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L’APPELLO

La famiglia Piperno: «Nessuno ci restituirà Stefano, ma ridateci fiducia nella giustizia»

Dopo la morte del figlio, Gregorio Piperno ha studiato per seguire tutte le fasi del processo ai presunti colpevoli. Prossima udienza il 5 febbraio

Pubblicato il: 03/02/2021 – 9:55
di Francesco Donnici
La famiglia Piperno: «Nessuno ci restituirà Stefano, ma ridateci fiducia nella giustizia»

NICOTERA «Vogliamo solo giustizia, ma che sia vera giustizia. E vogliamo sapere perché Stefano è stato ucciso, cosa che ancora oggi nessuno ha voluto spiegarci». A parlare è Gregorio, padre di Stefano Piperno, ucciso a Nicotera ad appena 34 anni lo scorso 19 giugno 2018. Il cadavere è stato dato alle fiamme da chi voleva occultare le tracce di un cruento delitto. Le indagini coordinate dalla Procura di Vibo Valentia e il processo di primo grado hanno individuato, quali presunti responsabili, Ezio Perfidio e il padre Francesco detto “Carrozza”.
Nella ricostruzione, il primo, coetaneo di Stefano, lo avrebbe ucciso raggiungendolo con più colpi di fucile per poi decidere, anche grazie all’aiuto del padre, di disfarsi del corpo dandolo alle fiamme. La pronuncia in abbreviato ha portato all’applicazione della pena di 30 anni di reclusione per il primo e 6 per il secondo.
«A Ezio Perfidio doveva essere applicata la pena dell’ergastolo come prevede la legge. Noi genitori ci siamo sentiti beffati dalla pronuncia del gup». Gregorio Piperno non è un giurista, ma è un padre che dopo la prematura perdita del figlio ha canalizzato il suo dolore imbracciando i codici di diritto e studiando le leggi che gli avrebbero permesso di seguire attentamente il processo, di modo da poter accompagnare il suo Stefano un’ultima volta. Ma nelle aule di tribunale, non ha trovato il conforto che sperava.
Benché avesse manifestato perplessità rispetto alla pronuncia del gup, Teresa Macrì (recentemente ricusata nel processo “Rinascita-Scott”) la procura ha lasciato inevase la richiesta che venisse impugnata. Si è arrivati a discutere il secondo grado di giudizio solo a fronte dell’Appello proposto dai legali degli imputati che nell’udienza dello scorso 17 dicembre hanno chiesto l’assoluzione.
La procura generale ha invece operato la richiesta massima possibile, giunti a questo punto: la conferma della pena. La pronuncia di secondo grado arriverà nel mese appena iniziato.

L’omicidio di Stefano Piperno

La mattina del 20 giugno 2018, un uomo si presenta nella stazione dei carabinieri di Nicotera per denunciare il ritrovamento di un’auto (con all’interno un cadavere carbonizzato) in un terreno di sua proprietà, in località Britto. La vettura è quella di Stefano Piperno, educatore presso il Cas locale, laureatosi anni prima all’Università di Perugia.
L’esame autoptico conferma che il delitto si era stato consumato il giorno prima a colpi di arma da fuoco e che la carbonizzazione era avvenuta solo in un secondo momento.
La ricostruzione delle dinamiche e dei movimenti della vittima operata dal nucleo operativo dei carabinieri di Tropea, dal nucleo investigativo di Vivo, dal Ris di Messina e dalla sezione “cimini violenti” del Ros permette di ricollegare alla dinamica dei fatti le figure di Francesco ed Ezio Perfidio.
Coinvolgimento che pare essere confermato anche dalle intercettazioni avvenute durante e dopo l’escussione degli stessi da parte degli inquirenti. L’attenzione si sofferma su diverse captazioni, come ad esempio quella del 27 giugno 2018, quando i Perfidio rientrano da un incontro col loro avvocato difensore «per discutere la strategia». In quell’occasione Francesco Perfidio rivolge al figlio Ezio l’espressione dialettale «chi ti ha comandato?» dimostrandosi, secondo gli inquirenti, «presente e concorrente nei fatti», tanto da attribuire «al figlio l’esecuzione materiale dell’omicidio, contestandogli una sua intromissione nell’episodio con una condotta che ha determinato la morte della vittima».
L’omicidio «trova la sua scaturigine in un contesto criminale di spaccio di stupefacenti». Stefano Piperno pare avesse contratto debiti con i Perifidio e potrebbe aver pagato per questo. Secondo i genitori, però, la dinamica è più complessa di quello che appare. «Stefano – racconta il padre – da anni soffriva di disturbo bipolare e nei periodi di più cupa depressione, purtroppo, ricorreva all’uso di sostanze stupefacenti». A venderglieli sarebbe stato proprio Francesco Perfidio, come lo stesso Stefano aveva rivelato ai genitori già nel 2016. «Mia moglie una sera telefonò a Perfidio diffidandolo dallo spacciare a Stefano e agli altri giovani del territorio aggiungendo che se non lo avesse fatto, lo avrebbe segnalato ai carabinieri». Il 19 settembre di quell’anno, Stefano Piperno tenta il suicidio ammettendo che qualcuno lo aveva minacciato che «sarebbe morto fra atroci tormenti». Secondo i Piperno, i due eventi sono strettamente collegati. «I carabinieri, dopo la segnalazione, non incriminarono Perfidio non avendo trovato sostanze illecite presso la sua abitazione dopo il controllo. Credevamo che lo Stato ci tutelasse e invece abbiamo perso un figlio». Una vendetta, secondo i genitori, come anche «la possibilità che Stefano, docente al Cas di Nicotera, avesse visto qualcosa che non doveva vedere intercettando il piano di Perfidio di voler estendere la sua piazza di spaccio al centro di accoglienza». Dinamiche e possibili moventi ancora oggi non del tutto chiari anche a fronte dell’avvalersi, da parte dei Perfidio, della facoltà di non rispondere.
All’esito delle indagini Ezio e Francesco Perfidio vengono incriminati per l’omicidio e la distruzione del cadavere di Stefano Piperno, oltre che per il rogo dell’automobile. Francesco Perfidio viene inoltre incriminato per reati in materia di stupefacenti.

