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Scilla e Cariddi

La cosca dello Stretto e «il numero uno della Caronte»

Massimo Buda è il figlio di Santo, ritenuto esponente di spicco della cosca “Buda-Imerti”. Destinatario di una misura di prevenzione, si era fatto strada nella società a suon di intimidazioni

Pubblicato il: 03/02/2021 – 18:18
di Francesco Donnici
La cosca dello Stretto e «il numero uno della Caronte»

REGGIO CALABRIA Una delle operazioni più importanti su scala nazionale stante la mole dei capitali coinvolti. Così è stata definita “Scilla e Cariddi” condotta da Dda di Reggio Calabria e Direzione Investigativa Antimafia. Oggetto principale del provvedimento emesso dal Tribunale di Reggio Calabria – sezione misure di prevenzione, è l’amministrazione giudiziaria (per sei mesi) dei beni della “Caronte&Tourist Spa” infiltrata da alcuni soggetti ritenuti socialmente pericolosi, già noti alle cronache giudiziarie. Tra questi spicca il nome di Massimo Buda, classe ’78, figlio di Santo Buda ritenuto uno degli esponenti di spicco della cosca “Buda-Imerti” egemone sul territorio di Villa San Giovanni. L’odierno provvedimento contiene infatti una misura di prevenzione reale sui beni dello stesso Buda a fronte degli accertamenti patrimoniali condotti dalla Guardia di finanza che hanno portato a dimostrare la sproporzione tra i guadagni dichiarati e alcuni investimenti (ritenuti frutto di attività illecite) da parte del “proposto”.
Alla base del provvedimento c’è una prospettazione storica ed attuale del grado di contaminazione del colosso del trasporto via mare da parte delle cosche. Strumenti dell’infiltrazione mafiosa sarebbero stati gli esponenti e le imprese riferibili ai “Buda-Imerti”, consorteria organica alla ‘ndrangheta calabrese.

La cosca Buda

Di questo gruppo criminale si trova traccia già nel procedimento “Olimpia” dove, nel 1999, la Corte d’assise aveva riconosciuto il ruolo apicale di Antonino Imerti detto “Nano Feroce”. Sarà dal suo ferimento, il 10 ottobre del 1985, che deriverà la “seconda guerra di ‘ndrangheta” culminata nell’agguato e uccisione di Paolo De Stefano da parte dell’alleato Domenico Condello.
I “Buda-Imerti” escono vincitori dallo scorto per il territorio con la cosca “Zito-Bertuca”.
L’evolversi degli eventi porta ai procedimenti “Meta” e “Sansone” dove non soltanto viene conclamata l’esistenza e l’egemonia della cosca nell’area dello Stretto, ma vengono anche tracciati alcuni profili chiave. Tra questi Santo Buda, classe 44, cugino di Antonino Imerti, condannato nel processo “Olimipia” perché ritenuto soggetto con «compiti di direzione ed organizzazione del sodalizio, investito del ruolo di cerniera tra i vertici della cosca ed il territorio».
Il figlio, Massimo Buda, scrive l’organo proponente: «Sebbene formalmente incensurato, è risultato fidato collaboratore del padre Santo, nell’ambito di una attività volta al raggiungimento di comuni obiettivi criminali». Gli inquirenti riportano a titolo esemplificativo alcune vicende tra cui quella risalente al 2008, in cui lo stesso Massimo Buda s era attivato «per organizzare un incontro riservato del padre con Pasquale Bertuca, storico capo dell’omonima cosca villese, detenuto in regime di 41-bis e già condannato nel processo “Meta” e da ultimo in “Sansone”». Il summit che Massimo Buda avrebbe organizzato, in quella circostanza, sarebbe servito «a mettere in contatto i due massimi esponenti della criminalità organizzata locale» al fine di «gestire i reciproci interessi criminali».
All’epoca, il giovane Buda era dipendenti della Caronte&Tourist con la mansione di capo piazzalista del molo Norimberga di Messina. Nelle dinamiche aziendali che portano fino alla data odierna, Buda riuscirà a farsi strada attraverso un ricorso quasi sistematico alla violenza e all’intimidazione.
Altro profilo di interesse è quello di Domenico Passalacqua, anche lui condannato in “Meta” quale componente dei “Buda-Imerti” in quanto «imprenditore al servizio della cosca, operante non secondo logiche di libero mercato, ma nel rispetto delle dinamiche oligopolistiche di tipo mafioso».
Secondo le dichiarazioni rilasciate al tempo dal collaboratore di giustizia Rocco Buda, Passalacqua sarebbe stato assunto presso la Caronte «grazie all’intercessione di Giuseppe Stracuzza, ex sindaco di Fiumara, nonché “pezzo grosso” della società occupandosi del controllo delle biglietterie e molto vicino ai Matacena».
Le figure riemergono nella misura odierna anche grazie alle dichiarazioni dei nuovi collaboratori di giustizia Giuseppe Liuzzo e Vincenzo Cristiano, ritenuti credibili dalla procura. Questi ribadiscono «l’esistenza di legami tra la “Caronte Spa” della famiglia Matacena e le ‘ndrine reggine». Ruolo nevralgico nei rapporti tra la cosca “Imerti” e la “Caronte” secondo queste nuove deposizioni, avrebbero rivestito proprio Domenico Passalacqua e Santo Buda. Un rapporto che sarebbe proseguito anche dopo la fusione, come raccontato dal “pentito” Liuzzo: «[I rapporti] sono continuati, nessuno si è lamentato anche se c’è stato quel cambiamento».

