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«L’irresistibile voglia di essere sculacciati dei calabresi»

Viene assunto a vizio calabro l’orgoglio, ed è un falso. C’è stato l’orgoglio, quando non era vizio ma consapevolezza, lotta, resistenza, rifiuto dell’omologazione. Poi l’orgoglio è diventato il pe…

Pubblicato il: 01/02/2021 – 12:18
di Gioacchino Criaco*
«L’irresistibile voglia di essere sculacciati dei calabresi»

Viene assunto a vizio calabro l’orgoglio, ed è un falso. C’è stato l’orgoglio, quando non era vizio ma consapevolezza, lotta, resistenza, rifiuto dell’omologazione. Poi l’orgoglio è diventato il petto gonfio d’aria, la tigna ipocrita; nella realtà i calabresi, i più, sono proni a qualunque lezione, che arrivi da fuori naturalmente, con l’accettazione della critica e dello sberleffo, l’inno è il “c’ha ragione”, naturalmente lo si pensa sempre riferito agli altri calabresi, il calabrese prono si esclude. Rimane in vita l’orgoglio stupido, la tigna di massa che di tanto in tanto si esercita contro qualche pernacchia che ci fanno, rari tentativi di tenerci in vita, simili ai linciaggi, crepitii d’istinti. Non di ragionamenti. Sono, i calabresi, alla mercé del primo che passa, come tutti i popoli vinti, i territori occupati. Spalancati al nuovo, che spesso è la novità peggiore, e chiusi agli scatti in avanti, a quelli effettivi. È una tentazione quasi invincibile a farci redarguire, a sorbirci lezioncine su ciò che da noi non va, che poi è quasi tutto, e la disfunzione quasi sempre vera, anche se spesso gonfiata ad arte, anche se spesso identica a una magagna d’altrove. E la fine vera di un popolo, la perdizione definitiva che infigge la mutazione genetica, che fa diventare altri, è la pronazione. L’opposto dell’umiltà, del predisporsi a capire. Questo è il punto più basso raggiunto dalla Calabria, non l’arretratezza, i servizi scarsi, la povertà diffusa. Il guaio peggiore è l’attesa del consiglio, che arriva sempre sotto forma di ramanzina esplicata in un confronto: un paragone con qualcosa di lontano che è sempre migliore del nostro. Così quando siamo proprio spalle al muro tiriamo fuori la Magna Grecia, pure se i suoi protagonisti non li conosciamo; facciamo sorgere il sole, tremolare il mare e innalzare i monti; ma subito ci spiegano quanto non li sappiamo curare, e svelti diciamo che è vero, “che sì, se questi beni li avessero gli altri, quelli che ne capiscono, sai la ricchezza”. Noi in realtà non andiamo avanti per mancanza di consigli, che su quello dovremmo puntare, su dei dispensatori di consigli professionali, per fatti pubblici ma che anche nel privato ci cominciassero le giornate e ci portassero per mano ad attraversare le ore. Che voglia, consigliati istante per istante, redarguiti alla bisogna. Noi gli diamo le braccia, i cervelli, gli portiamo a domicilio la linfa giovane. E loro ci danno i consigli. Loro si prendono i nostri sforzi, gli spasmi di gonadi antiche. Noi, felici ci becchiamo le lezioni. La capitolazione definitiva è questa. Che, avendo quei gusti politici, saremmo capaci di dire pure che Fontana è meglio di Spirlì.
*scrittore

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