lockdown e del crollo della domanda turistica, ben 42 città su 68 sono in deflazione. Il record per Venezia, dove i listini degli alberghi precipitano nel 2020 del 10,4%, al secondo posto Trapani, -8,5%, al terzo un’altra città turistica per eccellenza, Firenze con -7,6%.
Preoccupanti infine, vista l’emergenza sanitaria, i rialzi dell’assistenza sociale che comprende case di cura per anziani, nidi d’infanzia e servizi di assistenza a domicilio. Le città peggiori sono Messina (+4,6%), Pescara (+4,5%) e Vicenza (+4,1%).
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