Il rito abbreviato e la decisione del gup

Nella sentenza del 21 novembre 2019 pronunciata all’esito del rito abbreviato richiesto dagli imputati, il giudice Teresa Macrì conclude per la condanna. «La piattaforma probatoria – scrive – fonda l’affermazione della responsabilità penale a carico di Ezio Perfidio» in ordine all’omicidio e alla distruzione del cadavere. Risulta inoltre «evidente il coinvolgimento» quantomeno per quanto attiene alla seconda condotta, di Francesco Perfidio, nonché «la circostanza che entrambi, in specie il secondo, siano dediti all’attività di spaccio».

La condotta omicidiaria risulterebbe «provata al di là di ogni ragionevole dubbio». Ezio Perfidio, infatti, avrebbe agito «con lo scopo di uccidere».
«Lo dimostrano – scrive ancora il giudice – i colpi di arma da fuoco, il luogo dell’azione, la tipologia del mezzo usato certamente dotato di estrema potenzialità offensiva, la successiva distruzione del cadavere». Aggiunge poi che risulterebbe «provata l’aggravante dei futili motivi» con riguardo al presunto movente «costituito dall’esposizione debitoria della vittima consequenziale all’acquisto di stupefacente, peraltro di modestissima entità». Esclusa, di converso, l’applicazione delle attenuanti generiche. Sulla base di questa ricostruzione, il gup conclude che «considerate le contestazioni elevate a carico dell’imputato (Ezio Perfidio, ndr) si presenta equa la pena dell’ergastolo sostituita, per effetto del rito prescelto con la pena di anni trenta di reclusione».
L’ergastolo era stata la richiesta avanzata dall’accusa oltre che sostenuta dalla famiglia della vittima, parte civile nel processo. A Francesco Perfidio vengono invece concesse le attenuanti generiche e la pena viene ridotta a 6 anni di reclusione sempre a fronte della scelta di essere processato con rito abbreviato. Fin da subito, la famiglia si dice delusa dalla pronuncia: «Per effetto della scelta dell’abbreviato, il gup avrebbe comunque dovuto irrogare la pena dell’ergastolo. Vogliamo che venga rispettato il codice e che si abbia rispetto per la perdita in maniera crudele di una giovane vita e per il nostro dolore». Sottolinea Gregorio Piperno: «Nel rito abbreviato, la pena dell’ergastolo con isolamento diurno, nei casi di concorso di reati e di reato continuato, è sostituita quella dell’ergastolo, come dice l’articolo 442 del codice di rito».

Il processo d’Appello

Fin dal giorno dopo, la famiglia Piperno chiede che la sentenza venga impugnata. «Lo scorso 13 marzo, a seguito della chiusura degli uffici causa Covid, abbiamo scritto al pubblico ministero Aliberti per ringraziarla e sottolineare come fossimo rimasti allibiti della sentenza del gup. In quei giorni i nostri legali ci avevano trasmesso l’impugnazione proposta dai difensori degli imputati e volevamo accertarci che anche l’accusa avesse fatto lo stesso».
Ma l’accusa decide di non appellare la pronuncia. «Abbiamo chiesto di sopperire a questo macroscopico errore, ma i termini erano ormai scaduti. Ancora oggi ci chiediamo perché la sentenza del gup non sia stata appellata».
Così scrive Gregorio Piperno nei suoi appunti e nelle memorie che la famiglia ha chiesto di aggiungere agli atti. Nell’udienza dello scorso 17 dicembre, il difensore degli imputati ha concluso per l’assoluzione mentre la procura generale ha chiesto la conferma della pena. La mancata impugnazione dell’accusa non permette di chiedere una rideterminazione di segno negativo della condanna inflitta in primo grado a Ezio e Francesco Perfidio, motivo per il quale, scrive sempre Gregorio Piperno, «non possiamo accettare che oltre al dolore, dobbiamo sentirci beffati in maniera così spudorata. Nessuna condanna e nessuna sentenza ci ridarà il nostro Stefano, ma vorremmo sapere se qualcuno è in condizione di restituirci la fiducia nella giustizia e nello Stato che nutrivamo fino a prima di queste vicende». La prossima udienza, per la discussione delle repliche, è fissata al 5 febbraio. (redazione@corrierecal.it)

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