Massimo Buda, «il numero uno della Caronte»

Il giovane Buda viene assunto nella “Tourist Ferry Boat Spa” nel 2001, società confluita nella “Caronte&Tourist Spa” a seguito della fusione. Qui lavorerà fino al 2004 quando transita nella “Servizi Normberga Scpa” (partecipata dalla Caronte). Dopo l’esperienza nella “New TTTLines Srl”, torna alla “Caronte” nel 2018 dove presta servizio fino alla data odierna.
Ma il figlio di Santo Buda, come dimostra anche l’ammontare dei compensi a lui destinati da parte della società, non era considerato un dipendente come tutti gli altri. In cambio, scrive l’organo proponente «questi contraccambiava con la risoluzione di “controversie”, sia nei confronti di altri dipendenti poco inclini ad ottemperare alle direttive aziendali, che nei confronti di utenti (soprattutto gli autotrasportatori) indisciplinati».
Massimo Buda veniva quindi «utilizzato proprio per suoi metodi “persuasivi” in tutti i porti di interesse della Caronte&Tourist» come lo stesso racconta in una captazione del 26 ottobre 2015, quando spiega al comandante come avesse rimesso in riga un camionista: «l’ho spaccato in due, penso che si ricorda fino che campa».
Massimo Buda era diventato «il capo del piazzale» assumendo il ruolo di «terrore dei camionisti» attraverso un atteggiamento, secondo gli inquirenti, condiviso anche dai vertici della società «ed in particolare da Calogero Famiani, procuratore speciale della società, che dimostrava finanche apprezzamento».
Non solo. Risulta infatti «che il gruppo Caronte&Tourist, attraverso i suoi manager, lo utilizzava per incutere timore e sul personale e sull’utenza». Buda, scrive l’organo proponente, «poteva inoltre scegliere per questo fine dei collaboratori in grado di agire coi suoi stessi metodi», che lo sostituivano in caso di assenza.
Viene quindi nominato ispettore con l’avallo dei vertici societari identificati dall’organo proponente nel manager Rosario Donato, appunto Calogero Famiani e dal consigliere Nino Repaci. Grazie al nuovo ruolo, Massimo Buda comincia a imporsi anche nei confronti degli autotrasportatori.
E che Rosario Donato fosse a conoscenza della provenienza familiare di Buda, secondo l’organo proponente, emerge da una conversazione risalente ad agosto 2007, quando lo stesso Buda – che si rallegrava per il lieto evento – gli comunica l’avvenuta scarcerazione del padre. «Risulta inoltre – scrivono gli inquirenti – che Donato intratteneva rapporti, non soltanto con Massimo Buda e con il padre Santo ma anche con il fratello Giuseppe, consigliere comunale a Campo Calabro, il quale non disdegnava di chiedergli qualche cortesia». I fratelli Buda, quindi, potevano inoltre disporre di diversi biglietti omaggio per il traghettamento sullo Stretto.
Ben presto conquista un ruolo notorio all’interno della società, come appare palese anche agli occhi dei suoi concittadini. Risale al maggio del 2016 la richiesta avanzatagli dall’ex sindaco e assessore al Comune di Villa San Giovanni, Rocco Cassone di intercedere in favore di un marittimo entrato in contrasto col proprio comandante o quella di tale “Angelo” (identificato in Angelo Cicco) che gli chiedeva di far nuovamente assumere in una delle società del gruppo un’impiegata licenziata «sembrerebbe, per non aver ceduto alle avances di un dipendente». Nel farlo, questi, riferendosi ai rispettivi predecessori utilizza l’espressione «hanno aggiustato una guerra di ‘ndrangheta non aggiustiamo una minchiata!»
L’incarico “particolare” di Buda non soltanto era ben retribuito (2.600-2.700 euro oltre a 1.500-1.600 euro per 26 trasferte mensili), ma era stato «caldeggiato dai rappresentanti della famiglia Matacena» come si evince in alcune conversazioni intercettate dove viene specificato che «la decisione dell’incarico di Buda è stata presa dall’alto».
Emerge però come la progressione di carriera di Massimo Buda sarebbe stata «osteggiata dai rappresentanti messinesi della società, quali Vincenzo Franza, la madre Olga Mondello e il dirigente Tiziano Minuti» anche a fronte di alcune missive anonime pervenute alla società contenenti alcune dichiarazioni sullo stesso Buda.
La progressiva scalata porta Massimo Buda a diventare «il numero uno tra i dipendenti di Caronte&Tourist, individuato persino per selezionare il personale», come lo definisce in una captazione il comandante Francesco Gatto: «Una volta era piazzalista, ora è il numero uno».
Risulta infatti che Buda avesse «la possibilità di assicurare posti di lavoro nell’azienda a persone da lui raccomandate come emerge da una conversazione risalente 2007, quando si prodiga per far assumere un tale “Francesco” raccomandato da suo cugino Gaetano Buda.

