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GLI ARRESTI

Immigrazione irregolare, la Dda di Reggio incrimina due cittadini ucraini

Avrebbero fatto parte di una vera e propria organizzazione criminale. Erano stati arrestati nel 2019 dopo uno sbarco a Brancaleone

Pubblicato il: 05/02/2021 – 11:10
Immigrazione irregolare, la Dda di Reggio incrimina due cittadini ucraini

REGGIO CALABRIA Due cittadini di nazionalità ucraina sono stati arrestati dalla Squadra mobile di Reggio Calabria con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata a procurare l’ingresso irregolare di stranieri nel territorio dello Stato.
Si tratta di Andrii Bilooka e Anatolii Khmilovsky, rispettivamente di 27 e 28 anni.
I due sono accusati di fare parte di un’organizzazione internazionale di trafficanti. A loro carico è stata eseguita un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip Giovanna Sergi su richiesta del procuratore di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri, dell’aggiunto Giuseppe Lombardo e del sostituto della Dda Sara Amerio.
A Bilooka e Khmilovsky il provvedimento è stato notificato in carcere perché entrambi già detenuti dopo essere stati arrestati nel settembre 2019 poche ore dopo lo sbarco a Brancaleone di 40 migranti iracheni e iraniani giunti in Italia a bordo di una barca a vela. Grazie ai loro cellulari e alle chat di Telegram e Viber, la squadra mobile e la Dda sono riusciti a ricostruire tutti i movimenti dei due ucraini che il 4 agosto 2019 erano partiti da Kiev per la città di Batumi, in Georgia, per un corso di addestramento nautico che doveva servirgli ad affrontare il viaggio. I due arrestati, secondo quanto é emerso dalle indagini, avrebbero fatto parte di una vera e propria organizzazione e sarebbero stati in contatto con gli esponenti strategici del gruppo criminale.

L’associazione a delinquere di stampo internazionale
Nell’imbarcazione a vela condotta dalla Turchia sulle coste di Brancaleone c’erano in tutto 40 migranti di nazionalità iraniana e irachena. Persone raccattate nei paesi d’origine con la promessa presto tradita di una vita migliore. Secondo la Dda, alla base ci sarebbe l’esistenza di una vera e propria associazione che «organizzava stabilmente una struttura di persone che avvalendosi di mezzi di trasporto terreste e navale, con ripartizione di ruoli e compiti, operavano per procurare  l’ingresso illegale di cittadini stranieri nel territorio italiano». I ruoli erano molteplici ed andavano dall’addestramento degli scafisti, al procacciare i passeggeri fino, ovviamente, al trasporto.
Oltre ai soggetti interessati della misura cautelare, nell’ordinanza si leggono i riferimemnto anche ad altri, non tutti identificati quali  Coba, il “capitano”, Gyla e Serghey. Quest’ultimo, secondo la procura, avrebbe un collante proprio in Italia, un contatto romano che avrebbe atteso nella Capitale i due uomini dopo lo sbarco.

Il viaggio e l’addestramento
I magistrati, ripercorrono a ritroso le tappe del viaggio dei due scafisti. Un percorso partito da Kiev, in Ucraina, nell’estate del 2019 per poi far tappa a Batumi, in Georgia, per un corso di addestramento nautico. La Turchia era invece il quartier generale dell’associazione dei trafficanti «con cui i migranti avevano preso contatti per giungere in Italia».
«Adesso stiamo discutendo in merito al Yacht-klub per l’insegnamento. (…) E tutto il tempo per cui si tira questo è solo per voi. Per la vostra incolumità. (…) Per ora che siete qui ci sto rimettendo i soldi, e molti non pochi».
«L’organizzazione del viaggio – si legge inoltre nella richiesta d’arresto – avviene mentre i migranti sono ancora nei loro paesi d’origine. I soggetti citati coinvolti sono molteplici, ognuno con un proprio ruolo: chi è il primo contattato, chi si trova ad Istanbul, chi tiene le comunicazione telefoniche, chi si occupa di andare a prendere il migrante da trasportare, chi li conduce nei bed & breakfast o in appartamenti, chi poi li porta con il furgone sulla montagna, chi li tiene come ospiti in montagna foraggiandoli, chi, all’atto della partenza, sequestra ai migranti i loro telefoni cellulari ed i documenti, chi poi conduce l’imbarcazione». Inoltre, gli inquirenti ritengono che l’organizzazione abbia una caratura criminale tale da coinvolgere diversi continenti anche a fronte delle diverse nazionalità dei passeggeri a bordo del natante. Storie diverse e al contempo simili tra loro.

Le storie
Gli inquirenti, dopo aver identificato gli scafisti, raccolgono le testimonianze delle 40 persone trasportate via mare, dal loro paese d’origine all’Italia. Mohammad ha raccontato di essere partito dall’Iran con la moglie e i due figli per raggiungere la Turchia nel 2014, in quanto «minacciato da gruppi islamici radicali». In seguito sarebbe partito da solo per raggiungere il fratello in Scozia in quanto i soldi non bastavano per poter pagare anche il viaggio degli altri familiari.  
Zana, invece, in Iran era iscritto all’università, facoltà di psicologia. Nel suo racconto definisce il paese d’origine come «pericoloso».
«Se una persona giovane – racconta – vuole stare tranquillo deve lavorare per il partito islamico radicale». E poi l’iracheno Nawzad, che nella città di Sulaymaniyya studiava all’università, facoltà di informatica: «Ho lasciato l’Iraq in quanto ero oggetto di vessazioni da parte di un gruppo di persone del mio Paese e temevo che mi potessero uccidere». Sardan aveva dapprima raggiunto regolarmente la Turchia in aereo per poi trovare i contatti del trafficante sui social network. Racconti di chi scappava per vedere salva la propria vita affidandosi al gruppo criminale.



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