«Fiducia nella magistratura»

Proprio dai Franza arriva una delle prime reazioni all’operazione odierna. Scrive infatti Olga Mondello: «Riteniamo di dover rassicurare clienti, dipendenti, fornitori e tutti gli altri stakeholders riguardo al provvedimento emesso oggi dal Tribunale di Reggio Calabria, che ha disposto l’amministrazione giudiziaria per la Caronte & Tourist Spa».
«Si tratta – come si legge nel provvedimento stesso – di uno strumento innovativo previsto dalla legge che prevede un “controllo giudiziario” sull’attività dell’impresa, che continua senza alcuna limitazione oggettiva o soggettiva, e senza alcuna modifica dei vertici. Essa, infatti, ha come necessario presupposto che l’azienda non sia assolutamente riconducibile a soggetti socialmente pericolosi e che vada anzi affiancata e coadiuvata proprio per evitare il rischio di infiltrazione. Nella fattispecie – chiarisce il presidente del Gruppo C&T – il provvedimento prende le mosse da situazioni che risalgono a periodi remoti e che comunque non hanno mai avuto alcun riferimento alla normale operatività aziendale. Il Gruppo Caronte & Tourist, d’altra parte, si è da tempo dotato di strumenti procedurali e ha assunto forme di governance indirizzate alla radicale eliminazione di qualunque elemento di opacità nello svolgimento del proprio business. Nel confermare la nostra fiducia non formale nell’operato della Magistratura – conclude Olga Mondello Franza – siamo certi che in tempi ancor più brevi di quelli usualmente previsti per situazioni siffatte riusciremo a dimostrare la assoluta liceità delle nostre attività e l’importante percorso di legalità che ci vede da tempo protagonisti». (redazione@corrierecal.it)

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